Ellie pensava che Kitz mirasse più in alto. Sembrava che non si preoccupasse di quello che lei poteva raccontare del centro galattico. Ciò che lo tormentava, ne era sicura, era la possibilità che il tunnel fosse ancora aperto verso la Terra, anche se non dalla Terra. La base di Hokkaido sarebbe stata presto smantellata. I tecnici sarebbero ritornati alle loro industrie e alle università. Che storie avrebbero raccontato? Forse il dodecaedro sarebbe stato esposto nella Città della Scienza di Tsukuba. Quindi, dopo un intervallo di tempo decente, quando l’attenzione del mondo si fosse spostata su altre faccende, forse ci sarebbe stata un’esplosione nel luogo della Macchina: nucleare, se Kitz fosse stato capace di escogitare una spiegazione plausibile per il fatto. Nel caso di un’esplosione nucleare, la contaminazione radioattiva avrebbe costituito un’eccellente ragione per dichiarare l’intera area zona vietata. Avrebbe almeno tenuto lontano dalla località i curiosi e avrebbe potuto staccare l’ugello. Probabilmente la suscettibilità giapponese per le armi nucleari, anche se fatte esplodere sotto terra, avrebbe costretto Kitz a optare per esplosivi tradizionali. Avrebbero potuto mascherare la cosa da disastro minerario, evento non raro nell’isola di Hokkaido. Ellie dubitava molto che una qualsiasi esplosione — nucleare o tradizionale — potesse disinnestare la Terra dal tunnel. Ma forse Kitz non stava immaginando nessuna di queste cose. Forse lei lo stava sottovalutando. Dopo tutto, anche lui doveva essere stato influenzato dal Machindo. Doveva avere una famiglia, degli amici, qualcuno che amava. Doveva averne colto almeno un soffio. Il giorno seguente, la Presidente la insignì della Medaglia nazionale della Libertà nel corso di una cerimonia pubblica alla Casa Bianca. Dei ciocchi ardevano in un caminetto incastonato in una parete di marmo bianco. La Presidente aveva investito moltissimo, politicamente ed economicamente, nel Progetto Macchina ed era decisa a presentarlo nella luce migliore davanti alla nazione e al mondo. Gli investimenti nella Macchina da parte degli Stati Uniti e di altre nazioni, venne sottolineato, avevano fruttato generosamente. Nuove tecnologie, nuove industrie stavano fiorendo, promettendo per la gente comune gli stessi benefici delle invenzioni di Thomas Edison. Avevamo scoperto di non essere soli, che intelligenze più avanzate di noi esistevano là fuori nello spazio. Loro avevano cambiato per sempre, disse la Presidente, la nostra concezione di noi stessi. Parlando a titolo personale — ma anche, ne era convinta, in nome della maggior parte degli americani — la scoperta aveva rafforzato la sua fede in Dio, di cui era stata rivelata ora l’attività di creatore di vita e di intelligenza su molti mondi, una conclusione che, secondo lei, sarebbe stata in armonia con tutte le religioni. Ma il bene più grande accordateci dalla Macchina, disse la Presidente, era lo spirito che aveva porato sulla Terra: la crescente reciproca comprensione all’interno della comunità umana, la sensazione di essere tutti passeggeri di un periglioso viaggio nello spazio e nel tempo, il traguardo di un’unità globale di intenti che era conosciuta adesso in tutto il pianeta come Machindo. La Presidente presentò Ellie alla stampa e alle telecamere, parlò della sua perseveranza per dodici lunghi anni, della sua genialità nello scoprire e nel decifrare il Messaggio, e del suo coraggio nel salire a bordo della Macchina. Nessuno sapeva che cosa avrebbe fatto la Macchina. La signorina Arroway aveva rischiato volentieri la sua vita. Non era colpa del dottor Arroway se non era accaduto nulla quando la Macchina era stata attivata. Lei aveva fatto del suo meglio e meritava i ringraziamenti di tutti gli americani e di tutti i popoli della Terra. Ellie era una persona molto riservata. Nonostante la sua naturale reticenza, una volta presentatasi la necessità, si era sobbarcata il compito gravoso di spiegare il Messaggio e la Macchina. In verità aveva dimostrato con la stampa una pazienza che lei, la Presidente, ammirava in modo particolare. Al dottor Arroway doveva essere concessa ora un po’ di vera privacy perché potesse riprendere la sua carriera scientifica. C’erano stati comunicati stampa, spiegazioni, interviste con il Segretario Kitz e il consigliere scientifico der Heer. La Presidente sperava che la stampa avrebbe rispettato il desiderio del dottor Arroway che non ci fosse nessuna conferenza stampa. C’era tuttavia un’opportunità di scattare qualche foto. Ellie lasciò Washington senza poter determinare quanto ne sapesse la Presidente.
