Robert Sawyer - I transumani

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Ascoltare messaggi che vengono dalle stelle è un compito che i radioastronomi eseguono da anni nella speranza che possano arrivarci rivelazioni in grado di cambiare la nostra visione dell’universo. Ed è probabile che un giorno queste comunicazioni arrivino davvero, e che oltre a cambiare tutto ciò che sapevamo di là fuori mettano in discussione ciò che noi stessi siamo (o credevamo di essere). Quando questo avverrà, è probabile che non ci sia più posto per le illusioni dell’homo sapiens. E comincerà la lotta per consentire, o stroncare sul nascere, l’evoluzione di una nuova specie di uomini.

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Invece questo intrufolarsi nelle vite altrui era reale. Quel ragazzino inglese avrebbe dovuto affrontare sul serio le conseguenze del proprio crimine. E lei si sarebbe potuta far coinvolgere per tutto il tempo che le pareva, partecipare per ore o anche giorni alle sue tribolazioni. Tutto il fascino del voyeurismo e insieme una vicissitudine più intensa, più eccitante, più imprevedibile di qualsivoglia sia pur sofisticata simulazione preconfezionata.

Ma si poteva disciplinare una simile attività? O l’intera umanità avrebbe dovuto rassegnarsi a che innumerevoli individui scorrazzassero per i cervelli dei loro simili condividendone ogni minima esperienza, ogni più riposto pensiero?

In fin dei conti quei sette miliardi (che di primo acchito ti pigliava lo scoramento) non venivano poi tutti per nuocere, a considerarli da un diverso punto di vista: perché il puro e semplice numero di possibili opzioni, la pressoché assoluta casualità di ogni scelta, ponevano quanto meno al riparo dall’eventualità d’incappare nella mente di una persona conosciuta.

Bisognava d’altra parte riconoscere che proprio “lì” covava la maggior tentazione di quel tuffo verso lo spazio interno. Non altro, in effetti, era andata sinora cercando Heather, e non altro, in sostanza, avrebbe senza dubbio desiderato chi fosse venuto dopo di lei: la possibilità d’immergersi nella mente dei propri genitori, dei propri amanti, dei propri figli, dei propri superiori.

Ma come procedere? Al momento non aveva ancora idea di quale espediente porre in atto per individuare una determinata persona. Kyle era lì da qualche parte, e di sicuro, tentando a caso, non sarebbe mai riuscita a trovarlo.

Heather scrutò, perplessa, l’immensa tastiera dell’umanità.

Mani in tasca, Kyle s’era di nuovo incamminato attraverso il cimitero. Sentiva un velo di sudore scaturire a imperlargli la fronte. Aveva lasciato da poco la tomba di Mary.

Quanta morte. Quanti morti.

Ripensò alla zebra assalita dal leone in agguato e sbranata.

Davvero una maniera orribile di morire.

A meno che…

Rimozione. Dissociazione.

Ciò che Becky sosteneva fosse accaduto a lei.

E non solo a Becky. A migliaia di uomini e donne. Rimozione dei ricordi di guerra, di tortura, di stupro.

Forse, ipotesi azzardata, la zebra non si accorgeva di morire. Forse si distaccava dalla percezione della realtà al momento stesso dell’assalto.

Forse tutti gli animali superiori ne erano capaci.

Per sconfiggere il dolore delle ferite, il terrore della morte.

Ma evidentemente il meccanismo della rimozione poteva essere incrinato, altrimenti i ricordi non sarebbero mai riaffiorati.

O se non incrinato, per lo meno forzato oltre… oltre le sue specifiche progettuali.

Nel mondo animale, non ci sono traumi fisici davvero gravi che non risultino fatali. Certo, un animale può essere spaventato, terrorizzato, e ciò nonostante continuare a vivere. Ma una volta che il predatore abbia azzannato la preda, è quasi certo che questa soccomberà. Basterebbe che il meccanismo di rimozione funzionasse pochi minuti, al massimo poche ore, per risparmiare all’animale gli orrori della morte.

Ammesso, insomma, che nessun animale sopravviva mai a gravi traumi fisici, all’impianto cerebrale non servirebbe la capacità di rimuovere i ricordi per giorni, o settimane, o mesi.

O addirittura anni.

Ma l’umanità, se così vogliamo sforzarci di chiamarla, ha escogitato a sua maggior gloria i traumi non fatali.

Lo stupro.

La tortura.

Gli orrori della guerra.

Dunque la mente umana ha da esser preliminarmente congegnata in modo tale da rimuovere i ricordi delle esperienze fisiche peggiori.

