Evocò un’immagine dei seni di sua figlia, rosei, lisci, color vino sulla punta, con in mezzo il neo. E inserì quella suggestione entro la matrice mnemonica di Kyle, cercando una corrispondenza.! Che non venne.
Poiché erano trascorsi circa tre anni e il suo ricordo poteva essersi affievolito, provò a immaginare mammelle un pochino più voluminose, capezzoli di varie sfumature, nei più o meno grandi…
Nessuna corrispondenza. Kyle non aveva mai visto quel neo.
“Lui veniva nella mia stanza, mi faceva togliere la giacca del pigiama, mi accarezzava i seni e poi…”
E poi niente. Kyle non aveva mai veduto sua figlia a seno nudo, mai comunque dopo la pubertà, mai da quando Becky aveva iniziato a sviluppare un petto da donna.
Heather si sentiva tremare in tutto il corpo. Non era mai accaduto, dunque. L’accusa era infondata. Non c’era stato alcun abuso.
Brian Kyle Graves era un uomo degno di ogni rispetto, un buon marito… e un padre esemplare. Non aveva mai fatto del male a sua figlia. Heather ne era certa. Finalmente ne era certa.
Sul suo volto scorrevano le lacrime. Ma lei se ne accorgeva appena: sensazione d’umidore, gusto salato a fior di labbra, un’intrusione dal mondo esterno.
Aveva avuto torto… anche solo a sospettare suo marito. Se l’accusa avesse riguardato lei, Kyle le sarebbe rimasto accanto, senza mai dubitare della sua innocenza. Lei, invece, aveva dubitato, recandogli in tal modo un’offesa tremenda sebbene non l’avesse mai accusato direttamente. E la vergogna di aver dubitato era quasi intollerabile.
Con uno sforzo di volontà, Heather si distaccò dallo psicospazio. Rimosse la porta cubica, uscì barcollando nella luce cruda delle lampade di scena.
Poi si asciugò gli occhi, si soffiò il naso e, abbandonata nella poltroncina dell’ufficio, lo sguardo fisso sulle tende scolorite, si mise a raccogliere i pensieri, cercando da che parte incominciare per far la pace con suo marito.
Suonarono alla porta del laboratorio. Al lavoro insieme a Kyle c’erano due specializzandi. Uno di loro andò ad aprire.
— Vorrei vedere il professor Graves — annunciò l’uomo comparso sulla soglia.
Kyle alzò gli occhi. — Il signor Cash, vero? — disse andandogli incontro a mano tesa.
— Esatto. Spero non le dispiaccia se mi presento senza appuntamento, ma…
— Ma no, si figuri.
— Avrei bisogno di parlarle, professore.
— Andiamo nel mio ufficio. — Poi, rivolgendosi a uno dei collaboratori: — Pietro, lei continui intanto a lavorare sul problema dell’indeterminazione. Torno fra pochi minuti.
L’assistente annuì. Kyle e Cash s’incamminarono per il corridoio sino a raggiungere l’angusto vano cuneiforme. Mentre Cash rimirava il poster dell’ Allosaurus , Kyle si diede da fare a liberargli una sedia (“Scusi il disordine…”), nella quale poi il visitatore inzeppò il suo corpo angoloso.
— Professor Graves, ha avuto tempo tutto il fine settimana. Mi auguro che abbia trovato modo di prendere in considerazione l’offerta dell’Associazione Bancaria.
Kyle annuì. — Sì, certo, ci ho riflettuto. Cash attese, paziente.
— Mi spiace, signor Cash, ma il fatto è che non me la sento di abbandonare l’Università. In tutti gli anni che ho passato qua dentro, mi sono sempre trovato bene.
Cash annuì. — So che ha conosciuto qui sua moglie e conseguito qui tutte e tre le sue lauree.
— Esatto. — Kyle si strinse nelle spalle. — Praticamente, è casa mia.
— Credevo di averle fatto un’offerta molto generosa — osservò Cash.
— Non lo metto in dubbio.
— Ma se necessario, posso anche aumentarla.
— Non è questione di soldi. Proprio stamattina dicevo la stessa cosa a un’altra persona. Mi piace stare qui e voglio che i frutti delle mie ricerche, se ve ne sono, possano essere pubblicati.
