Gene Wolfe - Il miracolo nei tuoi occhi
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- Название:Il miracolo nei tuoi occhi
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- Издательство:Nord
- Жанр:
- Год:1987
- Город:Milano
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In quel momento il tuono scosse le nuvole, e la voce del Dr. Prithivi disse: — Suona con il tuono! Suona con la tempesta. Questo è l’ideale per ciò che stiamo cercando di fare!
In piedi, dinanzi a Little Tib, Indra disse qualcosa circa il fatto di chiamare tanta pioggia da spazzar via il villaggio; e la voce del Dr. Prithivi incitò Little Tib a scalare la montagna.
Lui guardò e vide la montagna vera, lontana e stupenda; sapeva di non poterla scalare.
Poi cadde la pioggia, le torce si spensero, ed essi rimasero in piedi sul palco immerso nel buio con l’acqua fredda che ruscellava sui loro volti. Si accesero luci elettriche, e Little Tib vide centinaia di persone che correvano alle loro auto; fra esse c’erano un uomo mascherato da scimmia, un altro con la testa d’elefante e un terzo con nove facce.
Subito dopo fu di nuovo cieco, e per lui non restò altro che la sensazione del ruvido legno sotto i piedi, della pioggia battente e la consapevolezza che Indra era ancora dinanzi a lui, brandendo la sua spada e l’occhio.
E poi un uomo fatto interamente di metallo (al punto che la pioggia tamburellava sonoramente su di lui) fu anch’egli in piedi lì accanto. Era armato d’accetta e portava un cappello a punta; e nella luce riflessa dalla sua superficie liscia Little Tib poté vedere anche Indra e l’occhio.
— Tu chi sei? — chiese Indra all’Uomo di Metallo.
— Chi sei tu ? — replicò lui. — Non vedo la tua faccia dietro quella maschera di legno… ma il legno è cosa che non può opporsi a me. — E con l’accetta colpì la maschera scolpita. Una scheggia ne volò via, la cordicella che la teneva a posto si spezzò e l’oggetto cadde al suolo.
Little Tib vide comparire il volto di suo padre, rigato dalla pioggia che ora lo bagnava. — Chi sei tu? — domandò ancora suo padre all’Uomo di Metallo.
— Non mi riconosci, George? — disse l’Uomo di Metallo. — Una volta eravamo vecchi amici. Io sono, se così posso dire, un sentimentale, e quando…
— Papà! — gridò Little Tib.
Suo padre si volse a guardarlo e disse: — Ciao, Little Tib.
— Papà, se avessi saputo che tu eri Indra non avrei avuto paura, là dentro. Quella maschera cambiava tanto la tua voce.
— Non dovrai aver più paura di niente, figlio mio — disse suo padre. Fece due passi verso il bambino, e un istante dopo, quasi troppo veloce per essere vista, la sua spada lampeggiante gli si abbatté addosso.
L’accetta dell’Uomo di Metallo fu ancora più veloce: si alzò di scatto, e la lama di Indra vi impattò con un clangore violento.
— Questo non lo salverà — disse il padre di Little Tib. — L’hanno visto, e hanno visto anche te. Volevo farla finita più in fretta.
— Non hanno visto me — disse l’Uomo di Metallo. — È più buio di quel che credi.
E d’un tratto fu buio. La pioggia cessò… o se continuò a cadere Little Tib non l’avvertiva più. Non capiva come l’avesse intuito, ma sapeva dov’era: si trovava in piedi, immobile, di fronte al computer, e i diavoli non erano ancora andati via da lì.
Poi la pioggia fu di nuovo su di lui, e seppe d’essere davanti a suo padre, ma l’Uomo di Metallo se n’era andato e il buio tornò ad avvolgerlo rendendolo cieco più che mai. — Vuoi ancora uccidermi, papà? — chiese.
Non ci fu risposta, e ripeté la domanda.
— Non adesso — disse suo padre.
— Più tardi?
— Vieni qui. — Sentì la mano del padre su un braccio, un contatto che conosceva bene. — Siediti. — Fu condotto sul bordo della piattaforma e aiutato a sedersi, con le gambe di fuori.
— Ti senti bene? — domandò Little Tib.
— Sì — rispose suo padre.
— Allora perché volevi uccidermi?
