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Michael Bishop: Vita in famiglia

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Michael Bishop Vita in famiglia

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Michael Bishop è senz’altro uno degli autori più completi e maturi della fantascienza degli anni settanta-ottanta, come testimoniano opere ricche di forza narrativa e di brillanti ritratti di culture aliene quali e . Qui lo vediamo all’opera nella descrizione di un’altra società di un futuro non molto lontano, costituita da «anziani» che si riuniscono in matrimoni di gruppo sponsorizzati dal governo. Il loro mondo e le loro strutture sociali sono affascinanti, ma sono proprio i personaggi, ognuno un essere umano magnificamente dipinto, che cattureranno la vostra attenzione e la vostra simpatia.

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Si trovò sola col giovane Leland in una stanza che dava sul giardino; lui aveva scostato la tenda in modo che potesse guardare fuori mentre parlavano. Sedeva su una poltrona con ampio schienale tappezzata con spenti motivi floreali. I suoi piedi affondavano in un folto tappeto screziato. Su un piccolo tavolino di mogano era posato un servizio da tè di un delicato colore azzurrino, mentre il vassoio era d’argento.

Melanie e Sanders se n’erano andati da mezz’ora, ma non sentiva la loro mancanza. Avrebbe potuto passare molto tempo prima di avere l’occasione di rivederli, ma il fatto non la turbava. I gingko del giardino offrivano al suo sguardo il loro curioso fogliame orientale, ed il giovane la stava osservando come uno spasimante, anche se timoroso.

— È una stanza confortevole — fece Zoe.

— Be’, effettivamente — affermò lui, — è una sorta di camera di decompressione, o a tenuta stagna: l’arredo accogliente non deve trarre in inganno. Di solito non sono così esplicito quando ne spiego la funzione; la maggior parte dei futuri residenti del Ricovero Geriatrico devono essere introdotti un poco alla volta nel loro nuovo ambiente, senza il minimo accenno al cambiamento che si sta verificando. Ma tu, Zoe, non solo ne sei consapevole fin dall’inizio, ma possiedi anche la prontezza di spirito per accettarlo, come se non dovessi fare altro che infilarti un paio di calze.

— Non mi riesce più così facile, comunque.

Lui chinò il capo. — Ciò conferma quanto sto dicendo. Io ti considero una donna adattabile; una qualità che, oltre al colloquio che ho avuto con i tuoi, mi induce a sceglierti candidata per il secondo livello del nostro studio. Usare un termine come camera stagna per descrivere questo salotto non deve turbarti. Perché, Zoe, se decidi di restare con noi e confermare così la tua candidatura, sarai molto simile ad un astronauta che passa dall’angusto abitacolo della capsula — attraverso questa stanza, la tua camera stagna — nell’alieno ma sconfinato universo dello spazio esterno.

— Prima una negra venduta lungo il fiume. E adesso un’astronauta. — Zoe scosse il capo e guardò il cerchio umido che la tazza le aveva lasciato sulla gonna, sopra il ginocchio. — Sono vecchia, Mr. Leland, ma ancora in circolazione. Più di quanto si possa dire degli schiavi e degli astronauti, per fortuna, o sfortuna, a seconda dei casi.

Gli occhi viola del giovane Leland (si era tolto quegli orrendi occhiali) luccicarono come quelli di St. Nick, ma non si mise a ridere, non apertamente, almeno. — Quanti anni hai, Zoe? — chiese lui, invece.

— Sessantasette. Non glielo hanno detto?

— Certo. Volevo saperlo da te.

— Giusto. Sono nata nel 1973, prima ancora delle cupole, e arrivai qui ad Atlanta da Winder, Georgia, durante la Lotteria della Prima Evacuazione. Avevo ventidue anni, vergine e nubile, benché in quei giorni avresti fatto meglio a non confessare la prima condizione, un po’ come adesso. Conobbi mio marito, Rabon Breedlove, quando la cupola non era ancora ad un terzo della sua costruzione. Ma un terzo della mia vita — tutta la mia giovinezza, insomma — l’avevo passata all’Esterno, senza comprendere quanto fosse pericoloso, e i politici della città consideravano un tradimento trovarsi là fuori. — Vide che alcune foglioline scure di tè erano rimaste sul fondo della porcellana azzurrina quando posò la tazza vuota.

— E quanti anni ha Melanie?

