La sua carriera poteva attendere; la scienza poteva attendere. La famiglia era più importante.
Adesso era in grado di dimostrare a Becky, così come l’aveva dimostrato a se stessa, che quell’uomo, quel marito, quel padre, non aveva mai commesso gli atti infami di cui era stato ingiustamente accusato. Niente altro doveva avere la precedenza.
Un modo poteva consistere nel mostrare a Becky gli archivi della sua stessa mente. Esisteva però sempre il serio problema di come distinguere i ricordi falsi da quelli veri. Perché i ricordi posticci dovevano apparirle autentici a tutti gli effetti, altrimenti Becky li avrebbe senza dubbio respinti… sì, ovvio, dovevano sembrarle genuini al pari di ogni altro ricordo anche se visti dall’interno… con la differenza…
Con la differenza che non si sarebbe potuto usarli come trampolino per spostarsi nella mente di qualcun altro.
Ma certo!
La traslazione di Necker, il trasferimento nella mente di una persona che doveva aver vissuto e quindi ricordare la medesima scena, sicuramente non avrebbe funzionato se i ricordi erano falsi, se non esisteva effettiva corrispondenza mnemonica fra le due menti.
Heather, nel caso avesse nutrito dubbi residui circa il comportamento di Kyle, avrebbe potuto violare l’intimità di Becky, rintracciare i falsi ricordi e dimostrare a se stessa l’impossibilità di passare dalla prospettiva di Becky a quella di Kyle.
Dubbi, però, grazie al cielo non ne aveva; e inoltre…
Inoltre, una cosa era cercare ricordi che si era augurata con tutto il cuore non esistessero… ben altra cosa vedersi proporre un episodio di molestia, per quanto falso. No, molto meglio lasciare a Becky, che già aveva marchiate dentro di sé quelle immagini ripugnanti, il compito di sperimentare personalmente l’impossibilità, per loro tramite, della traslazione di Necker. Immagini posticce, scene mai avvenute, ricordi creati ad arte… ma Heather preferiva non assistervi.
Se poi Becky avesse preteso un’ulteriore prova, l’avrebbe senz’altro ottenuta ripercorrendo il cammino di Heather, tramite un accesso diretto alla mente di Kyle.
Kyle ne sarebbe uscito completamente scagionato… ma sarebbero davvero migliorate le cose fra padre e figlia se, pur scacciato quel demone, Becky avesse scoperto che nell’affetto di lui aveva contato di più la figlia maggiore, che la sua nascita andava imputata in realtà a un malaugurato incidente che aveva mandato a picco il bilancio familiare in un periodo in cui i suoi genitori stavano ancora lottando per completare il loro corso di studi… e che, oltretutto, nel cervello di suo padre trovavano comunque posto anche pensieri meschini e volgari?
Passava effettivamente di lì la strada verso la guarigione?
Non sembrava proprio.
E poi c’era un modo migliore: far sì che Becky potesse scrutare nella mente dell’analista, constatando di persona la manipolazione e le menzogne.
Il che avrebbe anche potuto, di per sé, non fugare completamente i suoi dubbi. Sebbene i metodi dell’analista fossero inadeguati e fuorvianti, ciò non escludeva in assoluto la possibilità che si fossero verificati abusi. Ma dimostrandole nel contempo che i suoi ricordi erano falsi, presenti solo in lei, non condivisi da nessun altro, si sarebbe probabilmente riusciti a convincerla.
Era tempo di agire. La guarigione non poteva più attendere.
Heather prese il telefono e chiamò Becky.
Il Quartiere della Moda, dove Becky abitava e lavorava, era situato pochi isolati a ovest dell’Università; Heather chiese quindi a Becky d’incontrarsi a pranzo all’Abbeveratoio. Nei giorni trascorsi a indagare la mente di Kyle aveva appreso su di lui molte cose inedite e talvolta curiose, non ultimo il fatto che suo marito nutriva da qualche tempo un vero e proprio debole per quel locale, davanti al quale era passata lei stessa migliaia di volte senza mai entrarvi.
Al momento Kyle era impegnato a lezione, quindi il rischio che finissero per ritrovarsi lì tutti e tre sembrava scongiurato.
