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Frederik Pohl: Dolce triste regina delle isole vaganti

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Frederik Pohl Dolce triste regina delle isole vaganti

Dolce triste regina delle isole vaganti: краткое содержание, описание и аннотация

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Dopo un lungo periodo d’inattività letteraria, in cui si era limitato alla direzione di collane come «If» e «Galaxy», una decina d’anni fa Fred Pohl riprendeva a scrivere, sbalordendo tutti con opere stupende come e , e dimostrando una capacità di rinnovamento incredibile in un autore che aveva alle spalle una carriera tanto lunga e luminosa. Soltanto questo Pohl, il Pohl della seconda giovinezza, avrebbe potuto scrivere un romanzo breve come questo: scritto in uno stile vagamente ispirato al compianto Cordwainer Smith, in un futuro al tempo stesso assurdo e affascinante, dove navi grandi come isole traggono succo e minerali dai mari della Terra e dove si snoda bella e avvincente la vicenda romantica di un uomo che cerca di proteggere se stesso e una dolce fanciulla da un fato iniquo e dalle minacce di un morto.

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Guardavamo le navi cisterna attraccare al nostro scafo per ricevere nel loro ventre capace l’ammoniaca da noi prodotta, tenendoci un fazzoletto sul naso per non sternutire, e ascoltavamo i sibili dell’idrogeno che pompavamo nelle navi frigorifero, mentre le luci rosse lampeggiavano per ammonire di non accendere fiammiferi e non creare scintille… come se nella Flotta ci fosse qualcuno tanto idiota! Scendevamo attorno alle grandi turbine a bassa pressione che trasformavano il calore in elettricità, e dalla poppa gridavamo grandi saluti agli equipaggi dei battelli da esplorazione che partivano in cerca di superfici più calde e fondali più freddi verso cui fare rotta. Ogni membro dell’equipaggio conosceva May e la coccolava quando lei lo permetteva. Non era un vero e proprio equipaggio, quello: era una piccola città. Avevamo gli addetti alla centrale elettrica, chimici e agronomi, oceanografi, macchinisti, ufficiali di rotta, cuochi, uomini tuttofare, cinque pompieri, ufficiali alle macchine e squadre di meccanici, e perfino giardinieri e contadini per le coltivazioni sul ponte. In tutto, a bordo c’erano oltre milleottocento esseri umani, e credo che May li conoscesse tutti per nome. Ma io ero quello che le stava più vicino: ero il suo padrino e il suo amico. I bambini erano un centinaio, e quattro ragazzine della sua età divennero le sue amiche del cuore, ma io continuavo a essere una persona speciale per lei.

E poi, una mattina, il commodoro venne a colazione nella camera di May, come faceva spesso quand’era a bordo. Sembrava sfinito; ammise d’aver dormito male quella notte, poi ad un tratto cadde in avanti con il volto nel piatto e morì.

Perdonai il commodoro per essere morto a quel modo; non fu colpa sua ed è una cosa che accade a tutti. Ma non gli perdonerò mai d’essere morto lasciando un testamento a causa del quale Ben, il suo figlio bastardo, fu legalmente insignito del compito di essere il guardiano di May finché non fosse giunta al trentesimo anno d’età.

Ben arrivò a bordo prima che il corpo del commodoro fosse freddo, e si sistemò nelle sue stanze prima che l’odore del suo sigaro si fosse dissolto. Il testamento gli conferiva l’uso delle azioni con diritto di voto appartenenti a May. Io avrei potuto proibirgli di vendere o frazionare il patrimonio; avrei potuto riscuotere i dividendi e utilizzarli come credevo meglio… ma dove avrei trovato un investimento migliore delle isole galleggianti?

In ultima analisi, dunque, non potevo fare niente.

Per un mese, poi, sussultai ad ogni ombra, ad ogni minimo rumore alle mie spalle in attesa del sicario pagato dal commodoro, ma costui non comparve. Ebbi però la prova della sua esistenza quando giunse una lettera dalla Nuova Guinea per posta aerea. Diceva soltanto: Non è stata colpa tua, questa volta.

Il commodoro ruppe così non una, ma due delle promesse che mi aveva fatto. La prima era stata quella che riguardava il sicario se non avessi tutelato a dovere gli interessi di May, e sapevo di aver fallito in quel compito, ma non fui ucciso. La seconda era il suo impegno che non avrei dovuto preoccuparmi mai più di niente, mentre invece da quel giorno e per vent’anni di fila non feci altro.

II

Vent’anni e uno fu la sua età di sposa,
ma non fui io cui sorrise radiosa.
Ed a ventidue anni la fanciulla
d’un cupo e asprigno infante empì la culla.
Lo crebbe e lo allevò e gli fu vicina
dell’isole vaganti la regina.

