“Ma che diavolo?…”
I motivi dipinti sui pannelli di substrato sfavillavano nella luce solare. Trattandosi di una pellicola cristallina forse non era poi un fatto così sorprendente, però…
… sembravano vibrare, ondeggiare…
Heather si alzò per andare a vedere più da vicino, ma incespicò in un mucchietto di stampati in sincarta lasciati sul pavimento. Cercò invano di riprendere l’equilibrio e capitombolò in avanti, finendo rovinosamente addosso al manufatto.
Avrebbe dovuto farlo a pezzi, smembrando diversi cubi in pannelli, disintegrando molti pannelli in centinaia di formelle.
Certo, avrebbe dovuto… ma non andò così.
La struttura resisté. In effetti, Heather rischiò di fratturarsi un braccio, quando ci finì addosso.
Qualcosa teneva insieme i pannelli. Così da vicino, poteva vedere che i singoli motivi quadrangolari tracciati sulle formelle scintillavano separatamente, rifrangendo la luce come la superficie di bolle di sapone.
Il giorno innanzi era stata una costruzione fragile e inconsistente che si reggeva per scommessa, accozzata a forza di morsetti, puntellata alla meno peggio con una pila di libri.
Oggi, invece…
Si spostò all’altro capo della struttura, esaminandola. Poi con le nocche le affibbiò un bel colpo secco. Era resistente, ma non del tutto inerte, infatti oscillò leggermente. La sua caduta aveva spinto la faccia di fondo a diretto contatto con la parete. Heather demolì con un calcetto la pila di libri che puntellava quell’estremità e i volumi si sparsero a terra.
Ma il cubo terminale non fece una grinza. E invece di crollare sotto il suo stesso peso, l’intera fila di cubi si mantenne dritta, senza cedere di un millimetro.
Chissà che la vernice non agisse come una specie di mastice, una volta asciugata a sufficienza? Forse…
Si guardò intorno, vide il sole che entrava dalla finestra, la propria ombra proiettata sulla parete.
E se quell’aggeggio sfruttava la radiazione solare?
La luce del sole. L’unica fonte di energia a disposizione di qualsiasi civiltà in qualsiasi parte dell’universo. Non tutti i pianeti conterranno elementi pesanti come l’uranio, si disse Heather, e sicuramente non tutti avranno giacimenti di combustibili fossili. Ma ogni pianeta della galassia possiede almeno una stella attorno alla quale ruotare.
Tornò alla finestra e richiuse le tende.
L’oggetto conservò la propria rigidità. Heather sospirò… be’, naturalmente non poteva essere così semplice. Si sedette alla scrivania, cercando di riflettere.
Dopo qualche secondo uno scricchiolio sinistro trafisse il silenzio della stanza. Sotto il suo sguardo allarmato la struttura cominciò a deformarsi. Heather balzò in piedi e si precipitò ad afferrare il cubo terminale prima che finisse in pezzi, evento imminente dato che i pannelli esposti si andavano squinternando a vista d’occhio.
Mentre con una mano faceva del suo meglio per sostenere la struttura, con l’altra si adoperò freneticamente a riedificare il puntello di libri. Non appena scongiurata la catastrofe, si affrettò alla finestra per riaprire le tende.
Ovviamente l’apparato doveva esser capace di accumulare una sia pur minima riserva per autoalimentarsi. Requisito fondamentale in un dispositivo a energia solare: non è ammissibile, infatti, che smetta di funzionare ogni qual volta viene colpito dall’ombra di un passante.
Bene, allora.
Per prima cosa doveva assicurarsi che la costruzione fosse permanentemente rifornita di energia; fra un paio d’ore il sole avrebbe abbandonato quella finestra. Heather pensò di portar fuori l’aggeggio, ma ciò avrebbe risolto il problema solo fino a sera. Evidentemente i fluorescenti a basso consumo che illuminavano l’ufficio non erano bastati ad alimentarlo, il giorno prima; però avrebbe potuto ottenere lampade a incandescenza ad alta emissione dall’istituto di Scienze dello Spettacolo, o forse da Botanica.
Si sentì inondare da un fiotto di adrenalina. Ancora non aveva idea di che cosa avesse scoperto, ma senza alcun dubbio coi messaggi alieni aveva fatto più progressi di chiunque altro.
