Connie Willis - Fatalità
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- Название:Fatalità
- Автор:
- Издательство:Fanucci
- Жанр:
- Год:1998
- Город:Roma
- ISBN:88-347-0623-4
- Рейтинг книги:3 / 5. Голосов: 1
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«E Chuck tornò indietro?» chiese lei.
«Certo,» rispose Sandy, aggrottando la fronte, e poi sogghignò. «Ma non abbastanza presto. Comunque, è quasi scuro e arriva un camion con le luci spente, si affaccia un tipo e dice: “Ciao bellezza, serve un passaggio?”» Sorrise rivolta alla tazza di caffè come se lo sentisse ancora mentre lo diceva. «Era orribile. I capelli gli arrivavano fino alle orecchie e aveva le unghie nere. Si pulì la mano sulla maglietta e mi aiutò a salire sul camion. Quasi mi staccò il braccio dal resto del corpo, e poi disse: “Pensavo là che avrei fatto un giro un minuto da queste parti e poi me ne sarei andato. Sai, sei fortunata ad incontrarmi. Di solito non vado in giro la notte perché ho le luci rotte, ma avevo una gomma a terra.”»
È felice, pensò Elizabeth, tenendo una mano sopra alla tazza di caffè per scaldarsela.
«Mi riportò a casa e lo ringraziai, e la settimana dopo si fece vedere alla casa dei Phi e mi chiese un appuntamento, e io fui così sorpresa che ci andai, e lo sposai, e abbiamo quattro bambini.»
La caldaia ci dava dentro, ed Elizabeth riusciva a sentire l’aria che veniva fuori da sotto il tavolo, solo che era fredda. «Sei uscita con lui?» le chiese.
«Difficile da credere, eh? Cioè, a quella età riesci solo a pensare a te stessa. Ti preoccupi così tanto che gli altri non ridano di te o ti facciano del male, che non riesci proprio a vedere nessun altro. Quando la mia compagna dell’associazione femminile mi disse che lui era di sotto, riuscivo solo a pensare al suo aspetto, con i capelli lisciati all’indietro con l’acqua e le unghie che aveva dovuto pulire con un temperino, e alle chiacchiere della gente. Per poco non gli mandai a dire che non c’ero.»
«E se l’avessi fatto?»
«Immagino che sarei ancora Sondra Dickeson, quella con la puzza al naso, un destino peggiore della morte.»
«Un destino peggiore della morte,» ripeté Elizabeth, quasi rivolta a se stessa, ma Sandy non la udì. Era completamente immersa nel raccontare la storia che ripeteva tutte le volte che qualcuno si trasferiva in città, e non c’era da stupirsi che le piacesse fare la rappresentante degli ex allievi.
«La mia compagna di associazione mi disse: “Ci vuole davvero un intestino resistente per venire qui così, pensando che uscirai con lui,” e io pensai a lui, che stava seduto laggiù mentre gli altri lo deridevano e lo ferivano, per cui mandai all’inferno la mia compagna di stanza, scesi di sotto ed ecco come è andata.» Guardò l’orologio della cucina. «Buon Dio, è così tardi? Devo andare subito a prendere i bambini.» Scorse col dito lungo la lista dei dispersi senza speranza. «Sai niente di Dallas Tindall, May Matsumoto, Ralph DeArvill?»
«No,» rispose Elizabeth. «Sulla lista c’è Tupper Hofwalt?»
«Hofwalt.» Sfogliò diverse pagine. «Si chiamava proprio Tupper?»
«No, Phillip. Ma lo chiamavano tutti Tupper perché vendeva Tupperware.»
Alzò lo sguardo. «Me lo ricordo. Tenne una riunione Tupperware nel nostro dormitorio quando ero matricola.» Ritornò alla sezione Trovato e ricominciò a cercare da capo.
Aveva proposto a Elizabeth e Tib di organizzare una riunione Tupperware nel dormitorio. «Come co-padrone di casa sarete in grado di guadagnare punti per una macchinetta del popcorn.» aveva detto. «Non dovete fare nulla, solo portare un po’ di spuntini, le mamme vi mandano sempre biscotti, no? E sarò in debito di un favore con voi.»
Avevano tenuto la riunione nel salone del dormitorio. Tupper gli appuntava nomi di gente famosa sulla schiena, e dovevano indovinare chi erano facendo delle domande su se stessi.
Elizabeth era Twiggy. «Sono una ragazza?» chiese a Tib.
«Sì.»
«Sono carina?»
«Sì,» aveva risposto Tupper prima che lo facesse Tib.
