Gene Wolfe - Il miracolo nei tuoi occhi
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- Название:Il miracolo nei tuoi occhi
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- Издательство:Nord
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- Год:1987
- Город:Milano
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— Lo avrebbe guardato negli occhi e avrebbe saputo chi era — disse Little Tib. E dopo un momento: — Avreste dovuto fare così con quei bambini e quelle bambine.
— Lo facemmo — disse Indra. — Non fu individuata nessuna anormalità, ma il fenomeno continuava a verificarsi. — La sua voce si fece più profonda e solenne che mai. — Riferimmo questo al Presidente. Lui ne fu molto preoccupato, sapendo che nelle attuali instabili condizioni sociali la comparsa di un simile individuo può essere la molla che fa scattare gravi disordini interni. Fu deciso di mettere fine all’esperimento.
— Di dimenticarlo, e basta? — chiese Little Tib.
— Il materiale dell’esperimento doveva essere sacrificato per prevenire la continuazione dei fenomeni e le possibili conseguenze a livello di massa.
— Non capisco.
— Ci fu l’ordine di rimandare ai biologi i cervelli e i midolli spinali dei bambini per farli esaminare.
— Oh, conosco già questa storia — disse Little Tib. — Ma un angelo avvertì Giuseppe e Maria, ed essi portarono il bambino Gesù nella terra d’Egitto in groppa a un somarello.
— No — disse Indra, — quella è un’altra storia. All’esperimento fu così messo termine, e i fenomeni cessarono. Ma poche settimane più tardi scattò l’allarme automatico istallato nella banca centrale dei dati. Era stato identificato un individuo paranormale, a circa cinquecento chilometri dalla località dell’esperimento. Molti agenti furono inviati a fermarlo, ma non lo si poté rintracciare. Fu a questo punto che capimmo d’aver fatto un grave errore. Avevamo usato il metodo per l’identificazione e la cattura dei criminali già servito in altri casi: la distruzione delle due retine. Questo significava che il soggetto non avrebbe potuto essere identificato una seconda volta.
— Capisco — disse Little Tib.
— Questo metodo s’era dimostrato abbastanza valido contro i delinquenti: il soggetto poteva essere identificato con altri sistemi, mentre la risultante cecità gli impediva la fuga e un’efficace resistenza. Naturalmente il motivo per cui lo si era adottato stava nel fatto che poteva esser messo in opera senza sostanziali modifiche meccaniche nei terminali periferici: un breve supervoltaggio alle luci al sodio normalmente usate per fotografare la retina era tutto ciò che occorreva.
«Stavolta, però, il sistema sembrava aver lavorato contro di noi. Quando gli agenti arrivarono sul posto il soggetto era scomparso. Non aveva emesso lamenti, né grida, né proteste. I tecnici addetti all’apparecchiatura del terminal non sapevano neppure cos’era successo. Fu tuttavia possibile esaminare le registrazioni di quelli che avevano preceduto e seguito la persona che era stata esaminata e accecata dall’apparecchio. Sai cosa scoprimmo?
Little Tib sapeva ormai che avevano scoperto che era lui, ma rispose: — No.
— Scoprimmo che si trattava di uno dei bambini geneticamente alterati dall’esperimento. — Indra sorrise. Little Tib non poté vedere il suo sorriso, ma lo sentì ugualmente. — Non lo trovi strano? Uno dei bambini frutto dell’esperimento.
— Credevo che fossero tutti morti.
— Anche noi lo credevamo, finché non capimmo cos’era successo. Ma vedi, i bambini sacrificati erano quelli che avevano subito ie modifiche genetiche prima della nascita. Quelli del gruppo di controllo non erano morti e lui era uno di loro.
— Gli altri bambini — disse Little Tib.
— Si. Quelli normali, poveri, le cui madri li avevano portati al centro per denaro. Questo era il motivo per cui dividere in due il gruppo non aveva funzionato: quelli del gruppo di controllo venivano portati dentro tutti, ogni volta. Ma non poteva esser vero, naturalmente.
— Cosa? — mormorò Little Tib.
— Non poteva esser vero… tutti fummo d’accordo su questo. Non poteva essere uno del gruppo di controllo: sarebbe stata una coincidenza incredibile. Doveva essere successo che una delle madri (forse uno dei padri, ma più probabilmente una delle madri) aveva intuito con molto anticipo quel che avremmo fatto, e per salvare il suo bambino lo aveva sostituito con un altro. E questo era certamente accaduto qualche anno prima.
