Il giornalista stava ripensando alla lite della sera prima con sua moglie; inoltre era combattuto circa l’atteggiamento da prendere nei confronti della figlia adolescente avendo scoperto che fumava l’erba, e cercava di decidere sino a che punto mostrarsi irritato, visto che di marijuana lui pure se n’era fatta un bel po’, all’università. Rivolse anche un fugace pensiero al rinnovo del proprio contratto e Heather rimase sorpresa nell’apprendere che McGregor guadagnava molto meno di quanto lei avesse sempre creduto.
Affascinante.
Già, ma che fare adesso?
Nel collegarsi con altre menti, finora aveva potuto sperimentare soltanto ciò che gli ospiti andavano vivendo al momento stesso del contatto. Però doveva pur esserci un modo per accedere ai loro ricordi, non solo a quelli via via evocati spontaneamente dagli individui, ma anche a quelli non espliciti, latenti, sepolti nel passato di ciascuno.
È vero, cercar di parlare alle persone dall’interno del loro cervello non aveva dato esito, e anche i tentativi di controllarne le azioni si erano rivelati infruttuosi. Quindi non c’era motivo di credere che fosse possibile scartabellare a piacimento i ricordi della gente.
Comunque doveva provare lo stesso. E in un modo o nell’altro doveva riuscirci assolutamente.
In che cosa potevano consistere i ricordi di Greg McGregor?
Era un giornalista: senza dubbio ricordava molti avvenimenti importanti.
Ma doveva anche aver conosciuto molta gente importante!
Sei gradi di separazione. Sei gradi al massimo.
Dove trovare un primo, logico gradino per avvicinarsi a Kyle?
Fra i personaggi direttamente noti a McGregor, chi poteva fungere da collegamento intermedio sul cammino che conduceva a suo marito?…
Il Primo ministro, ovviamente! Kyle non la conosceva di persona, ma la catena di relazioni esistenti fra i due era evidente.
Avendola vista in tivù migliaia di volte, Heather ricordava perfettamente l’aspetto di Susan Cowles. Si concentrò intensamente su di lei.
La Molto Onorevole Susan M. Cowles.
La seconda donna capo di governo del Canada.
La Dominionatrice, come l’aveva soprannominata il “Time”.
Susan Cowles… di profilo.
Susan Cowles… di fronte.
Susan Cowles… da lontano.
Susan Cowles… da vicino.
Greg McGregor l’aveva incontrata di sicuro, o per lo meno doveva serbarne una chiara immagine mentale.
Niente. Non funzionava. Evidentemente il meccanismo era più complesso. Il balzo dalla donna del Saskatchewan a Greg McGregor aveva richiesto un nesso preciso, l’esatta corrispondenza, in entrambi, di una specifica esperienza sensoriale.
Heather non aveva modo di sapere che cosa stesse facendo Susan Cowles in quel momento, a meno che per avventura il primo ministro non fosse in onda sul canale parlamentare… ma bisognava comunque che McGregor lo stesse guardando, il che non era.
Forse, però, non c’era bisogno che il nesso fosse in tempo reale. Forse, per effettuare il balzo, bastava semplicemente che due persone condividessero il medesimo ricordo. Certe immagini, per esempio, le avevano viste tutti quanti. Il disastro del dirigibile Hindenburg. Il filmino di Zapruder con l’attentato a Kennedy. Le esplosioni del Challenger e dell’Atlantis. La caduta della torre Eiffel.
E tutti i canadesi, senza dubbio, condividevano determinati ricordi relativi a Susan Cowles. Primo capo di governo, dai tempi di Trudeau, a invocare misure militari interne: quattro giorni d’intervento armato per soffocare i tumulti del Longueil… proprio i fatti indagati dalla commissione Hosek. Non poteva esistere una sola persona, in tutto il Canada, che non avesse ben presenti le parole pronunziate da Susan Cowles nel proclamare cento ore di legge marziale: “Il grande nord potrà anche essere forte, ma non tornerà libero finché non lo dico io”. Figuriamoci se McGregor non aveva quell’immagine scolpita in mente…
E infatti eccola, sì, la stessa identica circostanza emerse agevolmente dall’archivio mnemonico di McGregor presentandosi a Heather, che si concentrò sul discorso, si concentrò sul primo ministro, portò fuori fuoco gli occhi del pensiero cercando di provocare una variazione di Necker finché…
…si ritrovò nella mente della Molto Onorevole Susan M. Cowles.
