Michael Bishop - Vita in famiglia

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Michael Bishop è senz’altro uno degli autori più completi e maturi della fantascienza degli anni settanta-ottanta, come testimoniano opere ricche di forza narrativa e di brillanti ritratti di culture aliene quali
e
. Qui lo vediamo all’opera nella descrizione di un’altra società di un futuro non molto lontano, costituita da «anziani» che si riuniscono in matrimoni di gruppo sponsorizzati dal governo. Il loro mondo e le loro strutture sociali sono affascinanti, ma sono proprio i personaggi, ognuno un essere umano magnificamente dipinto, che cattureranno la vostra attenzione e la vostra simpatia.

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— E tu che ne sai? È bello sapere che lui non è solo uno Stupido Vecchio.

— Oh, anche lui lo sembra — mormorarono all’unisono. — Ma c’è un’altra cosa che lo fa riflettere, dubitare ed esitare. La fortuna della Fenice. La maggior parte di noi ha passato i suoi guai. Ma Paul ha più di ottant’anni e non ha mai avuto delle opinioni costanti da quando ci siamo sposati. Mancò poco che Mr. Leland non lo accettasse per il suo programma, cinque anni fa. Fummo noi a convincerlo. E alla fine Mr. Leland lo prese, nella speranza che li riportassimo sulla strada giusta. E noi lo abbiamo fatto, e anche piuttosto bene.

— È stato Paul a suggerire il nome?

— No. O forse sì. Non ricordo esattamente. Ciò che ricordo è che il nome andava bene, era appropriato per ciascuno di questi motivi. Un altro ancora, poi, e forse il più valido, era una storia che mio nonno aveva ascoltato da suo padre. Parlava di una ragazza schiava, molto carina, che aveva il compito di curare il bambino del padrone, del «badrone», come lo chiamava il padre di mio nonno.

«Bene, quel bimbo cadde dalle scale proprio mentre la ragazzina stava badando a lui: aveva distolto lo sguardo per un minuto e il piccolo era caduto dai gradini e si era messo a strillare. Era spaventato, ma non aveva niente di rotto. Quando le donne bianche all’interno della casa udirono le grida, cominciarono a piangere e a disperarsi come se il bambino fosse rimasto ucciso. E continuarono così finché il «badrone» in persona non sopraggiunse, e domandò spiegazioni. Quando fu messo al corrente dell’accaduto, prese una tavola e colpì la giovane schiava sulla testa, uccidendola. Poi chiamò a sé un gruppo di negri (stavolta era mio nonno a chiamarli in questo modo) e ordinò loro di gettare la ragazzina nel fiume. La madre implorò, pregò e supplicò il padrone di risparmiare sua figlia, ma lui non le diede ascolto e ripeté l’ordine.

«Adesso la storia diventa magica, Zoe. Il nome della ragazzina era Phoebe, e cinque schiavi con la madre la condussero al fiume; il più robusto di loro stava davanti agli altri altri reggendo la piccola Phoebe, la cui testa ciondolava coperta di sangue, lugubre e gelida. Questo negro corpulento la gettò nel fiume come gli aveva ordinato il padrone, mentre la madre di Phoebe gemeva e si percuoteva, e poi costui seguì la ragazzina e si tuffò nell’acqua, annegando. Anche gli altri decisero di imitarlo. Ed entrarono nel fiume, per ultima la madre, pregando Dio che li chiamasse a sé tutti insieme.

«La notte successiva, i coloni bianchi che abitavano la grande casa, mentre stavano passeggiando lungo il fiume, tutt’a un tratto scorsero sette piccoli uccelli dall’aspetto triste che spiccarono il volo dall’acqua, in direzione della luna. Più si spingevano in alto e più diventavano grandi e splendenti, finché alla fine rimasero nel cielo come stelle, e tuttora stanno sopra la grande casa dei coloni bianchi. Diventarono una nuova costellazione, quella che tutti nella piantagione chiamano la Fenice, solo che essa non si muove come le altre, ma se ne sta immobile con le ali tese, lontana e sicura sopra la casa del «badrone».

«E questa è la storia, Zoe. Jerry dice di non aver mai sentito parlare di una costellazione della Fenice. Ma con quella cupola lassù, chi riesce a ricordare esattamente com’è il cielo? Nessuno, proprio nessuno.

«E io credo che esista, lassù, da qualche parte.

8. Visione futura: alla fine dell’Inverno

Quasi tre mesi (secondo il vecchio calendario) dopo essere entrata nel Ricovero Geriatrico non come paziente o prigioniera, ma come una vera e propria libera residente, una sera Zoe andò a sedersi sul terrazzo e ripensò alle fasi del suo lento ingresso nell’unità Phoenix. Aveva già cenato: nello stomaco e nell’intestino c’era un piacevole tepore.

