Leigh Brackett - Venusiani addio
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- Название:Venusiani addio
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- Издательство:SIAD
- Жанр:
- Год:1983
- Город:Milano
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Si fece più vicina, avanzando per forza propria, sfidando il vento contrario. Harker vide che si trattava d’una infinità di pappi, semi portati da seriche ali. La nube si distese sopra la gente intrappolata tra i cespugli. Era una marea interminabile e lenta che li coprì tutti d’una sottile lanugine. Gli uomini cominciarono a contorcersi e ad urlare per il dolore, in preda a una terribile paura. Si dibattevano, ma non riuscivano a fuggire.
La lanugine bianca cadde giù dai loro corpi, i quali rivelarono adesso di esser coperti da minuscole, innumerevoli punture verdi, attraverso le quali venivano risucchiate le sostanze chimiche dalla carne viva… I semi lì conficcati cominciavano già a crescere.
Il pensiero parlato di Fiordaliso si sovrappose alle immagini: «Ho visto i tuoi pensieri… o almeno alcuni di essi… dal momento in cui sei uscito dalle caverne. Non riesco a capirli, ma ho potuto vedere le nostre terre squarciate fino alla nuda roccia, i nostri alberi abbattuti e ogni creatura abbrutita. Se la tua razza venisse qui, noi dovremmo andarcene. E la valle appartiene a noi».
Il cervello di Matt Harker giacque immobile nell’oscurità del suo cranio, vigile, ritirato in se stesso. «Prima di voi, apparteneva ai nuotatori».
«Non sono riusciti a tenersela. Noi possiamo farlo».
«Perché mi hai salvato, Fiordaliso? Cosa vuoi da me?»
«Da te non veniva nessun pericolo. Eri strano. Volevo giocare con te».
«Mi ami, Fiordaliso?» Il suo dito sfiorò una larga pietra liscia tra le radici delle felci.
«Amore? Cos’è?»
«È il domani e lo ieri. È speranza e felicità e dolore. È la totalità dell’essere perché è disinteressato, la catena che ti lega alla vita e che fa sì che valga la pena viverla. Capisci?»
«No. Io cresco, prendo al suolo e alla luce, gioco con gli altri, con gli uccelli, il vento e i fiori. Quando viene il momento sono matura di semi, e dopo vado lì, nel termine, ad aspettare. È tutto ciò che capisco. È tutto ciò che c’è».
Harker sollevò lo sguardo e guardò nei suoi occhi. Un brivido lo colse. «Non hai anima, Fiordaliso. Ecco la differenza tra noi. Tu vivi… ma non hai anima».
E dopo… non gli fu difficile far ciò che doveva. Farlo in fretta, fare ciò che era la sua unica, debole possibilità di giustificare la morte di Sim. Ciò che Fiordaliso poteva anche aver intravisto nella sua mente, ma contro la quale non poteva difendersi, poiché a lei mancava del tutto la comprensione dell’assassinio.
4
Gli uccelli neri si scagliarono contro Harker, ma la costrizione che li guidava si spense troppo presto. Le felci e i rampicanti vibrarono convulsi, poi s’immobilizzarono. Gli uccelli neri volarono via con pesanti battiti delle ali. Matt Harker si alzò in piedi. Era probabile che il popolo dei fiori mantenesse un contatto mentale molto intimo, ma forse non avrebbero notato l’assenza di Fiordaliso per un po’. Forse non sbirciavano nei suoi pensieri perché lui era il giocattolo di Fiordaliso. Forse…
Cominciò a correre verso le rupi, verso il punto dov’era il termine. Si tenne quanto più possibile sui tratti aperti, lontano dagli alberi e dai cespugli. Evitò accuratamente di guardare, prima di allontanarsi, ciò che adesso giaceva ai suoi piedi.
Era ormai vicino alla sua destinazione, quando seppe di essere stato individuato. Gli uccelli neri tornarono indietro, sfrecciando verso di lui sulle ali sibilanti. Harker raccolse un ramo secco per respingerli, ma questo gli si sbriciolò tra le mani. Telecinesi. Il potere della mente sulla materia. Una volta Harker aveva letto che si poteva sempre vincere ai dadi, pensando intensamente alla posizione in cui si volevano far cadere. Desiderò poter concepire un fulminatore col pensiero…
Becchi adunchi gli lacerarono le braccia. Si coprì il volto e, afferrato uno degli uccelli per il collo, l’uccise. L’altro urlò, e questa volta Harker non fu altrettanto fortunato. Quand’ebbe infine ucciso anche il secondo, aveva abbondantemente assaggiato i suoi artigli, e aveva le guance incise da solchi sanguinolenti. Riprese a correre.
