— Ciao, Testolina — la salutò Kyle.
Becky sorrise.
Anche loro erano stati una famiglia. Heather provò una fitta di dolore al pensiero di quel che avevano perduto.
Adesso, comunque, disponeva di un’immagine di Becky su cui basarsi. Se ne sarebbe servita come punto di partenza per esplorare la sua presenza nei ricordi di Kyle. Avrebbe anche potuto, ovviamente, passare dalla mente di lui a quella di Becky, ma non vedeva giustificazione a un atto del genere. Per quanto scorretto fosse violare l’intimità di Kyle, e lei lo faceva tutt’altro che volentieri, tale scelta si basava su un motivo assai forte. Ma invadere la mente di Becky…
No, non l’avrebbe fatto, soprattutto perché non sapeva ancora se c’era modo di distinguere i ricordi falsi da quelli veri. Avrebbe quindi continuato la sua ricerca, i Suoi scavi, qui, nella mente di Kyle. Dopo tutto era lui l’accusato.
Ma quale sarebbe stato il verdetto?
Lunedì mattina Kyle arrivò presto in laboratorio. Uscito dall’ascensore al terzo piano e superata la curva del corridoio, il cuore gli balzò in petto. Alla ringhiera che delimitava l’atrio stava appoggiata una donna dalle fattezze asiatiche.
— Buon giorno, dottor Graves.
— Ah, buongiorno, signora…
— Chikamatsu.
— Sì, certo, signora Chikamatsu. — Il suo vestito grigio scuro dava l’idea di essere ancora più costoso di quello che indossava la volta prima.
— Debbo dire che lei ha ignorato sia le mie telefonate sia i messaggi di posta elettronica.
— Mi spiace tanto, ma sono stato occupatissimo. Oltretutto non ho ancora risolto quel problema, sa. I campi di Dembinski li abbiamo stabilizzati, ma la decoalescenza rimane alta. — Kyle sovrappose il pollice alla piastrina di riconoscimento. La porta del laboratorio trillò il proprio assenso e la serratura si aprì con uno schianto da poligono di tiro.
— Buon giorno, dottor Graves — salutò Cita, rimasto ininterrottamente in funzione da sabato. — Vorrei proporle una nuova… oh, chiedo scusa, non mi ero accorto che fosse in compagnia.
Kyle si tolse il berretto che portava sempre in estate per proteggersi la pelata e lo appese all’annoso attaccapanni. — Cita, ti presento la signora Chikamatsu.
Gli occhi di Cita ronzarono mettendosi a fuoco. — Lieto di fare la sua conoscenza, signora Chikamatsu.
La visitatrice inarcò perplessa le sottili sopracciglia.
— Cita è una SCIMMIA — spiegò Kyle. — In pratica, una simulazione computerizzata del comportamento umano.
— In tutta sincerità, debbo dire che trovo offensivo l’uso del termine “scimmia” — dichiarò Cita.
Kyle sorrise. — Vede? Un moto d’irritazione perfettamente imitato. Sono stato io stesso a programmarlo. Nell’ambiente universitario è la prima cosa di cui si ha bisogno: la capacità di offendersi per qualunque mancanza di rispetto, vera o presunta che sia.
Dall’altoparlante di Cita scaturirono le note iniziali della Quinta di Beethoven.
— E questo che sarebbe? — trasecolò la Chikamatsu.
— La sua risata. Prima o poi dovrò decidermi a cambiarla.
— Ottima idea — approvò Cita. — Basta con questi archi pretenziosi. Che ne direbbe invece di un leggiadro strumento a fiato? Magari un flauto di Pan?…
— Come? — esitò Kyle. — Ah, ho capito. — Rivolgendosi all’ospite: — Cita si diletta a coniare battute di spirito. 0 almeno ci prova.
— Ma che c’entra il flauto di Pan? Non vanno bene i violini?…
Kyle non poté evitare un sogghigno. — Pan è il nome scientifico degli scimpanzé, che fra le scimmie antropomorfe sono probabilmente i più simili agli esseri umani.