— Io non volevo farlo. — D’improvviso la voce dell’uomo suonò irritata. — Non ho mai detto che volevo. Dovevo farlo: questo è tutto. Guardaci, tutti noi, guarda cosa siamo diventati. Costretti a spostarci da un posto all’altro costruendo case, zappando la terra, affidandoci alla misericordia divina come nei secoli scorsi. Siamo dei cani della prateria, ecco quello che siamo. Tu ricordi i cani della prateria, Little Tib?
— No.
— Fu molto prima che tu nascessi, è vero. Erano cani che cacciavano in branco, per vivere dovevano stare in branco. Ma anni fa qualcuno decise che non servivano a niente, e riuscirono a disperderli, e morirono tutti. Per circa un anno ne trovai molti, qua e là, da soli e morti. Poi non ce ne fu più. Aspettarono a riunirsi in branco finché non fu troppo tardi, capisci: o forse non poterono. Ed è la stessa cosa che succede alla gente come noi. Voglio dire la nostra famiglia. Cosa credi che ci sia accaduto?
Little Tib, che non poteva capire la cosa, non disse nulla.
— Quand’ero ragazzo e andavo a scuola volevo sapere tutto su quei grandi uomini, i Re e le Regine e i Presidenti, e mi paceva pensare che vivevano nell’insieme delle loro famiglie. Questo non era del tutto vero, ora lo so. Se tu potessi tornare ai tempi della Bibbia troveresti la nostra gente a vivere insieme nelle capanne di legno come i pellirosse.
— Questo mi piacerebbe — disse Little Tib.
— Ma i boschi e le capanne sono stati spazzati via, e la nostra gente ha dovuto cominciare a tirar fuori il nutrimento dalla terra, zappare e sudare sangue. Non abbiamo potuto far altro che questo da allora, e lasciarci spremere dalle tasse. Mi capisci? Non potevamo far altro. E infine non ci sono più state offerte di lavoro per quelli come noi. Dobbiamo tornare a unirci prima che sia troppo tardi… lo capisci questo?
— No — disse Little Tib.
— Tu sei unico. Fai prodigi e sei un guaritore, e così loro ti vogliono morto. Perciò adesso sei la nostra moneta di scambio. Tutti nascono per uno scopo, figliolo, e questo è lo scopo per cui sei nato tu. Perché grazie a te la famiglia potrà riunirsi prima che sia troppo tardi.
— Ma se io sarò morto… — Little Tib cercò di metter ordine nei suoi pensieri. — Tu e mamma non avete altri figli.
— Non capisci, vero?
Suo padre gli mise un braccio attorno alle spalle, e si chinò finché i loro volti si sfiorarono. Ma in quell’istante Little Tib ebbe l’impressione che nel volto di suo padre ci fosse qualcosa di sbagliato. Alzò le mani a toccarlo, e quel contatto gli diede un ansito.
— Non avresti dovuto farlo — disse lui.
Little Tib mosse le dita sulle guance dell’uomo che fingeva di essere suo padre. Il volto di lui era nuovamente di legno, duro e freddo.
— Adesso sono un uomo del Presidente; non volevo che lo sapessi, perché pensavo che ti avrebbe sconvolto. Il Presidente sta seguendo la situazione personalmente.
— Mamma è ancora a casa? — domandò Little Tib, e intendeva la nuova casa.
— No, fa parte di altro dipartimento: il G-7. Ma la vedo ancora, ogni tanto. Adesso è ad Atlanta.
— Mi sta cercando?
— Non me lo ha detto.
Nel petto di Little Tib, proprio nel punto duro dove le costole si riunivano al centro del torace, qualcosa cominciò a gonfiarsi ed a comprimergli i polmoni come un palloncino. Gli rendeva quasi impossibile respirare, e gli stringeva la gola impedendogli di pronunciare una sola parola. Dentro di sé gridò disperatamente che quella non poteva essere la sua vera madre, e che quell’uomo non era il suo vero padre. Sua madre e suo padre, quelli veri, erano stati la madre e il padre che lui aveva avuto nella vecchia casa. E avrebbe tenuto loro nei suoi ricordi, per sempre. La pioggia gli cadeva fredda sulla faccia, aveva il naso pieno di muco; fu costretto ad aprire la bocca per respirare, ma anch’essa era piena di liquido: saliva che gli colò lungo il mento e lo fece vergognare di sé.
Poi le lascrime furono un torrente caldo che gli inondò le guance intirizzite. Sentì la maschera di legno di Indra cadere al suolo e rimbalzare da qualche parte alla base del palco.
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