— Ma l’impatto sull’industria bancaria…
— Ascolti, mi rendo conto anch’io che potrebbero sorgere problemi. Crede forse che voglia provocare il caos?
Dovranno passare anni prima che la sicurezza delle carte di credito sia davvero minacciata. Provi a metterla così: siete stati preavvisati che probabilmente, nel prossimo futuro, gli elaboratori quantici diverranno realtà; quindi adesso potete mettervi al lavoro su nuovi sistemi di codifica. Siete sopravvissuti alla crisi dell’anno duemila… supererete di sicuro anche questo ostacolo.
— Speravo tuttavia di poter risolvere la questione rapidamente e nel modo più vantaggioso per tutti.
— Comperando il mio silenzio.
— Ci sono in gioco enormi interessi, professore. Mi dica il suo prezzo.
— Con mia grande soddisfazione, signor Cash, ho scoperto di non essere in vendita.
Cash si alzò. — Eppure tutti gli uomini hanno un prezzo, professore. Nessuno escluso. — Si diresse alla porta. — Se dovesse cambiare idea, me lo faccia sapere.
Poi se ne andò.
Heather aveva un problema: convincere sua figlia della verità. Se voleva rimettere insieme la famiglia, bisognava cominciare da Becky.
Il che portava a una questione ancor più spinosa.
Quando rendere di dominio pubblico la scoperta dello psicospazio?
All’inizio aveva mantenuto il segreto in attesa di sviluppare una teoria adeguata, tale da giustificare la pubblicazione di un articolo. Ma ormai di materiale ne aveva più che a sufficienza.
Eppure esitava ancora. Per assicurarsi la priorità le sarebbe bastato inviare preliminarmente una comunicazione anche sommaria al gruppo di discussione sul Segnale Alieno. In seguito si sarebbe dedicata alla stesura d’ineccepibili resoconti dettagliati da sottoporre al vaglio di specialisti; però poteva annunciare la sua scoperta anche subito. Già, ma poi?
Secondo Platone, una vita avulsa dalla conoscenza non è degna di essere vissuta. Ma il grande ateniese si riferiva alla conoscenza di sé.
Come avrebbe reagito, la gente, sapendo che chiunque poteva scrutare i pensieri di chiunque altro? Che sarebbe successo alla vita privata? Ai segreti industriali? Alla giustizia penale? Ai rapporti interpersonali?
Sarebbe cambiato tutto e, sospettava Heather, non tutto per il meglio.
Comunque non stava li la ragione del suo riserbo. Non si trattava di nobile sollecitudine verso l’altrui intimità, sebbene gradisse pensare che quell’aspetto della questione non la lasciava indifferente; a parte Kyle, in effetti, si era ben guardata dal cedere alla tentazione e raggiunto il suo scopo, non aveva violato la mente di altre persone a lei note.
No, il vero motivo era molto più semplice: le piaceva rimanere, almeno per un po’, l’unica ed esclusiva depositaria di quel potere. Aveva qualcosa che nessun altro aveva e ancora non le andava proprio di cominciare a dividere la torta.
Discutibile quanto si voglia, questo era il suo sentimento. Forse che Superman si era mai preoccupato di escogitare un sistema per conferire superpoteri al resto dell’umanità? No, ovviamente. Gli erano capitati e se li teneva. Perché, quindi, lei avrebbe dovuto precipitarsi a spartire il malloppo?
Non aveva ancora trovato nulla, nello psicospazio, che corrispondesse esattamente agli archetipi junghiani. Non poteva indicare una zona del maelstrom e dichiarare: ecco, quella rappresenta la sorgente dei simboli umani; non poteva scegliere un gruppo di esagoni e affermare: ecco, lì dentro c’è l’archetipo dell’eroe guerriero. Le bastava tuttavia riflettere su che fare con la sua scoperta per riuscire a vedere più a fondo nella propria mente.
Innanzitutto, lei chi era? Una madre? Una moglie? Una scienziata?
C’erano archetipi parentali e archetipi coniugali, ma il concetto occidentale di scienziato non possedeva una definizione junghiana.
Una decisione del genere l’aveva già presa in passato.
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