La spedirono indietro su un piccolo jet lucente del Comando congiunto del ponte aereo militare e acconsentirono a fare uno scalo a Janesville, Sua madre indossava la sua vecchia vestaglia imbottita. Qualcuno le aveva messo un po’ di fard sulle guance. Ellie appoggiò il volto sul cuscino accanto a sua madre. Oltre a riacquistare un’esitante capacità di parola, l’anziana donna aveva recuperato l’uso del braccio destro abbastanza per dare alcuni deboli colpetti sulla spalla di Ellie.
«Mamma, ho qualcosa da dirti. E’ una cosa straordinaria. Ma cerca di restare calma. Non voglio sconvolgerti. Mamma… ho visto papa. L’ho visto. Ti manda tutto il suo amore.»
«Sì…» La vecchia lentamente annuì. «E’ stato qui ieri.» John Staughton, Ellie ne era al corrente, era stato nella casa di cura il giorno prima. Si era scusato di non poter accompagnare Ellie quel giorno adducendo il troppo lavoro, ma era possibile che Staughton, in quel momento, non volesse intromettersi. Tuttavia, le scappò con una certa irritazione: «No, no. Sto parlando di papa.»
«Digli…» La vecchia parlava con difficoltà. «Digli, il vestito di chiffon. Fermarsi al pulilampo… ritornando a casa dal negozio.» Suo padre evidentemente gestiva ancora il negozio di ferra-menta nell’universo materno. E in quello di Ellie.
La lunga curva del ciclone si estendeva ora da orizzonte a orizzonte, deturpando la distesa spinosa di cespugli del deserto. Ellie era contenta di essere tornata, contenta di avviare un nuovo programma di ricerca, anche se molto più modesto.
Jack Hibbert era stato nominato direttore operativo della base Argus, ed Ellie si sentì sollevata dalle responsabilità amministrative. Poiché si era reso disponibile tanto tempo per i telescopi quando era cessato il segnale da Vega, c’era un’eccitante aria di progresso in una decina di sottodiscipline della radioastronomia trascurate a lungo. I suoi collaboratori non condividevano minimamente l’idea di Kitz di un Messaggio artefatto. Ellie si chiedeva che cosa stessero dicendo der Heer e Valerian ai loro amici e colleghi a proposito del Messaggio e della Macchina.
Ellie dubitava che Kitz si fosse lasciato sfuggire una parola in proposito al di fuori dei recessi del suo ufficio al Pentagono, che presto si sarebbe reso libero. Ci si era recata una volta; una recluta della Marina — con una pistola nella fondina di cuoio e le mani dietro la schiena — faceva la guardia impettita all’entrata, nel caso che nella babele di corridoi concentrici qualche visitatore avesse ceduto a un impulso irrazionale.
Willie aveva guidato lui stesso la Thunderbird dal Wyomin così l’auto l’attendeva al suo arrivo. Secondo accordi stabiliti, la poteva guidare soltanto all’interno della base, che era grande abbastanza per una bella corsa. Ma non più paesaggi del West Texas, non più guardie d’onore di conigli, non più escursioni in montagna per gettare uno sguardo a una stella del sud. Questo era il suo unico rimpianto riguardo alla segregazione. Ma le file di conigli, a ogni modo, d’inverno non si facevano vedere. All’inizio, un folto gruppo di giornalisti si aggirò nella zona sperando di rivolgerle una domanda da lontano o di fotografarla con il teleobiettivo. Ma lei restava risolutamente isolata. Il nuovo staff delle pubbliche relazioni era efficiente, persino un po’ duro, nello scoraggiare le richieste. Dopo tutto, la Presidente aveva chiesto privacy per il dottor Arroway.
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