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Paolo Aresi: Korolev

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Korolev

di Paolo Aresi

Si dice che negli ultimi istanti prima della morte si rivedano i momenti più importanti della nostra esistenza. Forse questo accade negli ultimi secondi di lucidità, negli ultimi dieci attimi in cui abbiamo ancora consapevolezza di esistere.

Giugno 1938

Meno dieci

Bussarono alla porta con violenza. L'uomo si riscosse dal sonno, un sonno leggero, agitato. Aprì gli occhi, vide il muro scrostato davanti a sé. I colpi si ripeterono. Stava sognando che qualcuno bussava alla porta. Alla sua porta. Batté le palpebre, sentì il cuscino sotto la guancia. Sognava: c'era un orizzonte rosso e c'era qualcosa, forse la parte di un missile. Avvertì il rumore dello sciacquone, dell'acqua che gorgogliava quietamente nelle tubature. Spalancò gli occhi. Il picchiare alla porta si ripeté più forte. L'uomo si mise a sedere sulla branda, fuori c'era il ghiaccio. L'immagine del capo appesa al muro, di fronte, era proprio sulla porta: baffi, lo sguardo severo e un po' laterale. L'uomo si tirò su dal letto. Era corpulento, forte. Una mascella quadrata e il collo tozzo, muscoloso. Indossò la vestaglia, le ciabatte di stoffa.

La bocca impastata.

Erano venuti, alla fine.

Avrebbe voluto sciacquarsi la faccia.

Colpi forti. La voce: — Cittadino!

L'uomo afferrò la chiave. Il sonno se ne era andato senza lasciare traccia e la mano gli tremava. Alla fine erano arrivati. Guardò l'orologio: le quattro.

Aprì.

Nella luce fioca dell'androne erano in due: uno più anziano, il collega alto e con lo sguardo duro. Quello più anziano fissò l'uomo, disse a voce bassa: — Cittadino Sergej Pavlovich Korolev, noi vi arrestiamo nel nome della legge.

Ottobre 1938

Meno nove

— Perché lavora a un progetto irrealizzabile? Korolev cercò di alzare la testa, ma la luce della lampada puntata su di lui era troppo fastidiosa. Abbassò di nuovo gli occhi. Quante volte gli avevano rivolto quella domanda? Quante notti lo avevano chiamato in quell'ufficio, lo avevano svegliato, tirato fuori dalla cella, accompagnato nei tetri corridoi? Respirò profondamente.

— Perché non è irrealizzabile — disse.

— Cittadino Sergej Pavlovich Korolev, le voglio parlare chiaramente. Testimonianze raccolte parlano di lei come di un eccellente scienziato. Il Partito non vuole privarsi di uno come lei, ma deve mettersi al servizio della nazione. Altrimenti verrà considerato un traditore e come tale verrà trattato. Capisce?

— Capisco.

— Lei si è schierato con i sabotatori della rivoluzione. Conduce ricerche sostanzialmente inutili, sottrae energie al nostro paese, getta confusione fra gli altri ricercatori e quindi nel popolo. Questo non fa bene alla nazione. Lei comprende?

Korolev tenne lo sguardo basso. La luce era troppo forte.

— Capisce cittadino?

Alzò gli occhi. La luce era troppo forte.

— Questo è tradimento, capisce?

— Capisco.

— A meno che lei confessi. Di avere sbagliato, di avere agito da controrivoluzionario. E ammetta che la ricerca da compiere è quella sui razzi a combustibile solido.

Korolev sollevò la testa, intravide il volto dell'uomo che lo interrogava. Kerosene, ossigeno liquido. Non capivano. Chiuse le palpebre. Una possibilità di sopravvivere. Era un dovere sopravvivere.

Mormorò: — Ho sbagliato.

— Ha condotto ricerche insensate che hanno danneggiato il paese. Lo ammette?

— Lo ammetto.

— Prepariamo il verbale. Le auguro che la corte sia clemente, cittadino Korolev, e che il lavoro in Siberia la faccia riflettere.

