Ora l'antenna non funziona nemmeno più. Nessun telescopio dalla Terra può spiarlo. Nessuno saprà. Sergej è morto sulla Terra da più di sei mesi. Ora apre l'armadietto degli antidolorifici, estrae la siringa, inietta. Il tumore non è cresciuto in fretta, i raggi cosmici lo hanno bombardato, rallentato. Come le sue ossa e i suoi muscoli che si sono via via indeboliti e ora sono fragili come vetro. Come il suo corpo massiccio diventato esile come uno stelo. Questo sonno, questa spossatezza, queste interminabili partite a scacchi contro il computer, questi libri che non ho più voglia di leggere. Questi cibi inscatolati, questi liquidi in cannuccia. Questa difficoltà a lavarsi. Ce la farò. Mancano poche ore. Ce la farò. È davanti a me, grande negli oblò. Fra poche ore si accenderanno i retrorazzi, entrerò nell'atmosfera e la capsula Soyuz che mi ha protetto e mi ha accudito per tutti questi mesi e mi ha lasciato ammirare il cosmo e accolto nella mia solitudine scenderà come un enorme pacco di Natale paracadutato per improbabili partigiani in questo mondo sconosciuto.
Febbraio 2048
Ottantadue anni dopo
Cos'è quello, Mark? Cosa?
— Sotto lo sperone di roccia, laggiù.
— Andiamo in quella direzione.
Il rover si mosse sulla sabbia e i sassi per un centinaio di metri, sotto il cielo rosso. Poi Mark Knopfler e David Gilmour della Terza missione marziana fermarono la macchina. Valles Marineris, Noctis Labyrinthus. Le pareti vertiginose del canyon.
— Mio Dio — sussurrò Gilmour dentro il casco.
Fissavano le rocce rosse che proteggevano l'oggetto dalla sabbia, l'issavano lo scafandro appoggiato con la schiena a un masso, a pochi metri dalla navicella.
— Non può essere — disse Knopfler. Fermi, paralizzati accanto al rover, a dieci metri dallo scafandro, dalla visiera che rifletteva la luce del sole. In quell'anfiteatro terribile di rocce rosse, con Phobos e Deimos che correvano nel cielo.
Gilmour e Knopfler, due anni da trascorrere alla base marziana. Il sole lontano. Le rocce rosse. Le coltivazioni di batteri marziani.
Nel casco, Gilmour ripeté: — Questo non è possibile.
Knopfler camminò tra sassi e sabbia. La visiera sembrava intatta. Si inginocchiò. Sullo scafandro consumato dal vento si vedeva ancora un rettangolino rosso con un piccolo disegno, forse giallo, in alto a sinistra. La scritta accanto era sbiadita, ma leggibile. Era soltanto una sigla: CCCP.
PAOLO ARESI, nato nel 1958, ha esordito in narrativa nel 1978. Per i nostri lettori il suo romanzo più conosciuto è Oltre il pianeta del vento, vincitore del premio Urania 2004 e storia di un'esplorazione planetaria, il tema preferito dall'autore. In questo racconto si va alle origini dell'astronautica con un commosso omaggio al pioniere sovietico Korolev, l'uomo che progettò lo Sputnik e rese possibile il primo volo umano orbitale. Altri suoi romanzi sono Oberon, l'avamposto fra i ghiacci, pubblicato dall'editrice Nord nel 1987, e Il giorno della sfida in cui si racconta la prima spedizione umana verso Marte (Nord, 1998). Nel 1995 Aresi ha pubblicato il noir Toshi si sveglia nel cuore della notte (Granata Press). Accanto ai romanzi si colloca una piccola schiera di racconti che hanno trovato ospitalità sulle riviste “Robot” e “Futuro Europa”, oltre che in volutiti come Pianeta Italia (Perseo), Alieni, mutanti e robot (Keltia) e Fantasia (Millelire). Paolo Aresi è giornalista e fa l'inviato per “L'Eco di Bergamo”.