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Michael Bishop: Vita in famiglia

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Michael Bishop Vita in famiglia

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Michael Bishop è senz’altro uno degli autori più completi e maturi della fantascienza degli anni settanta-ottanta, come testimoniano opere ricche di forza narrativa e di brillanti ritratti di culture aliene quali e . Qui lo vediamo all’opera nella descrizione di un’altra società di un futuro non molto lontano, costituita da «anziani» che si riuniscono in matrimoni di gruppo sponsorizzati dal governo. Il loro mondo e le loro strutture sociali sono affascinanti, ma sono proprio i personaggi, ognuno un essere umano magnificamente dipinto, che cattureranno la vostra attenzione e la vostra simpatia.

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— Come si svolse?

— Be’, dovevamo salire sulle sezioni dell’impalcatura della cupola già completate, e vi salivamo con le navette, come quelle che di sera vedi sfrecciare con i riflettori accesi. Si lavorava sulle piattaforme o sull’intelaiatura delle navette, e si era sempre lassù, sovrastando l’intera zona, e si poteva vedere ogni cosa, anche quando il vento ti investiva come se volesse ridurre a pezzi e brandelli tutta la tua dura fatica. Il Monte Stone. Parecchi laghi. Le montagne di Gainesville.

«E il kudzu, Zoe, kudzu come non l’hai mai visto o come non riesci neppure a ricordare. Quel rampicante impazzito serpeggiava su ogni cosa, pali telefonici e granai che crollavano al suolo, comprese alcune palazzine della città e i condomini che aveva cominciato ad intaccare verso la fine del secolo. Il mondo intero era diventato verde e stava forse morendo a causa del kudzu, così verde da farti male agli occhi. E là in cima, Luther Battle si sentiva Cheope, Re Tut o qualunque altro di quei bastardi che si fecero costruire le tombe più gigantesche. Ma non mi sono mai chiesto: «Hoooi! Luther, perché lo facciamo?».

Dopo mangiato, Zoe e Luther tornarono al ricovero e presero l’ascensore della Torre per raggiungere il quarto piano. Anche se sulla via del ritorno lungo i cortili pedonali, lei non glielo aveva permesso, ora, nell’ascensore lasciò che lui la prendesse la mano. Dieci anni dopo aver lavorato per la McAlpine, lui aveva ancora le mani callose, o coi segni di vecchi calli. Nell’ascensore era di nuovo imbarazzato, come se la sua conversazione durante il pranzo fosse stata uno sfogo che lo avesse lasciato indifeso e insicuro di sé. Be’, anche lei si sentiva in imbarazzo. Soltanto che Luther aveva un vantaggio: si notava meno quando arrossiva.

Quando furono nella stanza comune, che era rimasta deserta per una sorta di tacito accordo, Luther la condusse vicino al suo letto e fece scorrere i paraventi automatici. Rosolarsi, questo era il termine ora usato dai giovani. E a lei andava bene, anche se aveva qualche riserva su ciò che sembrava suggerire, e non perché Luther fosse un drago ansimante quando lo faceva. No, ma solo perché era passato molto tempo. Rabon era stato l’ultimo, naturalmente, e questa prontezza nell’accettare le regole dei Phoenix la sorprese un poco. Per anni aveva subito un processo di… (qual era la divertente volgarità usata da Melanie?) mummificazione , e non ci si poteva aspettare che lei si liberasse del sudario, dei balsami e degli altri conservanti, e che uscisse da un limbo durato molto a lungo in un solo pomeriggio.

Così quel giorno Zoe provò solo l’amara eccitazione del dolore, nonché la rapidità di Luther. Ma con il passare delle domeniche — la successiva con Paul, quella seguente con Luther, quella ancora dopo con Paul, e così via, secondo l’inclinazione ed una scaletta tutt’altro che rigida — le cose migliorarono. Poiché non era mai veramente morta, non ci volle un tempo così lungo come per l’ipotetica resurrezione di un Faraone. Assolutamente no. Perché lei era Zoe, Zoe Breedlove, e ormai non ricordava più il suo nome da ragazza.

10. Jerry e le sue manie

Che cosa faceva Jerry in quella stanzetta misteriosa, fra la sala comune e quella da pranzo? Zoe si chiedeva perché mai Jerry, non appena aveva un momento libero (dopo mangiato, prima di andare a letto, la domenica mattina) voltava la sua sedia a rotelle con un debole ronzio e si ritirava nella stanza. Jerry si assentava per tutto il tempo che aveva a disposizione: quindici minuti, trenta, o anche un’ora. Ciò che aveva incuriosito Zoe, fu di vedere la sua chioma voluminosa e gli occhi tristi attraversare il corridoio illuminato verso mezzanotte e tornare nella camera comune dopo una di queste frequenti assenze.