L’aveva trovato, dunque, il sistema per passare da una mente all’altra! Bastava evocare dalla mente dell’ospite il ricordo della persona desiderata e poi obbligare l’immagine ottenuta a spostarsi dallo sfondo in primo piano, dopodiché…
Voilà.
La strada verso Kyle era ormai spianata.
E intanto, che esperienza! Un incontro ravvicinato con la storia. Dalla sua visita scolastica di trent’anni prima il Parlamento Federale non pareva granché cambiato: eleganti strutture, ricchi ornamenti, scuri legni pregiati… indiscutibilmente britannico.
Quella Cowles, poi, che fascino, che classe, che personalità! Heather, nonostante tutto, non poteva impedirsi di nutrire per lei un’ammirazione particolare. Vedere attraverso i suoi occhi era un’avventura straordinaria, e poi…
Santo cielo!
Heather si rese conto all’improvviso che con l’accesso allo psicospazio non era solo l’intimità dei singoli a trovarsi compromessa: ci andava di mezzo anche la sicurezza nazionale. Senza averci neppure pensato, seppe d’un tratto con certezza assoluta che, nonostante il diverso orientamento dell’opinione pubblica, nell’imminente votazione in sede ONU il Canada si sarebbe opposto agli Stati Uniti in merito ai processi per i crimini di guerra perpetrati in Colombia.
Heather svuotò la mente mettendo da parte i segreti di stato. Non si trovava lì per quello, a ogni modo. Il cervello del Primo ministro era solo una tappa lungo il suo cammino.
Si concentrò dunque su Karl Lewandowski, governatore dell’Ontario. Un poco ci volle, ma finalmente riuscì a evocare un ricordo che la signora premier aveva di lui… e rimase sbigottita nello scoprire quanto grande fosse l’odio della conservatrice Cowles nei confronti del liberale Lewandowski.
Si concentrò di nuovo, determinando un’ulteriore conversione di Necker, e fu nella mente di Lewandowski.
Di lì passò al ministro della Pubblica Istruzione. E da lui a Donald Pitcairn, il neandertaliano rettore dell’Università di Toronto.
Dal quale, con un ultimo balzo, in pieno bersaglio: la mente di Brian Kyle Graves.
Sì, era Kyle.
Heather lo riconobbe all’istante.
E riconobbe anche il luogo, osservandolo attraverso gli occhi di lui: il suo ufficio all’UDT. Non il laboratorio, ma proprio l’ufficetto cuneiforme in fondo al corridoio. Heather c’era stata centinaia di volte, impossibile sbagliare. Su una parete faceva mostra di sé un poster del Festival Internazionale degli Autori di Harbourfront. Un altro poster mostrava un Allosaurus conservato al Royal Ontario Museum. Sulla scrivania, pile cospicue di documenti, una delle quali sormontata da un ologramma di Heather incorniciato in oro. Nei colori come li vedeva Kyle prevaleva una lieve sfumatura azzurrina; Heather sorrise al pensiero: nessuno aveva mai accusato suo marito di vedere il mondo attraverso un paio di occhiali rosa.
Heather credeva di conoscerlo, Kyle, ma evidentemente ne aveva colto finora solo qualche minuscolo frammento, la punta dell’iceberg, l’ombra sul muro. Già nel volgere di pochi istanti stava scoprendo in lui molto più di quel che avesse mai immaginato: quanta complessità, quanta introspezione, quanta incredibile, multiforme vitalità…
In margine all’attenzione di Kyle andavano guizzando ininterrottamente sciami d’immagini ricorrenti. Che il problema con Becky lo preoccupasse era evidente e inevitabile, ma Heather non aveva compreso fino a che punto egli ne fosse costantemente ossessionato.
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