Novembre 1942

Meno otto

La baracca gelida, il libro di Tsiolkovskij sulla cuccetta. Le mani che non si muovono più, congelate. Come i piedi. Lo zaino riempito in fretta. Il cittadino Boris Rubasciov sta parlando. Così ti trasferiscono, te ne vai da Kolyma, dice. Ciao. Disteso sulla cuccetta, Korolev gli sorride con i pochi denti che gli sono rimasti. Tossisce. Lo mandano al centro ricerche dove lavorano gli scienziati prigionieri. Prende le sue cose, poi guarda Rubasciov. Ha gli occhi chiusi. Un politico, Rubasciov, un grande della rivoluzione. Korolev mette le mani sotto le ascelle per scaldarle. Le cuccette della baracca sono vuote, tutti fuori nel gelo. Miniere d'oro. Il sole è pallido come un volto malato, tra poco arriverà la guardia. Korolev si avvicina a Rubasciov, gli accarezza la guancia. Rubasciov è immobile. Lo stringe forte, lo solleva, lo bacia sulla guancia. Inerte. Korolev piange. Te ne sei andato prima tu, tovarisc Rubasciov.

Giugno 1948

Meno sette

Cittadino Korolev?

Sono io.

Stanno bene tutti e due.

Dio sia ringraziato.

Come lo chiamate?

Nicolaj. Posso vederli?

Certo.

Nicolaj, Nicolaj, paffuto e arruffato come un criceto, piccolo così, Nicolaj pelle di pesca, ho paura a prenderti tra le braccia, paura di farti del male, così piccolo, mi sembra impossibile che in ci sia, il tuo corpo è così fragile… diventerai grande, Nicolaj, e io ti insegnerò la strada delle stelle.

Gennaio 1954

Meno sei

La Luna e Marte e gli altri pianeti, non c'era niente di impossibile. Bisognava soltanto avere razzi abbastanza potenti per lasciare la Terra. Quello era il problema.

Questo è il problema, cittadino ministro.

Lo sguardo del ministro Ustinov a un tempo benevolo e indecifrabile. La sua bocca che si muove lentamente. Perché dovremmo raggiungere la Luna? Perché utilizzare risorse del popolo per andare su Marte?

Oh, Korolev è ben preparato sull'argomento. Certo. Ora che non c'è più il Numero Uno si respira un'aria nuova nella Repubblica socialista. Forse la rivoluzione può rimettersi in moto. Nikita la pensa così. Nell'ufficio del ministro della Difesa, Ustinov, campeggia la fotografia del nuovo capo. Non ha i baffi, non fa accapponare la pelle. Per esplorare. Per conoscere l'universo, per capire.

Certo, cittadino Korolev. Ma ci sono cose più importanti. Non possiamo investire risorse in qualcosa di cui non abbiamo bisogno.

Ministro Ustinov, noi abbiamo già quelle risorse. Il razzo R7 intercontinentale fa già al caso, ha una spinta quasi sufficiente a portare in orbita un satellite.

Dimitri Ustinov scuote la testa. Perché, compagno Korolev, perché?

Perché un giorno l'uomo dovrà lasciare questa Terra e fondare colonie su nuovi mondi.

È un futuro lontanissimo, cittadino Korolev. Perché devo darle tutti quei soldi e tutti quegli uomini ora? R7, razzo a combustibile liquido, ha detto.

Una potenza enormemente superiore rispetto al combustibile solido, compagno ministro, per la Luna e per Marte e le stazioni orbitanti. Perché porteremo la rivoluzione socialista su altri mondi.

Certo. Ma dobbiamo pensare prima alla Terra.

Certo. Ma Korolev è ben preparato. Molto ben preparato. Soltanto una frase, una minuscola e banale riflessione. La grande scrivania in legno lucido, il posacenere di cristallo, le stilografiche.

Perché altrimenti, compagno ministro, gli americani arriveranno prima di noi.

Prima di noi. Prima di noi. Prima di noi. L'eco resta sospesa nell'aria che puzza di sigaro.

Prima… di noi? Gli americani arriveranno prima di noi? E venderanno Coca-Cola su Marte? E ci bombarderanno dalla Luna?

No, cittadino ministro. Noi li anticiperemo.

Certo.

Ma abbiamo bisogno di mezzi.

La fotografia di Nikita, in qualche modo rassicurante.

Certo, costruttore capo. Certo, compagno Sergej. Ne parlerò al Comitato Centrale.

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