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Michael Bishop: Vita in famiglia

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Michael Bishop Vita in famiglia

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Michael Bishop è senz’altro uno degli autori più completi e maturi della fantascienza degli anni settanta-ottanta, come testimoniano opere ricche di forza narrativa e di brillanti ritratti di culture aliene quali e . Qui lo vediamo all’opera nella descrizione di un’altra società di un futuro non molto lontano, costituita da «anziani» che si riuniscono in matrimoni di gruppo sponsorizzati dal governo. Il loro mondo e le loro strutture sociali sono affascinanti, ma sono proprio i personaggi, ognuno un essere umano magnificamente dipinto, che cattureranno la vostra attenzione e la vostra simpatia.

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— Per quanto riguarda gli apprezzamenti che si è lasciata sfuggire — disse Luther, — quello è il suo stile. Non lo pensa veramente, anche quando è fuori di sé.

— Stupida donna — ripeté il vecchio francese (o di qualunque nazionalità fosse). — Continuate così, e morirete prima che io… ma io non sto per morire. — Lui fu l’unico a mangiare tutto quanto c’era nel piatto. E quand’ebbe finito, s’inumidì le labbra sottili, e abbassò maliziosamente la palpebra arrossata sull’occhio color ambra: un cenno d’intesa, per Zoe.

5. Reminiscenza rotazionale

Due ore dopo. Terrazzo della Torre dello Sviluppo Umano UrNu, nell’ala geriatrica. La temperatura si manteneva a 21 °C. Era calata la sera poiché i soli fluorescenti della città erano stati gradualmente attenuati.

I Phoenix si erano riconciliati e adesso sedevano in semicerchio presso la balaustra della torre ad osservare la Biomonitor Agency nel West Peachtree e, dieci piani più sotto, un parco pedonale illuminato. C’erano tutti i Phoenix, ad eccezione di quell’eccentrico di Paul: lui non era ancora salito. Tuttavia Zoe smise di pensare a quel vecchio bizzarro. La volta della cupola era ampia e senza nubi, e lei non aveva mai visto un crepuscolo simulato così suggestivo. Là sotto , al Livello 3, non c’erano molte possibilità. Adesso spuntavano migliaia di deboli punti luminosi che brillavano nel cielo della città il cui colore sfumava nel violetto. Lo splendore di quella visione toglieva il respiro.

Jerry Zitelman-Phoenix si portò alle spalle di Zoe con la sedia a rotelle. (Scivoli e ascensori gli permettevano di spostarsi in ogni parte del complesso.) — Ti chiedo scusa, Zoe, per le osservazioni inopportune che ho fatto in tua presenza.

— Io cerco sempre di scusarmi direttamente con l’interessato.

— Anch’io. Guarda, è tornata. — Infatti Toodles era lì, seduta con Luther, Parthena e Helen, intenta a raccontare altri particolari dei suoi acquisti pomeridiani. — Devo chiedere scusa anche a te, per la spiacevole situazione che si è creata — disse Jerry. — Ti chiedo di perdonarmi.

Zoe accettò le sue scuse, e Jerry riprese a parlare. Le disse che ogni due settimane, il martedì sera (come in quel momento), i Phoenix avevano a completa disposizione quella parte riparata del terrazzo. Quella sera era dedicata al gioco di «reminiscenza rotazionale», e stavano aspettando Paul, il quale non partecipava mai, ma insisteva per essere presente ad ogni sessione. Le regole, spiegò Jerry, erano semplici e sarebbero state chiare una volta cominciato a giocare. Poi, indicando l’involucro oscurato che li sovrastava, il guscio simile ad un favo sotto cui tutti vivevano, disse che da giovane era stato un astronomo.

— Anche adesso — continuò — di notte guardo lassù ed immagino le costellazioni che attraversano il cielo. Oh, Zoe, mi è chiaro come il sole, per dirla con un nonsense di Ferrand in versione Zitelman. Ma è vero, io riesco a vederle. Cassiopea, l’Orsa Maggiore, la Giraffa… Oh, le posso vedere tutte. La cupola non mi è d’ostacolo, Zoe, anche se non è certo un dono gradito. Anzi.

Jerry continuò a parlare. Le disse che l’unico vantaggio che la cupola gli offriva era quello di poter immaginare con altrettanta facilità le costellazioni dell’emisfero australe mentre sfilavano, riflesse sul suo volto. Perciò a volte immaginava il Cane Minore, l’Idra, l’Unicorno. Erano tutte là, così meravigliose nel loro splendore che era certo che un giorno avrebbe guidato la sua sedia a rotelle fin lassù, in quella trama scintillante, e avrebbe collegato fra loro quei piccoli diamanti con la punta arroventata di un grosso sigaro. — I sigari non mi sono più permessi — disse. — Neppure quelli neutri, senza tabacco e nicotina, senza alcun aroma. E le stelle…? — indicò la cupola.