Accarezzò per un attimo l’idea di collegarsi immediatamente al sito del Centro Segnale Alieno per fornire un resoconto dell’intera faccenda. Sarebbe stato certo sufficiente a garantirle ogni diritto di priorità. Con la conseguenza, però, che nei giorni successivi centinaia di ricercatori avrebbero ricalcato le sue orme… e uno di loro poteva benissimo fare il passo successivo, scoprire a cosa diavolo serviva quell’incredibile gingillo. Quanto a lei, aveva da recuperare una dozzina d’anni di camera; chissà che individuare lo scopo del congegno non fosse sufficiente d’un sol tratto a compensarla del tempo perduto…
Andò a cercare le lampade.
E poi si mise all’opera.
All’ingresso di Kyle le luci del laboratorio si accesero automaticamente.
— Buon giorno, Cita.
— Buon giorno, dottor Graves. Avrei una nuova barzelletta da proporle.
— Sentiamo.
— Allora: Giulio Cesare non era solo prozio di Augusto… era anche, secondo Frank L. Raum, figlio della Malvagia Strega dell’Ovest, e come la malvagia strega poteva essere ucciso dall’acqua. Bene, stando così le cose, Cassio e gli altri congiurati repubblicani decidono che non c’è bisogno di sbarazzarsi del Grande Giulio a botte di coltello: possono fare un lavoro di gran lunga più pulito utilizzando pistole ad acqua. Attendono quindi il giorno propizio e appena Cesare entra in Campidoglio fanno acqua senza esitazione. Cesare resiste sin quando non vede che anche il suo migliore amico si accanisce a spruzzarlo; allora, prima di cadere morto in un lago d’acqua, pronuncia le famose parole: “ Tu, aquae, Brute!”. Kyle rise.
— Le è piaciuta! — esclamò Cita in tono d’immensa soddisfazione.
— Be’, è buona.
— Allora forse un giorno capirò cosa significa essere umani.
Kyle tornò serio. — Se ci riesci, fammi il favore di dirlo anche a me.
Le luci di scena campeggiavano al loro posto: tre grandi lampade piazzate su treppiedi, con lenti di Fresnel e alette schermanti per regolare il fascio. Fornivano una costante erogazione di energia alla struttura aliena, consentendole di svolgere la funzione, qualunque fosse, cui era destinata.
E finora non sembrava far altro che mantenersi rigida. Forse a un oggetto del genere si poteva anche attribuire qualche limitata prospettiva commerciale come prodotto di nicchia, però Heather non riusciva a convincersi che gli alieni avessero sprecato dieci anni solo per darle una dimostrazione pratica dell’effetto stoccafisso.
D’altra parte, forse stava proprio tutto lì ciò che gli alieni avevano inteso comunicare: un sistema per consentire ai materiali di resistere a sollecitazioni molto intense, affinché i terrestri potessero costruire navi spaziali ad alta velocità. Dopo tutto, viaggi rapidi fra la Terra e i mondi del Centauro avrebbero richiesto accelerazioni considerevoli.
Tuttavia, a pensarci bene, era un’ipotesi assurda. Se i Centauri disponevano di astronavi capaci di raggiungere anche solo mezza velocità-luce, avrebbero fatto prima a recapitare un modello funzionante che a trasmetterne il progetto. Certo, trasferire informazioni via radio sarebbe sempre costato meno che spedire oggetti fisici, però rimaneva comunque il dubbio di fondo se nella capacità d’irrigidimento andasse visto il compito essenziale dell’oggetto o soltanto un effetto secondario dell’autentica destinazione d’uso.
Seduta a contemplare la struttura, Heather tentava dunque di comprenderne il vero scopo. Pur non essendo appassionata di fantascienza quanto Kyle, un’opera come 2001: Odissea nello spazio piaceva molto anche a lei, e adesso le frullava per la testa l’ultima frase del film, quella pronunziata da Heywood Floyd a proposito del monolito: “Le sue origini e il suo scopo sono ancora un mistero assoluto”… anche se Heather sospettava da sempre che dovesse trattarsi di un velato riferimento allo scatolone ove avevano sede le Nazioni Unite.
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