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Michael Bishop: Vita in famiglia

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Michael Bishop Vita in famiglia

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Michael Bishop è senz’altro uno degli autori più completi e maturi della fantascienza degli anni settanta-ottanta, come testimoniano opere ricche di forza narrativa e di brillanti ritratti di culture aliene quali e . Qui lo vediamo all’opera nella descrizione di un’altra società di un futuro non molto lontano, costituita da «anziani» che si riuniscono in matrimoni di gruppo sponsorizzati dal governo. Il loro mondo e le loro strutture sociali sono affascinanti, ma sono proprio i personaggi, ognuno un essere umano magnificamente dipinto, che cattureranno la vostra attenzione e la vostra simpatia.

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Terminarono di sistemare la cucina. Quindi Parthena li precedette lungo il corridoio: aveva settantasei anni, e la sua figura era eretta e sottile come un manico di scopa.

— Ho altro da fare, stasera — disse Jerry. — Scusatemi. — Scivolò via nella sua sedia a rotelle e scomparve in una stanza nella quale Zoe non era ancora entrata.

Luther e Toodles si trovavano già vicini al telaio quando arrivarono: una mostruosa truttura di plastica su cui erano rigidamente stesi e fissati i riquadri cuciti, l’ovatta sintetica dell’imbottitura e il sottofodera. Zoe l’aveva notata quel pomeriggio, durante la festicciola musicale (un aereo dei fratelli Wright, realizzato con scarti da cucito), ma era sistemato dietro di loro e parzialmente nascosto da un paravento mobile, e nessuno si era preso la briga di spiegarle il suo scopo o la sua funzione.

Ora il paravento venne fatto scivolare lungo il muro, e Toodles e Luther sedettero ai lati opposti del telaio, facendo passare gli aghi attraverso i tre strati di tessuto. Helen, che ancora portava gli occhiali, sedeva tra i due, e Parthena e Zoe si misero sul lato del telaio che era piegato come un alettone. Era il 1903, e loro erano Orville e Wilbur, i folli piloti di Kitty Hawk, dove le sabbie del tempo si erano trasformate per magia in una superficie di linoleum.

— Helen — azzardò Zoe. — Con quegli occhiali sembra che tu intenda farci decollare fuori di qui, in cima alla cupola. — Oh. Poteva dire una cosa del genere ad una persona cieca?

Helen sollevò lo sguardo e fissò Zoe. Vista di fronte, gli occhiali (o lenti, o binocoli) le conferivano non tanto l’aspetto di un pilota di biplano, bensì di un ostile mostro spaziale. — Non sono orribili? — disse Helen. — È il motivo per cui non li porto sempre. — E con mossa esperta cominciò ad infilare l’ago negli strati di tessuto, estraendolo dalla parte opposta.

Parthena mostrò a Zoe come fare, dandole un ago e un ditale, e le fece osservare la sua tecnica. — Io ho insegnato a cucire a tutti gli altri… tranne che a Paul, lui non ama cucire e preferisce trascorrere i fine settimana pensando a come diventare immortale. Jerry si è seriamente impegnato ad imparare. Del resto è quasi sempre presente. Adesso infila il ditale sul pollice, ragazza, o ti pungerai con l’ago. Guarda me…

Zoe aveva cucito altre volte, in precedenza, e se l’era sempre cavata abbastanza bene. Calma, si disse, prenditela con calma; ed imparò piuttosto rapidamente a cucire come loro, unendo quei riquadri dai colori vivaci — giallo, verde e azzurro, secondo disegni floreali e a zigzag — e poi applicandoli alla fodera che ricopriva l’imbottitura. All’inizio occorse molta concentrazione, come per un pilota in fase di decollo; poi, una volta saliti in quota, diventava un volo senza problemi, rilassante. Nessuno parlava. Nessuno.

Quando mai si era sentita così serena e tranquilla? Sì, serena e tranquilla, ma con la sensazione di un piacere quasi fisico che le faceva scorrere deboli brividi lungo la schiena. La calma che regnava nella stanza era parte di quel piacere.

Poi Parthena cominciò a parlare, ma in un certo senso senza violare il silenzio in cui stavano lavorando: — Ero solita fare questo lavoro su a Bondville, quando mio figlio Maynard era molto piccolo e la costruzione della cupola non era neppure a metà. Oh, poi il vento cominciò a soffiare, e non c’erano cupole a fermarlo; allora noi usavamo queste trapunte per coprirci, e non per stenderle su questi vecchi muri scalcinati. Ricordo ancora come Maynard, mentre lavoravo, volesse infilarsi sotto al telaio, un telaio di legno che aveva costruito mio marito, camminando avanti e indietro, cosicché si vedeva solamente la sua testa spuntare da un capo all’altro del telaio, su e giù, finché dava l’impressione di voler sbucare fuori. Ridere? Oh Dio, di solito ridevo di lui con un certo risentimento, perché non capiva quanto era buffa la sua testolina.