I cespugli si piegavano di scatto verso di lui mentre passava. Rami spinosi si allungavano. Rampicanti balzavano su come serpenti dall’erba, e ogni filo d’erba puntava come un coltello a trafiggergli i piedi. Ma, ormai aveva raggiunto le rupi: davanti a lui si apriva una distesa brulla, e l’erba e i cespugli mancavano quasi del tutto.
Seppe di esser vicino al termine quando ne sentì l’odore. La fragranza dolciastra dei fiori appassiti, con sotto un acre odore di marcio e di morte. Gridò il nome di McLaren, atterrito all’idea che potesse non esserci nessuna risposta… e quasi si afflosciò per il sollievo quando la risposta vi fu. Scavalcò di corsa alcune rocce franose in direzione di quel suono. Un piccolo rampicante gli attorcigliò intorno a un piede e lo fece cadere. Harker lo strappò, con le radici, dalla fenditura poco profonda da cui sporgeva, e proseguì. Quando si voltò a guardare dietro di sé, vide un sottile velo bianco, una piccola chiazza lontana a mezz’aria, che stava avanzando verso di lui.
Giunse infine al termine.
Era un canyon dalla sezione quadrata, profondo, le pareti a picco, così da assomigliare a un ampio pozzo. In fondo ad esso, i corpi inerti in esso gettati formavano un mucchio spugnoso e secco. Corpi vegetali senza più nessun colore, vizzi e ingrigiti, un’incredibile coacervo in decomposizione.
McLaren giaceva in cima al mucchio, in apparenza illeso. I due zaini erano accanto a lui, con le armi. Sparsi sopra il mucchio, seduti o distesi, che si muovevano appena, c’erano quelli in attesa, come aveva detto Fiordaliso, di fermarsi. Qui c’erano i vecchi, gli sbiaditi e consunti, gli imperfetti e i feriti, gettati in un luogo in cui tali brutture non potevano offendere nessuno. Naturalmente, parevano tutti quasi morti, ormai. Non prestavano nessun attenzione né agli uomini, né ai loro simili. Riuscivano a sopravvivere ancora per un po’ soltanto grazie alle pure energie vegetative, allo stesso modo in cui un geranio resta fiorito ancora un po’, dopo che il suo stelo è stato reciso.
«Matt», disse McLaren, «oh, Dio, Matt… sono contento di vederti!»
«Stai bene?»
«Sicuro. Anche la mia gamba sta molto meglio. Puoi tirarmi fuori?»
«Lancia quassù quegli zaini».
McLaren obbedi. Anche lui si trovò contagiato dalla febbrile urgenza di Harker, e soprattutto alla vista del sangue che colava giù dal viso dilaniato dell’amico, che faceva presagire qualcosa di brutto. Harker gli spiegò in fretta l’accaduto, mentre tirava fuori una delle corde, usandola subito dopo per tirar fuori McLaren, di peso, dal pozzo. Adesso la nebbia bianca si era fatta vicina… troppo vicina.
«Riesci a camminare?» gli chiese Harker.
McLaren fissò la nube lanuginosa. Harker gli aveva detto cos’era. «Ce la faccio», annuì. «Ce la farei a correre come il demonio».
Harker gli porse la corda. «Vai sul lato opposto del pozzo proprio sul lato opposto, hai capito?» Aiutò McLaren a infilarsi lo zaino. «Tienti sulla roccia spoglia… e stai pronto a tirarmi su con la corda».
McLaren si allontanò. Zoppicava molto e aveva il volto contorto dal dolore. Harker imprecò. Ora la nube era così vicina che riusciva a distinguere i milioni di semi che galleggiavano sulle loro ali seriche, lanugine di cardo guidata dalle menti del popolo dei fiori, giù nella valle. Si affibbiò le cinghie dello zaino e cominciò ad avvolgere bende e ciuffi d’erba morta intorno alla punta d’osso d’una delle lance che aveva recuperato. L’orlo della nube gli era quasi addosso quando fece scoccare una scintilla dentro la torcia improvvisata, per poi balzare dentro al mucchio di creature-fiore morte, nel pozzo.
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