— Avete trovato iscrizioni o messaggi riferiti a scorie nucleari? — domandai. I progetti per le discariche terrestri comportavano tutti descrizioni simboliche della natura dei pericolosi materiali immagazzinati, in modo che futuri abitanti della zona capissero che cosa si trovava sepolto nel terreno. L’iconografia proposta andava da facce umane che esprimessero nausea o disgusto per indicare la velenosità della zona, a diagrammi con numeri atomici per indicare con precisione gli elementi chimici sotterrati.
— No — rispose Hollus. — Niente del genere. Nei siti più recenti, almeno… quelli che ti ho mostrato, relativi al periodo di poco precedente la scomparsa di quelle razze.
— Be’, volevano che quei siti rimanessero indisturbati per milioni di anni, immagino… per tanto di quel tempo che eventuali intelligenze che in seguito li scoprissero, non fossero nemmeno della stessa specie di coloro che avevano seppellito le scorie sotto segnalazioni d’avvertimento. Una cosa è il tentativo di trasmettere l’idea di velenosità e di pericolo a membri della propria specie… noi all’avvelenamento associamo occhi chiusi, bocca storta e lingua sporgente… ma ben altra cosa è lo stesso tentativo, se si devono superare le frontiere della specie, soprattutto quando niente si sa della specie a venire.
— Trascuri un particolare — disse Hollus. — Quasi tutte le scorie radioattive hanno una mezza vita inferiore ai centomila anni. Alla comparsa di una nuova specie intelligente, non esisterebbero in pratica pericoli d’avvelenamento.
Corrugai la fronte. — Eppure hanno proprio l’aspetto di siti per il deposito di scorie nucleari, E poi, se i nativi del pianeta sono andati da un’altra parte, forse hanno ritenuto giusto seppellire i propri rifiuti prima della partenza.
Hollus parve dubbioso. — Perché allora su Mu Cassiopeae avrebbero interrotto lo sprofondamento? Come ho detto, è il modo migliore di liberarsi delle scorie nucleari, perfino meglio del lancio nello spazio. Se l’astronave esplode, si può verificare la contaminazione nucleare di mezzo pianeta; ma se le scorie sono fatte sprofondare nel mantello, ci si libera di esse una volta per tutte. Questo è appunto il sistema adottato dalla mia specie.
— Be’, forse hanno seppellito altro, sotto quelle segnalazioni d’avvertimento — dissi. — Qualcosa di così pericoloso che volevano assicurarsi che nessuno lo scoprisse mai, in modo da non attribuire a loro la colpa. Forse gli abitanti di Mu Cassiopeae temevano che se la cripta fosse sprofondata, le pareti si sarebbero fuse e ciò che vi avevano imprigionato… una bestia, forse… sarebbe fuggito, E poi, tutte quelle razze, anche dopo avere seppellito ciò di cui avevano paura, hanno lasciato il pianeta d’origine per mettere la maggiore distanza possibile tra se stessi e ciò che si lasciavano alle spalle.
— Domenica vado in chiesa — aveva detto Susan, lo scorso ottobre, qualche giorno dopo il nostro primo appuntamento con la dottoressa Kohl.
Eravamo in soggiorno, io sul divano e lei sulla poltrona. Annuii. — Di solito ci vai.
— Lo so, ma… be’, con tutto quel che è successo…
— Ce la farò — dissi.
— Sei sicuro?
Annuii di nuovo. — Vai in chiesa ogni domenica. Non c’è motivo di cambiare. La dottoressa Kohl ha detto che dovremmo vivere il più possibile come se tutto fosse normale.
Non sapevo bene come avrei utilizzato il tempo, ma avevo un mucchio di cose da fare. Prima o poi avrei dovuto chiamare mio fratello Bill a Vancouver e spiegargli la situazione. Ma Vancouver è tre ore indietro rispetto a Toronto e Bill tornava a casa tardi. Se avessi telefonato a quell’ora, avrei trovato la sua seconda moglie Marilyn… e lei era una grande chiacchierona. Non mi sentivo di starla ad ascoltare. Bill e i suoi figli del primo matrimonio erano però la mia unica famiglia; i nostri genitori erano mancati un paio d’anni fa.
Susan rifletteva: incrociò brevemente il mio sguardo, poi fissò il pavimento. — Potresti… potresti accompagnarmi, se ti va.