La sua risata contagiò anche Zoe. — Adesso ha tre bambini, Georgia, Mack e Moses, e sua moglie che fa bene questo lavoro quanto me; forse meglio; lei è così dinamica.

Cucirono per un’ora. Quando smisero, Parthena insistette perché Zoe tornasse al dormitorio a vedere le foto dei nipotini. — Dimmi un po’, tu ami le foto e i bambini, vero? — Così Zoe la seguì. Si sedette su una seggiola mentre Parthena, dopo aver abbassato il suo letto ad un’altezza comoda, si mise a sedere sul bordo, come una cicogna color ebano.

— Questa è la mia impertinente Georgie — disse, porgendole la foto di una bella ragazza negra. — Adesso ha dodici anni ed è una ragazzina molto sveglia. Sta per andarsene da Bondville, e solo con i propri mezzi, con il suo fascino e la sua abilità. — I due ragazzi erano più cresciuti ed avevano un aspetto qualunque, e probabilmente erano persone qualunque. Nessuno di loro era più un bambino. — Voglio solo che tu sappia che avevo una famiglia, prima dei Phoenix. Io non sono come Luther e la povera Toodles che fino a sessant’anni hanno sofferto per non aver mai trovato una vera famiglia. Tuttavia, adesso hanno noi, e noi abbiamo loro, ma hanno fatto una lunga strada, Zoe, molto lunga. Anche Jerry. A volte prego per ringraziare della fortuna che ho avuto.

— Non ho mai pregato molto — disse Zoe, — ma ne ho provato il desiderio. — Era come amare qualcuno che non ti permette di dichiararlo, ricordò Zoe.

Le due donne continuarono a parlare mentre gli altri si preparavano per andare a letto. Parthena mostrò a Zoe alcune dentiere che le avevano fatto nel 2026, e volle che le prendesse e le esaminasse, quasi fossero i denti di un australopiteco. — Sono pulite — disse. — Non le ho più messe dal ’29. Il motivo per cui te le ho mostrate è che sono state fatte dal dottor Nettlinger.

— Chi?

— Gerard Nettlinger. Ti ricordi, Zoe. Quello che sparò a Carlo Bitler. Si alzò durante la riunione del Consiglio Urbano e sparò a quel sant’uomo. Il giorno in cui l’ho saputo, mi sono tolta le dentiere e non le ho più rimesse. Comunque, erano scadenti. Mi sono limitata a conservarle, così un giorno Maynard potrà venderle. La gente diventa follemente avida quando si tratta di cose appartenute a degli assassini. Impazzisce.

— Già — confermò Zoe. — Mio padre diceva che era il nuovo culto.

— Sciocchezze. Sono tutte cose prive di valore.

Chissà come, poi, la loro conversazione andò a finire sulle ragioni per cui i membri della famiglia d’origine avevano scelto Phoenix come nome del gruppo, anziché Sweetheart oppure O’Possum. Zoe aveva creduto che fosse perché a volte Atlanta veniva chiamata la Città della Fenice, dato che era rinata dalle sue stesse ceneri, dopo la Guerra Civile (che suo nonno, negli anni ’80 insisteva nel chiamare Guerra Tra gli Stati, come se ciò facesse una gran differenza). E quando, in quel decennio che collegava il nuovo secolo al precedente, venne costruita la cupola, Atlanta resuscitò. Era questa una delle ragioni del gruppo?

— Sì, anche questa — disse Parthena. — Ma non solo. C’è un altro motivo: tutti noi risorgiamo dalle nostre ceneri quando sottoscriviamo il contratto. Di nuovo carne ed ossa, Zoe, come Gesù.

— Sì, anch’io penso che sia per questo. E ciò rende il nome veramente appropriato.

— Già. Ma a Paul piace perché la fenice era un uccello egiziano che era immortale. Sembra morire, ma poi risorge, e la sua grazia nonché la bellezza delle sue piume rimangono immutate.

— Allora sarebbe stato felice con la Chiesa Orto-Urbanista. Essa sostiene che gli esseri umani risorgono dopo la morte.

— Paul dice che non è la stessa cosa. Perché gli uomini muoiono veramente, non fanno finta, e quindi non hanno un corpo a cui tornare. Paul è molto attaccato al suo corpo.

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