Robert Sawyer - L'equazione di Dio

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L'equazione di Dio: краткое содержание, описание и аннотация

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Come si sono estinti i dinosauri? Domanda vecchia, per il lettore di fantascienza. E che ha avuto mille risposte. Nel caso di questo brillante romanzo, tuttavia, l’interrogativo è molto più complesso e andrebbe riformulato così: provata scientificamente l’esistenza di Dio,
E soprattutto, perchè ha deciso di estinguere periodicamente le forme di vita superiori su tutti i mondi abitati? E’ l’assillo che tormenta Hollus, un ragno intelligente venuto dallo spazio che un bel giorno entra nel Royal Museum, a Toronto, e chiede di parlare con uno scienziato. Lo portano da Thomas Jericho, paleontologo, e l’aracnide rivela importanti informazioni sulle origini della vita. Non solo, ma propone alle menti migliori della Terra di unirsi in una ricerca che altri pianeti hanno già cominciato per loro conto, e che solo lo sforzo di tutte le intelligenze potrà coronare di successo. La domanda è infatti: che intenzioni ha il Creatore?

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Tuttavia Jonesy sarebbe andato in pensione nel giro di qualche mese (nessuno aveva ancora fatto notare, a me almeno, che il rom stava per perdere quasi contemporaneamente i due paleontologi anziani) e io ero quello che aveva rapporti personali con la gente dello Smithsonian Institute, dove erano finiti i fossili del Burgess prima che il Canada facesse una legge per proteggere le proprie antichità. Avevo anche collaborato alla serie di conferenze in concomitanza con la mostra; molte erano tenute dal nostro personale (compreso Jonesy), ma avevamo anche ottenuto che Stephen Jay Gould, il cui libro La vita meravigliosa riguarda appunto i fossili del Burgess Shale, venisse da Harvard a tenere una conferenza. La mostra si dimostrava una grossa fonte di denaro per il rom; simili mostre hanno sempre un mucchio di pubblicità gratuita dai media e così attirano folle di visitatori.

Ero entusiasta della mostra, quando l’avevo proposta, e ancor più entusiasta quando avevo ottenuto l’approvazione e lo Smithsonian Institute aveva accettato di mettere insieme i suoi e i nostri fossili per una esposizione congiunta.

Ma adesso…

Adesso, col cancro…

Adesso la mostra era solo una fonte d’irritazione, un fastidio. Ancora altra carne al fuoco. Ancora un altro batter cassa al mio tempo fin troppo limitato.

Parlarne a Ricky fu l’esperienza più dura.

Se fossi stato come mio padre, se mi fossi accontentato di una laurea di primo grado e di un normale lavoro d’ufficio, mi sarei trovato in una situazione ben diversa. Probabilmente avrei messo al mondo il primo figlio poco dopo i vent’anni… e così, all’età che ho adesso, quel figlio sarebbe stato sulla trentina e forse avrebbe avuto perfino figli suoi.

Ma non ero mio padre.

Avevo preso la laurea di primo grado nel 1968, a ventun anni. E la seconda laurea nel 1970, a ventiquattro. E la laurea definitiva a ventotto. E poi avevo fatto un corso di specializzazione a Berkeley e un altro all’università di Calgary. A quel punto avevo trentaquattro anni. E guadagnavo quattro soldi. E, per qualche motivo, non avevo nessun giro d’amicizie. E lavoravo fino a tardi nel museo, una notte dopo l’altra.

E poi, prima di rendermene conto, ero arrivato ai quaranta, senza moglie e senza figli.

Avevo conosciuto Susan Kowalski all’Hall House dell’università di Toronto, nel 1966. Facevamo parte tutt’e due del club teatrale. Io non recitavo… ma ero affascinato dall’illuminazione teatrale: credo sia questa una delle ragioni per cui mi piace la museologia. Susan aveva recitato in alcune opere teatrali, ma immagino, col senno di poi, che non avesse particolare talento. A me era sempre parsa favolosa, ma i migliori commenti che avesse mai ricevuto su “Varsity” erano un riconoscimento di “competente” nei panni della nutrice in Giulietta e Romeo e di “accettabile” in quelli di Giocasta nell’Edipo re. Per un periodo eravamo usciti insieme, ma poi mi ero trasferito negli Stati Uniti per specializzarmi… e lei aveva capito: dovevo continuare gli studi, il mio sogno dipendeva da essi.

Avevo pensato a lei con simpatia, nel corso degli anni, ma non immaginavo che l’avrei rivista. Finii per tornare a Toronto e, con la mente sempre rivolta al passato e mai a sufficienza al futuro, alla fine decisi, ormai negli “anta”, d’avere bisogno di consigli finanziari per la futura pensione e scoprii che il commercialista da me scelto non era altri che Susan. Ora di cognome faceva De Santis, per un breve matrimonio fallito quindici anni prima. Ravvivammo la vecchia relazione e ci sposammo l’anno seguente. Anche se lei aveva quarantun anni e c’erano dei rischi, decidemmo di avere un figlio. Provammo per cinque anni. Susan rimase incinta una volta, in tutto quel tempo, ma ebbe un aborto.