Espirai rumorosamente. Era mettere il dito nella piaga. Susan era sempre andata in chiesa. Sapeva, quando mi aveva sposato, che non ne avevo l’abitudine. Passavo la domenica mattina navigando in rete e guardando This Week with Sam Donaldson and Cookie Roberts. Le avevo detto chiaramente, quando avevamo cominciato a uscire insieme, che mi sarei sentito a disagio in chiesa. Mi pareva un’ipocrisia troppo grossa, avevo detto: un insulto ai credenti veri.
Ora, però, lei aveva la chiara impressione che le cose fossero cambiate. Forse si aspettava che volessi pregare, rappacificarmi col creatore.
— Può darsi — risposi. Ma tutt’e due sapevamo che non sarebbe accaduto.
Piove sempre sul bagnato.
Il tumore, naturalmente, mi portava via un mucchio di tempo. E ora le visite di Hollus mi portavano via gran parte del tempo residuo. Ma avevo anche altre responsabilità. Avevo predisposto la mostra speciale al rom dei fossili del Burgess Shale; e anche se la cerimonia d’apertura si era tenuta mesi prima, avevo ancora un mucchio di lavoro amministrativo da terminare.
Charles Walcott, dello Smithsonian Institute, aveva scoperto quei fossili nel 1909, nel passo di Burgess, tra le Montagne Rocciose della Columbia Britannica: vi effettuò scavi fino al 1917. Iniziando nel 1975 e continuando per i venti anni seguenti, Desmond Collins, dello stesso rom, aveva iniziato una serie, ancora in corso, estremamente fruttuosa di nuovi scavi nel passo di Burgess, portando alla luce altri campi di raccolta e mietendo migliaia di nuovi esemplari. Nel 1981 l’unesco aveva dichiarato il passo di Burgess l’86° sito Patrimonio del Mondo, al livello delle piramidi d’Egitto e del Gran Canyon.
I fossili risalgono alla parte centrale del cambriano, 520 milioni di anni fa. Gli scisti del passo di Burgess, uno smottamento della piattaforma laurenziana che seppellì ogni creatura vivente sul fondo marino, hanno grana così fine da conservare impressioni perfino di corpi non mineralizzati. Documentano un’enorme varietà di forme di vita, inclusi molti tipi complessi che secondo alcuni paleontologi, compreso il nostro Jonesy, non rientrano in nessun gruppo moderno: comparvero, ebbero breve esistenza e morirono, come se la natura provasse ogni sorta di piani corporei diversi per vedere quali funzionavano meglio.
Perché nel cambriano si era verificata quella esplosione di varietà? La vita esisteva già sulla Terra da forse 3,5 miliardi di anni; ma in tutto quel tempo aveva assunto forme molto semplici. Che cosa aveva provocato l’improvvisa comparsa di tanta complessità e di tanta varietà?
Davidson e Cameron al CalTech e Peterson all’UCLA avevano argomentato che la ragione della semplicità, prima dell’esplosione del cambriano, era, be’, semplice: fino a quel momento, le cellule fertilizzate avevano un grave limite nel numero di volte in cui potevano dividersi; dieci divisioni, all’incirca, parevano il massimo. E dieci divisioni originano solo 1.024 cellule e producono creature molto piccole e molto semplici.
All’inizio del cambriano, però, la barriera delle dieci divisioni era stata infranta dallo sviluppo di un nuovo tipo di cellula, visibile ancora in alcuni organismi viventi; queste nuove cellule potevano dividersi molte più volte ed erano usate per definire lo spazio morfologico, ossia il fondamentale piano corporeo, di ogni sorta di nuovi organismi. (Anche se al tempo di questo evento la Terra aveva quattro miliardi di anni, lo stesso importante passo avanti, infrangere il limite di dieci divisioni, si era verificato sul pianeta di Hollus quando quel mondo aveva solo due miliardi di anni; a quel punto anche lì la vita aveva smesso di fare capriole e aveva iniziato a evolversi sul serio.)
Gli scisti del Burgess sulla Terra contengono il nostro antenato diretto Pikaia t il primo animale con notocorda, dalla quale si è evoluta in seguito la colonna vertebrale. Eppure quasi tutti gli animali fossili degli scisti del Burgess sono invertebrati e perciò una mostra speciale di simili fossili probabilmente doveva essere organizzata dal paleontologo anziano degli invertebrati del ROM, Caleb Jones.
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