Quella domenica notte (anzi, più propriamente lunedì mattina), dopo aver avuto rapporti, sia sociali che carnali, con Luther, la cosa si verificò di nuovo, e Zoe udì l’uomo paralizzato ritornare nella camera fischiettando: — Zippity-Doo-Dah — pareva dire. Poi se ne andò a letto.

Jerry si coricava la sera, pensò Zoe, e la brioche era al pomeriggio. Aveva la mente confusa, in pieno caos. Era qualcosa che riguardava Toodles. E Helen, Parthena e Luther. Solo Paul ne era escluso, per ora almeno. Ma tutti questi Phoenix stavano dormendo.

— Jerry? — chiamò, mettendosi a sedere e appoggiando i piedi sul pavimento.

— Chi è? — Non riusciva più ad intravedere i suoi occhi, ma il casco macrocefalico della sua figura si voltò verso di lei: — Zoe?

— Sì — rispose. — Sono io. Non riesco a dormire. — Si infilò la vestaglia (Sanders le aveva portato al ricovero quasi tutte le sue cose quel sabato pomeriggio, ma non era salito a vederla) e camminò a piedi nudi sul pavimento dell’angolo riservato a Jerry.

I Phoenix potevano continuare a russare. Non c’era pericolo che quelle seghe raschianti cessassero di lavorare; c’era abbastanza rumore da farti desiderare di essere sorda, benché ogni suono fosse diverso dall’altro e piuttosto interessante: un’orchestra variegata. Là un fischio metallico. Là un corno acustico. Laggiù un basso tuba. Quello, un paio di sonagli. E…

Jerry sogghignò sardonicamente e si grattò il naso con un dito. — Non riesci a dormire, eh? Ti va di andare in cucina a bere qualcosa? Magari del vino. Il vino è indicato per l’insonnia.

— Il vino fa bene per molte cose. — commentò Zoe. — Volevo chiederti che cosa fai quando ti comporti così antisocialmente nei nostri riguardi e ti chiudi nello sgabuzzino. — Indicò la porta.

— Sei simpatica. Allora ti farò un quiz con più risposte. A) Sto producendo un elisir dell’eterna giovinezza; B) Sto mettendo a punto un congegno antigravitazionale che spedirà l’intera Atlanta fra le stelle; C) Sto commettendo innominabili crimini passionali sulla custodia di un vecchio telescopio e sul preparato di una scatola di Petri; oppure D) Io… io… Sto diventando matto, mia cara. Scegli, ti prego.

— D — rispose Zoe.

— Come?

— Scelgo la D. Mi hai detto di scegliere, ed io scelgo quella.

Come colpito da una brillante intuizione (ad esempio, la chiave per realizzare un apparecchio antigravitazionale), Jerry batté le mani e borbottò: — Ah, anche a quest’ora, la tua intelligenza non ti tradisce. Mi dichiaro battuto.

— Non ancora. Non mi hai ancora dato una vera e propria risposta, e sono quasi due minuti che ti sto parlando.

— Oh, oh! In questo caso, cara Zoe, vieni con me. — Jerry Zitelman-Phoenix si girò per lasciarsi cadere nella ronzante sedia a rotelle e varcò la porta della stanza comune. Zoe lo seguì.

Jerry scivolò lungo il corridoio, ma Zoe avvertiva più il rumore dei suoi piedi scalzi che il ronzio piacevole della sedia. Ronzio che si interruppe quando lui raggiunse la misteriosa stanzetta. — Avrei preferito attendere domani, sai. Ma col passare degli anni ho imparato a soddisfare i capricci delle signore che soffrono d’insonnia. D’altra parte ho terminato quello che stavo facendo. Non ti disturberà dare un’occhiata al frutto delle mie fatiche. Disturberà me, comunque. E tu potresti semplicemente prolungare la tua insonnia.

Alle due del mattino, e forse anche più tardi, Jerry era unico, un flusso inarrestabile di trovate. Non molto diverso da quel giovedì notte quando, sul terrazzo, si era messo a parlare delle stelle invisibili e della paralisi che lo affliggeva da una vita. Sciocchezze! Zoe ora lo conosceva meglio: lui era lo stesso di giovedì notte, se ti riferivi alla sua parte inferiore; quell’apparente cambiamento era solo nel modo di rivelare la sua personalità. Una maschera che si era tolto per un istante, e che si era subito rimessa. Oh, non era difficile mettere a nudo l’anima di quest’uomo. Dovevi solamente stare attenta a non distruggerla lasciandogli capire che tu potevi vederla a nudo. No, tieni il tappo sulla bottiglia, avvolgi il tuo fascio di emozioni in un vecchia giarrettiera. E sorridi, sorridi, sorridi.

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