Alla fine decidemmo di adottare un figlio. Le pratiche richiesero un paio d’anni. Adesso però il nostro Richard Blaine Jericho aveva sei anni.

Sarebbe stato ancora in famiglia, alla morte del padre. Avrebbe frequentato ancora le elementari.

Susan lo mise a sedere sul divano e io mi inginocchiai accanto a lui.

— Ehi, giovanotto! — dissi. Gli presi la mano.

— Sì, papà. — Si dimenò un poco, non mi guardò negli occhi. Forse pensava d’averne combinata una.

Rimasi in silenzio per qualche attimo. Avevo riflettuto molto su che cosa avrei detto, ma ora le parole che avevo preparato parevano del tutto inadeguate.

— Come va, giovanotto? — dissi.

— Bene.

Lanciai un’occhiata a Susan. — Be’, a papà non va tanto bene.

Ricky mi guardò.

— A dire il vero — continuai — papà sta molto male. — Lasciai che comprendesse quelle parole.

Non avevamo mai detto bugie a Ricky, su nessun argomento. Sapeva d’essere figlio adottivo. Gli avevamo sempre detto che Babbo Natale era solo una finzione. E quando aveva domandato da dove vengono bambini, gli avevamo detto anche quello. Adesso, però, rimpiansi che non avessimo seguito una via diversa… che fossimo stati sempre sinceri con lui.

Ovviamente aveva capito abbastanza presto. Aveva visto che ero cambiato, che perdevo i capelli, che dimagrivo, forse aveva sentito che mi alzavo di notte per vomitare…

Forse m’aveva anche sentito piangere, quando pensavo che lui non ci fosse.

— Male, quanto? — domandò Ricky.

— Molto.

Mi guardò ancora. Mossi la testa in un cenno d’assenso per fargli capire che non scherzavo.

— Perché? — chiese Ricky.

Susan e io ci scambiammo un’occhiata. Era la stessa domanda che continuavo a farmi io. — Non so — risposi.

— Qualcosa che hai mangiato? Scossi la testa.

— Sei stato cattivo?

Una domanda inattesa. Riflettei un momento. — No, non credo.

Restammo tutti in silenzio per un poco. Alla fine Ricky disse piano: — Non stai per morire, vero, papà?

Avevo avuto intenzione di dirgli la verità, senza abbellimenti. Di mettere le cose in chiaro. Ma, giunto il momento, fui obbligato a dargli più speranza di quanto non avesse dato a me la dottoressa Kohl.

— Forse — dissi. Solo forse.

— Ma… — protestò con una vocina. — Non voglio che muori.

Gli strinsi la mano. — Neanche io voglio morire, però… però è come quando mamma e io ti facciamo pulire la tua stanza. A volte ci tocca fare cose che non vorremmo.

— Farò il bravo — disse. — Farò sempre il bravo, se non muori.

Mi piangeva il cuore. Ricky contrattava. Uno degli stadi.

— Non ho davvero scelta, in questa faccenda — dissi. — Magari l’avessi!

Batteva di continuo le palpebre, stava per piangere.

— Ti voglio bene, papà.

— Anch’io ti voglio bene.

— Cosa… cosa faremo, mamma e io?

— Non preoccuparti, giovanotto. Continuerete a stare qui. Non dovrete pensare ai soldi. L’assicurazione basta e avanza.

Ricky mi guardò: non capiva, era chiaro.

— Non morire, papà. Per favore, non morire.

Lo strinsi a me e Susan ci abbracciò.

12

Per quanto, come vittima, il cancro mi atterrisse, come biologo mi affascinava.

I proto-oncogeni, i normali geni con il potenziale di scatenare il cancro, esistono in tutti i mammiferi e uccelli. Anzi, ogni proto-oncogene finora identificato è presente negli uni e negli altri. Ora, gli Uccelli derivano dai Dinosauri, che derivano dai Tecodonti, che derivano dai primitivi Diapsidi, che derivano dai Captorinomorfi, i primi veri rettili. Intanto i Mammiferi si sono evoluti dai Terapsidi, che derivano dai Pelicosauri, che derivano dai primitivi Sinapsidi, che derivano anch’essi dai Captorinomorfi. Poiché i Captorinomorfi, l’antenato comune, risalgono al carbonifero superiore, quasi 300 milioni di anni fa, i geni in comune esistono da almeno altrettanto tempo (e infetti abbiamo trovato ossa fossili cancerose, che confermano come il grande C sia esistito almeno fin dal giurassico).

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