La famiglia avrebbe deciso abbastanza in fretta. Quando si precipita verso i settanta o gli ottant’anni, come verso qualunque altra cosa che non sia la morte, i lunghi corteggiamenti sono folli quanto quelli impetuosi. Tre mesi erano tanti per decidere, forse troppi. Comunque adesso la stavano formalmente prendendo in considerazione, e poteva darsi che, mentre le offrivano quest’ora di solitudine, questo momento retrospettivo sul terrazzo oscurato, loro stessero già iniziando la procedura per la decisione ufficiale. C’era da dubitarne? Non erano stati impegnati in questo senso durante i giorni che Zoe aveva vissuto al loro fianco, partecipando alla loro vita?

Quella sera vide una navetta, e dei colombi che volavano in stormo descrivendo ampie volute attorno ad un’insegna al neon della Coca-Cola.

Uno sguardo a quanto era accaduto durante gli ultimi tre mesi V. Cal.: come prima cosa aveva scoperto che le Unità Settigame della Torre non risiedevano qui come semplici beneficiarie, come moltissimi poveri mendicanti che percepivano il sussidio di vecchiaia. La maggior parte di loro aveva versato regolarmente denaro per i programmi medicaid e futuro-sicuro della città; dal 2035, l’anno in cui erano cominciati gli studi del dottor Leland, i contributi trimestrali di tutti i residenti del ricovero erano stati messi in comune e investiti. L’operazione avvenne col consenso dei residenti, e solo un numero esiguo di essi si rifiutò di affidare la gestione dei loro interessi alla Commissione per lo Sviluppo Umano UrNu. E contro questa minoranza non vi fu alcuna ritorsione. In ogni caso i dividendi degli investimenti comuni e gli interessi ricavati da operazioni sicure provvedevano al vitto e all’alloggio dei residenti e garantivano loro anche dei fondi personali ai quali attingere. Inoltre costituivano un aiuto economico per le famiglie superstiti di coloro che venivano ammessi a collaborare nella ricerca.

Ogni famiglia aveva il suo contabile: Helen era quello dei Phoenix e, inforcando quei piccoli occhiali scuri che l’aiutavano a vedere, aggiornava i registri come una esperta C.P.A. (anche se ora la sigla era C.U.A., ricordò Zoe). Altre volte usava la sua macchina da scrivere Braille. Perciò gli abitanti della Torre non vivevano di sussidi, benché Zoe dovesse ammettere che la buona amministrazione del ricovero era dovuta all’impegno e all’abilità affaristica di chi gestiva i loro beni. Ma questo inconveniente era parzialmente evitato sia dal contabile di ogni Unità Settigama che faceva parte della Commissione di Pianificazione Finanziaria, sia dai ragguagli forniti dalle previsioni di mercato elaborate dai computer.

Giù al Livello 3 con Sanders e Melanie, i dividendi trimestrali venivano divorati come farina d’avena speziata solo un giorno o due dopo l’emissione degli estratti conto del programma futuro-sicuro. I Noble avevano versato l’intero importo, senza neppure una ricevuta, per garantire a Zoe il privilegio di vivere insieme a loro. Solo l’arrivo del bambino e la prospettiva di una restituzione totale della somma da parte della commissione li avevano indotti a liberarsi di Zoe. Come uno scambio di prigionieri, o la vendita di uno schiavo decrepito e ribelle. Sissignore, pensava Zoe: venduta lungo il fiume. Ma un fiume da cui era possibile volare via come un uccello luminoso, stillante di luce come se fosse acqua. Zoe era un vecchio uccello; un uccello di fuoco rinato nel Lete, ovvero nella negligenza e trascuratezza di Sanders e Melanie.

— Uno sfogo di autocommiserazione — disse Zoe a voce alta, rimanendone sorpresa. Sopra di lei, la navetta illuminata aveva quasi raggiunto l’apice della cupola.

Che altro ricordava? Che altro? Un mucchio di cose. Aveva conosciuto i membri di altre unità settigame, gli O’Possum, i Cadillac, i Greypanthers e, oh! anche tutti gli altri. C’era stato un party in giardino, un sabato sera, con rinfreschi, musica, e frivoli addobbi di carta. Gli assistenti del Ricovero avevano chiuso le finestre del patio, avevano provveduto ad isolare acusticamente le stanze del settore di cura intensiva, e poi tutti quanti se ne erano andati in città. Era presente anche il giovane Leland, dietro loro invito, e nessuno dei Phoenix, tranne Paul, se ne andò a dormire prima delle quattro del mattino. Dopo mezzanotte, Toodles aveva trascinato tutti in un’allegra, cacofonica versione di «Ef Ya Gotta Zotta».

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