— Ventotto o ventinove. Vediamo… — calcolò. — È nata nel 2011, l’ho avuta tardi ed è l’unica figlia. In precedenza Rabon ed io avevamo provato ad averne. Ho abortito quattro volte, mentre un’altra il bimbo nacque già morto e finì nei convertitori di rifiuti prima che avessi la possibilità di dargli un nome. Nessuno ci disse se era maschio o femmina. E infine arrivò Melanie, che nacque in inverno, proprio quando pensavamo che non ne avremmo mai avuto uno. Le sventure precedenti vennero dimenticate: finalmente, Rabon e io, avevamo il nostro roseo e vispo marmocchio.

— Lei aveva otto anni, quando tuo marito morì.

— Embolia.

Mr. Leland si alzò e andò alle tende della finestra. Lei vide che le scarpette del giovane sparivano nel folto tappeto, nonostante i suoi piedi fossero enormi. — Il Ricovero Geriatrico è diviso in due settori, Zoe: il primo comprende la casa di cura e l’ospedale, mentre il secondo è una comunità autonoma, amministrata dagli stessi residenti. Tu non hai bisogno del primo settore, ma puoi decidere di candidarti per il secondo.

— Oh, posso scegliere?

— Noi non costringiamo nessuno a restare, ma per quanto riguarda quelli destinati al settore di cura, per costoro è spesso impossibile scegliere. Le famiglie decidono al loro posto, e noi facciamo del nostro meglio per ridare loro la capacità di prendere decisioni in modo ponderato e autonomo.

— Che cosa significa essere «candidato»?

— Se lo diventerai, farai parte di una delle nostre comunità indipendenti. Tuttavia la permanenza in uno di questi gruppi dipenderà da te e dai membri del gruppo stesso.

— E se non andassi a genio a quei vecchi noiosi?

— È improbabile. Ma anche in questo caso ti troveremo un’altra famiglia o ti permetteremo di formarne una nuova. Qui non abbandoniamo nessuno, Zoe.

— Per la miseria — fece lei, calma. Mr. Leland inarcò le sopracciglia. — Mio padre usava quest’espressione.

Si rivolse a lei con grande franchezza. — Tuo marito è morto vent’anni fa. Ti andrebbe di risposarti?

— Mi sta facendo una proposta?

Ora sì che poteva ridere. Sia con la voce che con gli occhi. E lei ascoltava. — No, no — precisò. — Non c’è niente di personale. Pensavo alla prima unità settigama in cui vogliamo inserirti. O ai sei componenti che sono rimasti. Questo è il motivo. Avrai sei compagni, e non uno solo, Zoe. Tre mariti e tre mogli, se questi termini significano ancora qualcosa in un contratto matrimoniale di questo tipo. Il nome dell’unità familiare è Phoenix. E se rimarrai con queste persone il tuo nome sarà Zoe Breedlove-Phoenix, almeno entro i confini del Ricovero Geriatrico. Ma lo sarà anche altrove, se le cose andranno come speriamo.

— Sembrano dei giocatori di bridge a cui manca l’ottavo per completare due tavoli.

— Farai qualcosa di più che giocare a bridge con queste persone, Zoe. Niente false modestie, niente inibizioni socialmente indotte. Il numero dispari risponde ad una precisa esigenza, e non è semplicemente un modo bizzarro di mescolare le carte. Impedisce le situazioni di parità, le quali, talvolta, si verificano su basi estremamente arbitrarie. I vecchi programmatori della NASA lo sapevano bene, quando destinarono tre uomini per le missioni Apollo. Noi, qui, osserviamo lo stesso principio.

— D’accordo, Mr. Leland. Ma ricorderà anche che di questi tre astronauti solamente due scendevano per l’allunaggio.

Il volto equino di Leland impallidì, e le guance, la mascella e i denti si contrassero fino a trasformare la sua abituale espressione nel sogghigno di un ragazzino impertinente. Si grattò fra i capelli arruffati: pelo sulla testa, pelo attorno alle scarpe: — Forse devo ritirare l’offerta dell’unità Phoenix e tenerla per me, signora Breedlove. Tutto ciò che posso risponderti è che l’allunaggio non deve necessariamente rispettare la tradizione. Nella maggior parte dei casi il contratto di settigamia ha funzionato piuttosto bene in questi ultimi cinque anni, qui al ricovero. E la tua intelligenza e prontezza di spirito mi inducono a credere che sei in grado di confermare la tua candidatura e contrarre matrimonio coi Phoenix. Vuoi essere candidata, Zoe?

Zoe posò la tazza sul vassoio d’argento. — Mr. Leland, lo sa che avrebbe dovuto fare l’attore brillante? — con questo non voleva assolutamente insinuare che lui potesse rivaleggiare con Sanders Noble in quanto a senso dell’umorismo. Nossignore. Sanders riusciva a restare serio in una stanza satura di gas esilarante.

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