— Come la madre di Krishna — disse Little Tib, ripensando alla storia del Dr. Prithivi.
— Sì. Gli Dei non nascono in una stalla.
— E ucciderete anche l’ultimo bambino… quando lo troverete?
— So che l’ultimo di quei bambini sei tu.
Non c’era nessuna speranza di sfuggire a una persona dotata della vista all’interno di quell’autobus, ma Little Tib cercò di correre via a tentoni. Non aveva neppure fatto tre passi che Indra lo afferrò per le spalle spingendolo di nuovo a sedere dov’era prima.
— Adesso mi vuoi uccidere?
— No.
All’esterno esplose un tuono. Little Tib fece un balzo, credendo per un istante che Indra avesse sparato con una pistola. — Non adesso — ripeté l’altro, — ma presto.
La porta fu socchiusa ancora, e Nitty disse: — Venite fuori, sta per piovere e il Dr. Prithivi vuole mostrare il pezzo forte prima che cominci.
Con Indra quasi incollato alle spalle Little Tib lasciò che Nitty lo aiutasse a scendere gli scalini dell’autobus. Fuori c’erano centinaia di persone: poteva udire lo strusciare dei loro piedi e il mormorio delle voci. Alcuni stavano parlando fra loro, altri cantavano, ma i rumori si placarono quando i tre passarono fra essi. L’aria si appesantiva per l’avvicinarsi del temporale e c’era odore di vento.
— Attento — disse Nitty, — c’è uno scalino alto.
Erano di legno grezzo robusto e polveroso: sette scalini. Salì fino in cima e…
Poteva vedere.
Per un istante (benché fosse soltanto un istante) pensò di non essere più cieco. Era in un villaggio fatto di capanne di fango, e intorno a lui c’era diversa gente di pelle bruna con grandi e liquidi occhi neri: uomini che esibivano cercini rossi o gialli o blu arrotolati sulla testa, e donne brune dai lunghi abiti variopinti. Nell’aria c’era odore di cucina, di vacche e di polvere, e dietro il villaggio si levava una montagna perfettamente conica e bianca come un gelato alla panna, e al di là della montagna si stagliava un cielo colmo di palazzi, carrozze ed elefanti dipinti, e più più oltre ancora innumerevoli volti umani.
Poi capì che era soltanto immaginazione, soltanto un sogno; e non un sogno suo, stavolta, ma del Dr. Prithivi. Forse il Dr. Prithivi poteva sognare come lui, e così intensamente che gli angeli scendevano ad avverare il sogno; forse era invece l’immaginazione onirica dell’uomo che passava attraverso di lui. Ripensò a ciò che aveva detto Indra: che sua madre non era la sua vera madre e seppe che non poteva essere così.
Una donna dai capelli neri, con un grazioso volto a forma di cuore, disse: — Suona per noi. — E lui ricordò d’avere ancora in mano il flauto di legno. Se lo portò alle labbra, senza sapere se avrebbe saputo suonarlo o meno, e ne uscì una musica meravigliosa. Non era lui a farla, tuttavia mosse le dita sui fori fingendo di suonare e danzò. Le donne ballarono con lui, talvolta battendo le mani e talvolta agitando campanelle.
Gli parve che fosse trascorso solo un momento dall’inizio della danza quando comparve Indra. Era più alto di suo padre e aveva la faccia nascosta da una maschera di legno scolpito, dal naso adunco. Nella mano destra impugnava una spada minacciosa, curva e ondulata come un serpente, e nella sinistra aveva un occhio scintillante. Quando Little Tib vide l’occhio seppe perché Indra non lo aveva ucciso mentre erano soli sull’autobus. Qualcuno, lontano da lì, stava guardando attraverso quell’occhio, e finché avesse visto che lui faceva quelle cose (quelle che talora riusciva a compiere: far apparire e sparire gli oggetti, parlare con certi angeli) Indra non avrebbe potuto usare la spada. Io non voglio che lo faccia! pensò, ma sapeva di non poter sempre fermare gli avvenimenti, e che talvolta gli avvenimenti lo portavano via con loro.
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