Anche se forse, del tutto involontariamente, dopo un certo periodo tali ricordi finiscono comunque per riemergere. Sino a poche decine di migliaia di anni or sono (quasi nulla, rispetto all’intero arco di tempo che ha visto la presenza della vita sulla Terra) non c’era stato alcun bisogno della rimozione a lungo termine. Probabilmente tale capacità non si è mai evoluta.

Evoluta.

Un concetto che ultimamente ricorreva spesso, nei pensieri di Kyle, da quando Cita gli aveva illustrato come una coscienza a livello di microtubuli potesse nascere spontaneamente attraverso un meccanismo di evoluzione preadattativa.

L’evoluzione riguarda solo quelle caratteristiche che aumentano le possibilità di sopravvivenza; non può, per definizione, plasmare reazioni a eventi verificatisi dopo l’ultimo incontro riproduttivo… e, ovviamente, è sempre la morte l’evento finale dell’esistenza.

In effetti, Kyle non riusciva proprio a concepire in qual modo l’evoluzione avesse potuto predisporre gli animali a una morte misericordiosa, indipendentemente da quanto numerosi fossero gli individui soggetti a beneficiarne. Eppure…

Eppure, se andava riconosciuta validità alla rimozione dei ricordi negli esseri umani, tale capacità doveva pur essere scaturita da qualche parte. Si poteva forse ricondurla allo stesso meccanismo che consentiva agli animali di morire in pace anche mentre venivano mangiati vivi.

Ammesso, ovviamente, che tale meccanismo esistesse.

Ma se esisteva, voleva dire che l’universo non era indifferente alle creature viventi, dopo tutto. E che un qualcosa di travalicante l’evoluzione aveva modellato la vita, dandole, se non senso, almeno libertà dalla tortura.

A parte la tortura che s’innescava quando rispuntavano i ricordi.

Kyle tornò lentamente alla stazione della metro. Metà pomeriggio di un venerdì qualunque: i convogli provenienti dal centro erano zeppi di pendolari in fuga dai luoghi di lavoro. Kyle teneva due corsi estivi, uno dei quali spietatamente fissato alle quattro appunto del venerdì pomeriggio. Prese dunque la via dell’Università per l’ultima lezione della settimana.

27

Heather continuava a fissare l’immensa parete di esagoni cercando di non farsi sopraffare dalle vertigini, sforzandosi di costruire una strategia razionale.

Alla fine decise semplicemente di riprovare. Toccò un altro esagono a caso.

E si ritrasse inorridita.

Era entrata in una mente contorta, tenebrosa, dalle percezioni deviate, dai pensieri aggrovigliati e sconnessi.

; Ancora una volta un uomo. Bianco: e ci teneva molto al suo colore, alla sua razza. Stava in un parco, vicino a un laghetto artificiale. Era notte fonda. Presumendo che i collegamenti avvenissero in tempo reale, bisognava che si trattasse di un luogo diverso dal Nordamerica, dov’era ancora pomeriggio. E siccome quell’uomo pensava in francese, probabilmente si trovava in Francia o in Belgio, non nel Québec.

L’uomo si nascondeva dietro un albero, in attesa… anzi, in agguato.

C’era qualcosa di sbagliato, tuttavia. Qualcosa che premeva, come per saltare fuori.

Dio mio, pensò Heather. Un’erezione, rigonfia contro l’ostacolo delle mutande. Dunque era quella la sensazione che si provava! Che schifo.

Freud s’era sbagliato… come diavolo si faceva a invidiare una cosa del genere?

Si stava avvicinando una donna, visibile a tratti sotto la luce dei lampioni.

Giovane, carina, bianca, stivaletti di pelle rosa, camminava tutta sola.

Lui la lasciò passare e poi…

E poi emerse dal nascondiglio e le mise un coltello alla gola, e fu allora che Heather poté udire la sua voce. Parlava francese, e con accento parigino, non del Quebec. Heather conosceva abbastanza la lingua per capire che le stava dicendo di non ribellarsi e che avrebbe fatto meglio a rendergli la cosa piacevole…

Non ce la fece a sopportarlo. Chiuse gli occhi di scatto, lasciando che la struttura le si ricomponesse attorno. Si sentiva impotente, avvilita. Sapeva di certe stime secondo cui ogni undici secondi veniva violentata una donna in qualche parte del mondo… ma ora per lei non era più un semplice dato statistico, perché stava avvenendo proprio in quel momento, e lei lo sapeva, ne era addirittura testimone…

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