Joanna Russ - Anime

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Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo breve
in 1983.
Nominato per il premio Nebula per il miglior romanzo breve
in 1983.

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— Che cosa stai dicendo?

Allora sembrò che la badessa lo vedesse, ma solo come Sibihd aveva visto noi: cioè, non con orrore, come Sibihd, ma come se ci vedesse attraverso qualcosa d’altro, come qualcuno che esce da una visione di beatitudine che ancora gli aleggia intorno. Disse, con la stessa voce sommessa: — Vengono a prendermi, Thorvald. Non è meraviglioso? È da un anno che so che sarebbe accaduto qualcosa, ma non sapevo che sarebbe stata l’unica cosa che desidero al mondo.

Thorvald si cacciò le mani nei capelli. — Chi verrà?

— La mia gente — disse lei, con una risata mormorante. — Non li senti? Io sì. Dobbiamo attendere tre giorni perché vengano da molto lontano. Ma allora… oh, vedrai!

Lui disse: — Hai sognato. Domani partiremo.

— Oh, no — disse semplicemente la badessa. — Non puoi, non sarebbe giusto. Loro mi hanno detto di attendere: hanno detto che se fossi andata via non mi avrebbero trovata.

Thorvald disse: — Sei ammattita. Oppure è un trucco.

— Oh, no, Thorvald — disse lei. — Come potrei ingannarti? Sono tua amica. E tu attenderai questi tre giorni, perché anche tu sei mio amico.

— Sei matta — disse Thorvald, e si avviò verso la porta dello studio, ma la badessa gli si parò davanti e si gettò in ginocchio. Sembrava che l’astuzia l’avesse abbandonata completamente; o forse era stata Radegunde a possedere l’astuzia. Questa era come una bambina. Giunse le mani e le lacrime le traboccarono dagli occhi. Lo supplicò:

— È una cosa da poco, Thorvald, tre giorni appena! E se non verranno, allora andremo dovunque vorrai; ma se verranno non dovrai pentirtene, te lo prometto: non sono come gli abitanti di qui, e quel luogo è molto diverso. È ciò che l’anima desidera, Thorvald!

Il norvegese disse: — Alzati, donna, per amor di Dio!

E lei, con un sorriso spaventato: — Se mi lasci restare, ti mostrerò il tesoro sepolto della vecchia badessa, Thorvald.

Lui indietreggiò, indignato. — Ecco la vecchia strega coraggiosa che non teme la morte! — disse. Si avviò verso la porta, ma la badessa si alzò di nuovo, svelta, come un serpente, e si buttò contro l’uscio.

E gli disse, sempre con quella strana innocenza: — Non picchiarmi. Non spingermi. Sono tua amica!

E lui: — Vuoi dire che hai intenzione di portarmi in giro con un cordone intorno al collo, come se fossi un’oca. Be’, io sono stanco!

— Ma non posso più farlo — disse la badessa, ansimando. — Non posso più farlo, ora che la porta si è aperta. Non posso. — Lui alzò il braccio per picchiarla e la badessa si rannicchiò gemendo: — Non picchiarmi! Non provocarmi! No, Thorvald!

Lui disse: — Allora togliti di mezzo, vecchia strega!

La badessa incominciò a piangere e a singhiozzare. — Una è qui, ma un’altra verrà! Una è sepolta, ma un’altra si leverà! Verrà, Thorvald! — E quindi, con voce bassa, in fretta: — Non spalancare l’ultima porta. Dietro c’è qualcosa che è malvagio, e io ho paura… — Ma si vedeva che il norvegese era furioso e deluso e non voleva ascoltare. La colpì per la seconda volta, e lei cadde di nuovo, ma con un grido disperato, coprendosi la faccia con le mani. Lui tolse il catenaccio alla porta e la scavalcò, e io sentii i suoi passi nel corridoio. Vedevo chiaramente la badessa; allora non mi chiedevo come fosse possibile, con le ombre della candela di sego che quasi nascondevano tutto sulla loro danza ebbra, ma vedevo chiaramente ogni linea della sua faccia come se fosse pieno giorno, e in quella luce vidi Radegunde che ci lasciava.

Siete mai stati alla corte di un grande re o di un conte e avete ascoltato i cantastorie? Certuni sono così esperti nell’arte che non soltanto vi narrano ciò che il personaggio della storia fece o disse, ma esprimono l’azione con la faccia e col corpo, come se fossero davvero quell’uomo o quella donna, e perciò per voi è una grande sorpresa, quando il racconto finisce, perché quasi credete di aver visto la vicenda svolgersi sotto i vostri occhi, ed è come se quell’uomo o quella donna avesse smesso improvvisamente di esistere, perché avete dimenticato che c’erano soltanto un cantastorie e una storia.