— Ad ogni modo — commentò Zoe, — tre stelle le abbiamo. E si muovono.

Jerry piegò all’indietro il capo dalla foltissima chioma, le guance paonazze si schiarirono nella tenue luce riflessa. — Ah, sì. La monorotaia è tutto ciò che abbiamo, Zoe. Stanno riparando i riflettori sulla cupola. Di notte mandano fuori le navette magnetizzate illudendoci, con questo affronto alla nostra memoria, che il cielo non sia stato rubato. Ma è suggestivo, sono d’accordo con te. — Aveva ragione. Stelle artificiali, solo tre, in uno zodiaco di metallo. Che cosa provavano gli uomini all’interno di quei carrelli rovesciati? Come faceva quella vecchia canzone? Mentalmente cominciò a canticchiarla:

Vorresti una stella cavalcare?
Raggi di luna a casa, di lontano, portare?

— Dannazione a quel vecchio zombie! — esclamò Toodles, improvvisamente. — Cominciamo senza Paul, tanto lui non gioca.

— D’accordo — fece Luther. — Cominciamo pure.

Helen li convinse ad aspettare ancora qualche minuto. D’accordo con Zoe, perfettamente d’accordo. Lei ascoltò Jerry, il quale le raccontò di come venne coinvolto nel 1989 in un incidente automobilistico da cui uscì con le ossa rotte e paralizzato, quando la maggior parte delle vecchie interstatali stava andando in malora: pavimentazioni sconnesse, il ciglio infestato da erbacce, e lo spartitraffico invaso dai rovi. Da allora non fu più in grado di camminare. — Quando accadde, non avevo ancora avuto una relazione con una donna; e dopo sarebbe stato impossibile. A volte, la notte, piangevo. Come quel personaggio del libro di Hemingway, soltanto che lui non aveva le gambe rotte; si trattava di altro. Perciò non mi sono mai sposato, finché il dottor Tanner non mi ha ammesso qui, per le sue ricerche. Ho avuto tre mogli in una volta sola. Ed ora, a questa età e dopo la morte di Yuichan, sto aiutando le mie compagne a corteggiarne una quarta. Chi può affermare che non si tratti di una vita strana e imprevedibile, nonostante i nostri dolori e le nostre debolezze?

— Non certo io — fece Zoe. — Non io.

Jerry continuò raccontandole di come conseguì la laurea ed arrivò nella cupola insegnando astronomia con l’ausilio di manuali, proiezioni di diapositive e vecchi filmati. Aveva esercitato questa attività per quasi vent’anni, fino a quando la città decise che era assurdo pagare qualcuno che tenesse lezioni su di una materia di scarsa utilità per la nuova società. — Ffft! — fece. — Bruciato. Io ed altri insieme a me. Un intero programma stroncato. — Aveva dovuto vivere con la pensione per insegnanti e con i benefici della polizza futuro-sicuro in un cubicolo del Livello 6, finché…

— Come va? — disse Paul. — Avete già cominciato?

— Siediti — l’invitò Luther. — Dov’eri finito?

Paul si passò le dita fra i ciuffi di radi capelli e si lasciò cadere con uno scricchiolio sul bordo della sedia fra Parthena e Zoe. — Tirate fuori qualcosa per la notte per la nostra ragazza. Non si è portata niente. — Guardò Zoe ed ammiccò. — Anche se potrebbe benissimo rimanere senza.

— Sei proprio carino — disse Parthena. — Ma adesso giochiamo.

Così cominciarono. Le regole erano queste: 1) Bisognava stare in silenzio quando la persona di turno pensava ad un episodio della Pre-Evacuazione che desiderava rievocare per sé o, meglio ancora, per sé e per gli altri. 2) La rievocazione di quell’episodio doveva essere fatta con un’unica parola di senso compiuto, da pronunciarsi chiaramente una volta soltanto. 3) si osservava ancora un po’ di silenzio, perché la parola avesse il suo effetto. 4) Non era valida una parola già pronunciata in precedenza. 5) Il gioco terminava dopo due giri completi. 6) Per evitare una deprimente nostalgia del passato, non era consentito menzionare o riproporre nessuna delle reminiscenze del gioco, prima o dopo le sessioni medesime.

Helen, con una nuova macchina da scrivere Braille Gardner-Crowell, aveva il compito di registrare le dodici reminiscenze della serata e di rimproverare chiunque ripetesse qualcuna delle vecchie espressioni. Come Zoe scoprì più tardi, quando ciò accadeva venivano lanciate feroci accuse di senilità galoppante fra i partecipanti. Tuttavia, quella sera non vi era inquietudine. Era la prima volta che giocava, e non l’avrebbero fischiata, anche se la parola non fosse stata pari alle loro attese.

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