Dopo che lo indovinò, se ne andò al tavolo dove Tupper stava preparando la sua esposizione di scatole di plastica e gli si inginocchiò vicino. «Pensi davvero che Twiggy sia carina?» gli chiese.
«Chi parlava di Twiggy?» disse. «Ascolta, volevo dirti…»
«Sono viva?» domandò Sharon Oberhausen.
«Non lo so,» disse Elizabeth. «Girati così vedo chi sei.»
Il cartellino sulla sua schiena diceva Mick Jagger.
«Difficile a dirsi,» rispose Tupper.
Tib era King Kong. Ci aveva messo un secolo a capirlo. «Sono alta?» chiese.
«In confronto a cosa?» aveva chiesto Elizabeth.
Appoggiò le mani sui fianchi. «Non so. L’Empire State Building.»
«Sì,» disse Tupper.
Non gli fu affatto facile farle smettere di chiacchierare per presentare loro il portaburro, il contenitore per torte e gli stampini per i ghiaccioli. Mentre riempivano i buoni d’ordine, Sharon Oberhausen disse a Tib: «Hai già un appuntamento per il Ballo del Raccolto?»
«Sì,» rispose Tib.
«Vorrei averne uno anch’io,» disse Sharon. Si allungò davanti a Tib. «Elizabeth, ti rendi conto che ognuno nel Corpo Addestramento Ufficiali in Riserva deve avere un appuntamento altrimenti ti mettono in servizio durante il fine settimana? Con chi ci vai, Tib?»
«Ascoltate, voi,» disse Tib, «più comprate e più probabilità abbiamo di vincere la macchinetta per il popcorn, che poi metteremo in comune.»
Avevano comprato una torta e un gelato con scaglie di cioccolato. Elizabeth tagliò la torta nel cucinino del dormitorio, mentre Tib la metteva nei piatti.
«Non mi hai detto che avevi un appuntamento per il Ballo del Raccolto,» disse Elizabeth. «Con chi? Quel ragazzo che viene a lezione di psicologia educativa con te?»
«No.» Infilò un cucchiaio di plastica nel gelato.
«E chi allora?»
Tupper entrò in cucina con un catalogo. «Siete solo a venti punti dalla macchinetta per il popcorn,» disse. «Sapete che vi serve, ragazze?» Girò un pagina e indicò una scatola di plastica bianca. «Un contenitore per gelato. Porta due chili di gelato, e quando ne volete dovete solo aprire questa linguetta,» — indicò un rettangolo di plastica piatta — «e tagliarne una fetta. Non sarete più costrette a scavarci intorno e sporcarvi tutte le mani.»
Tib si leccò il gelato dalle nocche delle dita. «Quella è la cosa più utile.»
«Vai fuori, Tupper,» disse Elizabeth. «Tib stava per dirmi chi è che la porta al Ballo del Raccolto.»
Tupper chiuse il catalogo. «Sono io.»
«Oh,» fece Elizabeth. Sharon ficcò la testa dietro l’angolo. «Tupper, quand’è che dobbiamo pagare questa roba?» disse. «E quand’è che cominciamo a mangiare?»
Tupper rispose: «Prima di mangiare devi pagare,» e ritornò nel salone.
Elizabeth passò il coltello di plastica sulla torta, tracciando delle lìnee perfettamente dritte sulla superficie gelata. Dopo averla divisa in pezzi quadrati, ne tagliò un pezzo dall’angolo e lo mise su un piattino di plastica vicino al gelato che si stava sciogliendo. «Hai niente da indossare?» disse. «Puoi prendere in prestito il mio abito da sera color ruggine.»
Sandy la guardava, con il quaderno per appunti aperto quasi all’ultima pagina. «Conoscevi Tupper molto bene?» chiese.
Il caffè di Elizabeth si era ghiacciato, ma lei ci teneva la mano sopra come se tentasse di assorbirne il calore. «Non particolarmente. Di solito usciva con Tib.»
«È sulla mia lista dei deceduti, Elizabeth. Si è suicidato cinque anni fa.»
Quando Paul tornò a casa erano le dieci passate. Elizabeth se ne stava seduta sul divano avvolta in una coperta.
Si diresse subito al termostato e lo abbassò. «Quanto hai tenuto alto quest’affare?» Gli diede un’occhiata di sbieco. «29 gradi. Be’, almeno non corri nessun pericolo di assideramento. Sei stata seduta là tutto il giorno?»
«Il verme è morto,» disse. «Dopo tutto non l’avevo salvato. Avrei dovuto metterlo sull’erba.»
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