Avvenne così con la donna che era stata Radegunde. Non cambiò: aveva ancora i capelli grigi e la faccia grinzosa e il corpo di vecchia nell’abito marrone da contadina, eppure era una sconosciuta, uscita dalla badessa Radegunde come da una veste lasciata cadere sul pavimento. La sconosciuta era insensibile, sebbene le lacrime di Radegunde le scorressero ancora sulle guance, e in lei non c’erano bontà e gioia. Si alzò senza curarsi del suo abito al quale s’erano appiccicate le canne sporche; era come se l’abito fosse un accidente casuale e non la riguardasse. Disse con una voce che non avevo mai sentito, una voce insensibile, come se io non contassi nulla per lei, e neppure Thorvald Einarsson, come se noi due non meritassimo una seconda occhiata:

— Thorvald, voltati.

In fondo al corridoio qualcosa si mosse.

— Ora torna indietro. Qui.

Sentii i passi avvicinarsi. Poi il norvegese grande e grosso entrò goffamente nella stanza, a sussulti, come se ad ogni passo fosse trascinato da una corda. Il sudore gli imperlava la faccia. Disse: — Tu… come?

— Perché è la mia natura — disse lei. — Alza il braccio destro, volpone. Ora il sinistro. Ora abbassali tutti e due. Bene.

— Troll! — disse lui.

— È così — disse lei. — Ora ascoltami, tu. C’è un uomo dentro di te, ma non val la pena di cercarlo; ho provato qualche minuto fa quando ero appena uscita dall’uovo, ed è sepolto troppo profondamente, ma adesso mi sono cresciuti rostro e artigli e non m’importa nulla di lui. È quasi l’alba e i tuoi ragazzi si stanno svegliando; andrai a dir loro che dobbiamo restar qui ancora per tre giorni. Tu conosci i cambiamenti del tempo: inventa qualcosa in modo che ti credano. E non provarti a raccontare a qualcuno ciò che è successo qui stanotte: ti accorgerai che non puoi farlo.

— Uomini… a me — disse Thorvald, e cercò di girare la testa, ma lo sforzo riuscì soltanto a farlo sudare.

Lei inarcò le sopracciglia. — Perché dovrebbero venire? Nessuno ha sentito nulla. Non è successo nulla. Tu uscirai e sarai come al solito e io reciterò la parte di Radegunde. Per tre giorni appena. Poi sarai libero.

Thorvald non si mosse. Si vedeva che restare immobile era un tormento: il sudore grondava e lui si tendeva, e tutti i muscoli si gonfiavano. Lei disse:

— Volpone, fai del male a te stesso. E non provocarmi; non ho nessuna simpatia per te. Uso la mano leggera solo perché mi sembri ancora un po’ meno inumano degli altri; non costringermi a usare una mano più pesante. Per dirla chiaramente: ho appena spezzato il collo di Thorfinn, perché trovo che il cambiamento lo migliori. Non costringermi a fare altrettanto a te.

— Non puoi fare… niente di peggio della morte… — disse Thorvald a stento.

— Ah, no? — disse lei, e dopo un momento lui urlò e si portò le mani agli occhi. Lei disse: — Aprili, aprili; hai di nuovo la vista. — E poi — Non voglio prendermi il disturbo di pensare qualcosa di peggio, come i vermi nelle tue budella. Oppure preferisci che muoiano i tuoi figli e tua moglie? Ora va’.

«E comportati come sempre — soggiunse bruscamente, e il colosso si voltò e uscì. A guardarlo, sarebbe stato impossibile capire che aveva qualcosa di anormale.

Non mi era dispiaciuto veder punito un uomo tanto malvagio, i cui amici avevano ucciso i nostri e avrebbero voluto prenderci come schiavi… però in un certo senso mi dispiaceva per via delle foche che latravano e delle balene… eppure dimenticai davvero tutto nel momento in cui usci, perché avevo terrore di quella persona sconosciuta, o di quel demonio o quello che era, perché sapevo che chiunque ci fosse, in quella stanza con me, non era la badessa Radegunde. E sapevo che era in grado di dire dov’ero e che cosa facevo, anche se non facevo rumore, e non capii che cosa avrei dovuto fare quando le dita mi toccarono la faccia. Era il demonio, che tendeva le mani in fretta e in silenzio.

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