Quando May compì quindici anni, la Van Dorn tornò a lavorare in sala macchine e May partì per la scuola. Portò con sé le amiche con cui era cresciuta, quelle che chiamavamo le altre quattro May, ma Ben non mi permise di andare con loro. — Se vuoi mantenere il tuo lavoro e la tua paga, Jason — ringhiò, — bada di lasciar stare mia sorella May. Quando sarà pronta per amare un uomo sceglierà un giovanotto ricco, bello e istruito, non un vecchio sporcaccione che dorme con le sue calze sotto il cuscino. — Questa era una bugia, e glielo urlai in faccia. Ma tutto il resto era vero: il mio amore era sempre lì. Se May avesse avuto cinque anni di più… se in quel momento avesse avuto anche un solo anno di più le avrei rivelato i miei sentimenti prima che partisse. E forse non mi avrebbe risposto un no. Fra noi c’erano trent’anni di differenza, certo, e non ero precisamente bello. Ma lei s’era sempre sentita a suo agio con me, si fidava di me, e non per caso.

Così Ben il Bastardo venne a insozzare la residenza del proprietario, con la sua moglie giallognola e la loro tozza figlia giallognola, Betsy, a cui non ero mai piaciuto. Potete stare certi che la ricambiavo. L’intera famigliola mi ripugnava. Non avevo mai conosciuto la madre di Ben, anche se sapevo chi era: un’impiegata negli uffici di un avvocato, che il commodoro aveva circuito pur di gettare uno sguardo su alcuni documenti che per lui significavano denaro. Lui aveva gettato lo sguardo; lei s’era tenuta il bambino. Ovviamente al commodoro non era passato neppure per la testa di portarla all’altare, visto che lei non aveva il becco d’un quattrino, e al momento del parto era già lontano e dimentico della cosa. Ma devo dire che il commodoro poi riconobbe questo suo figlio. Pagò un assegno mensile per mantenerlo, anche quando tirar fuori i soldi era duro. Lo mandò a scuola e infine gli diede un impiego nella Flotta, anche se non in mare. Tuttavia non volle che avesse il suo nome.

Perciò fu Benjamin (che significa Dono di Dio ) Zoll (il cognome della madre) che quel giorno venne a bordo con in tasca il testamento e nel cuore la ferma volontà di regnare sovrano.

Be’, aveva qualcosa di più che la semplice arroganza. Era un uomo dall’animo gretto, ma un accanito lavoratore. Il primo giorno era già attorno allo scafo in tuta da sommozzatore, e nelle saldature dei serbatoi poppieri scoprì alcune fessure che lo resero furibondo. Prima di sera venti addetti alla manutenzione erano stati licenziati. I nuovi assunti rigarono dritto, e devo dire che mettemmo fine a quella che era stata un perdita di migliaia di dollari alla settimana.

Un’isola galleggiante con i generatori a energia termica vive della differenza che c’è fra la temperatura dell’acqua di fondo e quella di superficie. Quest’ultima scalda il fluido di lavoro, un alocarbonato con bassissimo punto d’ebollizione il cui vapore finisce nelle turbine a bassa pressione. Queste producono elettricità, che usiamo per scindere idrogeno dall’acqua ed estrarre azoto dall’aria, vendendo poi sia questi prodotti sia altri derivati. La difficoltà sta nel fatto che l’alocarbonato è un fluido troppo costoso e non lo si può lasciare a contatto dell’aria. Dev’essere condensato e poi riciclato, cosa per cui occorre una bassa temperatura. Il mare ci dà anche questa. Ci sono immense correnti fredde a livello del fondale, raramente a meno di cinquecento metri dalla superficie, così dobbiamo pompare incessantemente. Pompare acqua fredda dalle profondità, pompare il fluido di lavoro nei collettori solari, pompare acque negli impianti elettrolitici dove si produce il gas, pompare il gas nelle navi frigorifero che lo portano via… su ogni cento kilowattore di energia da noi prodotta, novantasette servono per far funzionare gli impianti.

Ma quello scarto del tre per cento basta a farci ricchi, perché una volta ammortizzate le spese di costruzione un’isola galleggiante resta sempre all’attivo.

Ben Zoll non aveva mai lavorato a bordo, così aveva molto da imparare: fece in fretta. Dal commodoro non aveva ereditato il nome, ma le sue capacità organizzative erano le stesse.

Il nome ce l’aveva May. E Ben il Bastardo le lasciò soltanto quello, bloccando le sue azioni con diritto di voto e tenendola fuori dal consiglio d’amministrazione della Flotta.

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