Gene Wolfe - Il miracolo nei tuoi occhi

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— Vuole ripetermi il suo nome, signore?

— George Tibbs. Anche il mio ragazzo si chiama George Tibbs.

— George, questo è tuo padre? — chiese la signorina Munson.

— Come può saperlo? È cieco.

Little Tib rimase zitto, e l’Uomo Importante disse: — Forse sarà meglio andare tutti in ufficio. Lei ha detto d’essere del Governo Federale, signor Tibbs?

— Dell’Ufficio di Eugenetica. Suppongo che vi sorprenda vedere che sono soltanto un contadino dalle scarpe fangose, ma… sono stato assunto tramite il Ministero dell’Agricoltura.

— Ah!

La signorina Munson, che stava conducendo con sé Little Tib per mano, svoltò un angolo.

— Ora sto lavorando a un caso… Forse sarebbe meglio che il bambino aspettasse fuori.

Una porta fu aperta. — Come capirà, non abbiamo potuto identificarlo — disse l’Uomo Importante. — Non ha più le retine. Questa è la ragione degli spazi vuoti nei nostri moduli d’iscrizione.

La signorina Munson aiutò Little Tib a trovare una sedia e disse: — Aspetta qui. — Poi la porta si chiuse e i tre s’allontanarono. Lui si premette le nocche delle dita sugli occhi, e per un istante miriadi di puntolini luminosi vagarono sullo sfondo sfavillante della polvere gettata in aria dall’ometto in verde. Ripensò a quel che avrebbe potuto fare, senza fuggire. E ripensò a Krishna, perché lui era stato Krishna. Quel Dio era fuggito? O era ritornato a combattere contro il Re che aveva cercato di ucciderlo? Non poteva esserne certo, ma non credeva Krishna capace di fuggire. Gesù era scappato in Egitto, certo, però era tornato. Non a Betlemme, il paese da cui era fuggito, bensì a Nazareth, perché quella era la sua vera casa. Ricordò d’aver accennato alla storia di Gesù parlando con suo padre mentre sedevano nell’autobus. Lui aveva accantonato l’argomento, ma Little Tib sentì che in qualche modo era importante.

La seggiola era dura, più dura di ogni pietra su cui si fosse mai seduto. Mentre rifletteva sentiva i rigidi braccioli di legno ai lati del suo corpo, e oscuramente avvertì in essi qualcosa di terribile, qualcosa che non riusciva a precisare. Proprio fuori dalla porta la campanella suonò, e poi ci furono gli schiamazzi dei bambini che uscivano nei corridoi. Quello era un luogo chiuso, ma loro si riversavano fuori dalle porte, si sparpagliavano all’esterno come farfalle nella fragranza del prato verde.

Si alzò ed a tentoni trovò il montante della porta, aprendola. Non poteva dire se qualcuno lo stesse notando, ma un istante dopo era immerso nel fiume dei bambini che si spingevano avanti confusamente. Si lasciò trasportare da loro giù per le scale.

All’esterno li sentì scorrere intorno a sé, ridenti e ciarlieri. Appena fu libero dalla loro pressione cominciò a camminare, e fin dal primo passo seppe che avrebbe potuto andare avanti così tutto il giorno: era la sensazione più gradevole che avesse mai provato. Procedette fra i ragazzini finché non ebbe sotto le dita l’inferriata che circondava la scuola, poi lungo le sbarre fino al cancello, e uscì in strada.

Dovrei procurarmi un bastone , pensò.

Quand’ebbe percorso quelli che giudicò fossero stati circa cinque chilometri udì in distanza il fischio di un treno, e s’avviò in quella direzione. Le rotaie erano molto più facili da seguire dei bordi di una strada: l’aveva imparato già da mesi. C’erano meno probabilità d’incontrare gente, e i treni passavano solo una volta ogni tanto. Le auto e i camion invece transitavano di continuo ed erano pericolosi.

Dopo un po’ riuscì a trovare un buon bastone, leggero e flessibile, della lunghezza giusta. Allora risalì sulla massicciata delle rotaie e su quel percorso regolare il suo passo si fece più sicuro. Davanti a lui c’era una ragazzina, e accorgendosi di poterla vedere seppe per certo che si trattava di un angelo. — Come ti chiami? — le chiese.

— Non dovrei dirtelo — rispose lei, — però tu puoi chiamarmi Dorothy. — Gli domandò il suo nome, e lui non disse di chiamarsi George Tibbs bensì Little Tib, perché era così che sua madre e suo padre l’avevano sempre chiamato.

— Tu hai guarito la mia gamba, così verrò con te — affermò Dorothy. (Dalla voce non sembrava veramente la stessa bambina.) Dopo un po’ aggiunse: — Potrò esserti molto d’aiuto. Io posso dirti cosa c’è da guardare.

— So che puoi farlo — disse umilmente Little Tib.

— Come adesso, ad esempio: c’è un uomo là, davanti a noi.

— Un uomo cattivo? — chiese Little Tib, — o uno buono?

— Un tipo simpatico; un po’ malvestito.

— Ehilà! — esclamò la voce di Nitty. — Mai avrei creduto di vederti qui, George. Ma suppongo che avrei dovuto aspettarmelo.

— La scuola non mi piaceva — disse Little Tib.

— Questa è la differenza fra me e te. A me piaceva; solo, sembra che io non sia piaciuto a lei.

— Mr. Parker non ti ha fatto riavere il tuo lavoro?

— Ho idea che Mr. Parker si sia dimenticato di me.

— Questo non avrebbe dovuto farlo — sospirò Little Tib.

— Be’, caro il mio bambino cieco, il fatto è che Mr. Parker è un uomo bianco, sai. E quando un uomo bianco è stato aiutato da un negro, qualche volta preferisce dimenticarselo.

— Capisco — disse Little Tib, benché non avesse capito. Nero e bianco gli sembravano due cose decisamente prive d’importanza.

— Ma ho sentito dire che a volte succede il contrario — rise Nitty.

— Questa è Dorothy — disse Little Tib.

— Io non riesco a vedere proprio nessuna Dorothy, George — disse Nitty in tono un po’ sconcertato.

— Be’, io non riesco a vedere te — osservò Little Tib.

— Suppongo che sia così. Allora, salve Dorothy. Dove state andando di bello tu e George?

— Andiamo a Sugarland — gli rispose Little Tib. — A Sugarland sanno sempre chi sei.

— Esiste davvero questa Sugarland? — chiese Nitty. — Ho sempre pensato che quel posto te lo immaginassi soltanto.

— No, Sugarland è nel Texas.

— Ma non mi dire! — esclamò Nitty. La luce del sole, ormai prossimo al tramonto, indorava le traversine rendendole gialle come il burro. Nitty prese per mano Little Tib, lui strinse quella di Dorothy, ed i tre s’incamminarono lungo le rotaie. Nitty occupava parecchio spazio fra esse, ma Little Tib non ne prendeva molto, e Dorothy praticamente non ne occupava affatto.

Quando furono mezzo chilometro più avanti cominciarono a saltellare allegramente.

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