Heather conosceva già l’interno dell’Abbeveratoio attraverso la mente di Kyle: cercando i ricordi relativi a Becky, aveva fra l’altro individuato quella volta che Kyle si era confidato con Stone Bailey.
Visitare il locale dal vivo fu comunque sorprendente. Innanzitutto i colori le apparvero, ovviamente, diversi da quelli veduti nella mente di Kyle. Ma non finiva lì. Kyle aveva immagazzinato solo alcuni dettagli, trascurandone molti altri. Gran parte di quanto egli ricordava di quel luogo consisteva in interpretazioni o deduzioni. Certo, l’oloposter della birra Molson con la biondona supercarrozzata non gli era sfuggito, ma quanto agli altri poster che ravvivavano le pareti, li aveva completamente cancellati. E le tovaglie le ricordava di un rosso uniforme, mentre in effetti recavano un motivo a minuscoli quadrettini bianchi e rossi.
Era lunedì 14 agosto; questa settimana Becky lavorava al negozio d’abbigliamento per tutto il sabato e la domenica, però aveva liberi il lunedì e il martedì. Tuttavia era in ritardo e, quando finalmente arrivò, sfoggiava un’aria tutt’altro che allegra.
— Grazie per essere venuta — esordì Heather mentre Becky si accomodava dall’altra parte del tavolino rotondo.
— Ho accettato solo perché mi hai garantito che non ci sarebbe stato lui — rispose Becky, scura in volto; e non c’erano dubbi circa l’attribuzione di quel pronome.
Heather aveva sperato da sua figlia qualche battuta distensiva, qualche notizia di carattere personale, ma la conversazione nasceva sotto cattivi auspici. Inutile tirarla per le lunghe. Annuì, seria, e disse: — Dobbiamo risolvere questo problema con tuo padre.
— Se avete intenzione di propormi una transazione, allora voglio l’assistenza di un avvocato.
Heather si sentì come se l’avessero schiaffeggiata. Annaspò un poco, poi le riuscì di tirar fuori le parole. — Non ci sarà nessun processo.
— Neanch’io vorrei arrivare in tribunale — replicò Becky addolcendosi un po’. Non era mai stata brava a tenere il muso. — Però devi renderti conto che mi ha rovinato l’esistenza.
— No, non è vero.
— Non sono venuta qui per sentirti prendere le sue difese. Cercare di discolparlo è peggio che…
— Basta così! — tagliò corto Heather, con un tono di voce talmente aspro che persino lei ne fu sorpresa. Sul volto di Becky era evidente lo stupore.
— Fammi il piacere di stare zitta — continuò Heather. — Ti stai rendendo semplicemente ridicola. Quindi chiudi la bocca, prima di dire qualcosa di cui ti potresti pentire.
— Vedo che ho fatto male a venire — rinunziò Becky e cominciò ad alzarsi.
— Non ti muovere! — scattò Heather. I pochi avventori, ormai, non facevano più finta di ignorare la scena. Heather trafisse con lo sguardo il più vicino, costringendolo a tornare alla sua pietanza.
— Io posso dimostrarti che tuo padre non ti ha molestato — riprese Heather. — Posso di mostrartelo completamente, oltre ogni ombra di dubbio, finché non capirai e ti convincerai di quale è la verità.
Becky era rimasta a bocca aperta. Fissava sua madre, attonita.
Il cameriere scelse proprio quel momento per fare la sua comparsa. — Buongiorno, gentili signore. Cosa posso…
— Ora no — lo bloccò Heather. Il cameriere ci rimase male, ma batté rapidamente in ritirata.
Becky la guardava incredula. — Come sei diventata aggressiva…
— È perché ne ho strapieni i coglioni. — Per Becky una sorpresa dopo l’altra: quando mai sua madre aveva usato un linguaggio del genere? — Nessuna famiglia dovrebbe passare quello che stiamo passando noi. —. Heather trasse un respiro profondo. — Ascolta, mi dispiace, ma questa storia deve finire. È chiaro? Deve finire! Non ce la faccio a continuare così, e nemmeno tuo padre. Quindi, appena usciamo di qui, tu vieni con me al mio ufficio.
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