La giapponese scosse la testa, più sconcertata che convinta. — Se lo dice lei… Ma ora parliamo di cose serie. Allora, la sua decisione circa l’offerta del mio consorzio? È del tutto evidente che una volta raggiunto il risultato lei sarà ancor più sommerso di lavoro, quindi desideriamo che sin da ora s’impegni ad affrontare il nostro problema con priorità assoluta.
— Vede, signora Chikamatsu — rispose Kyle intanto che trafficava con la caffettiera — le dirò che ne ho parlato con mia moglie, la quale è assolutamente convinta che qualunque cosa Huneker abbia scoperto debba appartenere all’intera umanità… e io credo che mia moglie abbia ragione. Sarò quindi ben lieto di contribuire a decifrare il messaggio di cui lei mi ha parlato, però non firmerò mai alcun impegno di segretezza circa il suo contenuto.
La donna si accigliò. — Mi hanno autorizzata a rincarare l’offerta. Che ne direbbe di una partecipazione del tre per cento…
— Evidentemente non mi sono spiegato. Non è questo, il punto.
— Allora saremo costretti a rivolgerci al dottor Saperstein.
Kyle digrignò i denti. — Mi rendo conto. — Poi, sorridendo: — Be’, gli porti i miei saluti. — “Così quel pidocchio saprà che prima sono venuti da me e che ricorrono a lui solo perché io ho rifiutato.”
— Le sarei davvero grata se volesse ripensarci — insisté la Chikamatsu.
— Mi spiace, ma alle vostre condizioni la risposta è no.
— Nel caso dovesse cambiare idea — si rassegnò la donna porgendogli un biglietto da visita in plastica — mi chiami. — Kyle prese la carta e le diede un’occhiata. Portava stampigliato niente altro che CHIKAMATSU, ma lungo il bordo correva una banda magnetica. — Sarò al Royal York per un altro paio di giorni… però le basterà inserire la carta in un telefono qualunque, ovunque si trovi, per chiamare il mio cellulare, a mie spese.
— Non cambierò idea — replicò Kyle.
La Chikamatsu annuì e si diresse alla porta.
— Potrei sapere di che cosa stavate parlando? — domandò Cita non appena la visitatrice ebbe tolto il disturbo.
— La sostanza di cui sono fatti i sogni — rispose Kyle, imitando Humphrey Bogart nel Falcone maltese.
— Pardon? — si sorprese Cita.
Kyle alzò gli occhi al cielo. — Ah, questi giovani moderni!…
Rovistando nella mente di Kyle, Heather trovò ogni genere di ricordi relativi a Becky, ma nessuno che riguardasse la sua accusa.
Trascorse ore nello psicospazio, interrompendosi solo ogni tanto per andare in bagno, e durante una di quelle soste si ricordò di dare un’occhiata alla registrazione attraverso il mirino del camcorder.
Osservò sbigottita l’intera struttura accendersi d’un luccicore sfolgorante, sia la vernice sia il substrato, poi ciascun cubo parve rapidamente allontanarsi sganciandosi con una torsione dal complesso.
E all’improvviso, incredibilmente, più nulla. Andato. Scomparso.
Spostandosi con l’avanti veloce lo vide d’un tratto tornare a esistere scaturendo dal nulla.
Fantastico.
Quindi si ripiegava davvero anà o katà, infrangendo gli ordinari limiti del reale per trasferirsi in un’altra dimensione.
Heather continuò a cercare per tutto il fine settimana, imbattendosi in molti aspetti di Kyle. Sebbene fosse concentrata nell’individuare i suoi pensieri riguardo alle figlie, trovò anche ricordi sul suo lavoro, sul loro matrimonio… e su di lei. Scoprendo che non sempre era apparsa ai suoi occhi del tutto esente da pecche… Come sarebbe, un principio di cellulite? Ma scherziamo!
Un’esperienza illuminante, un itinerario affascinante, un’avventura appassionante. Quante cose avrebbe voluto continuare a imparare, su di lui… Ma non poteva indugiare. Era in missione.
Finalmente, lunedì mattina, dopo tanto girovagare, trovò quel che stava cercando.
E si arrestò, sgomenta, non sapendo se andare avanti.
Lo stupro di quell’anonima ragazza francese la tormentava ancora, ma questo…
Questo, se i suoi mai sopiti timori si rivelavano fondati…
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