— Vero — riconobbe Chen. — In realtà l’unica prova di questa supernova da noi trovata sulla Terra è un picco di nitrato nella neve dell’Antartide, che potrebbe esservi associato; picchi similari sono correlati ad altre supernovae. Vela però è visibile nel paese dei miei antenati! La si vede chiaramente dalla Cina meridionale. Ho pensato che, se esistevano documenti, erano documenti cinesi. — Mostrò il libro. — Qui però non c’è niente. Certo, il 1320 A.D. era nel periodo centrale della dinastia Yuan.
— Ah — dissi solennemente. — La Yuan.
Chen mi fissò come se fossi un filisteo, — La Yuan fu fondata da Kublai Khan a Pechino. I governi cinesi erano di norma generosi nel sostegno alle ricerche astronomiche, ma durante quel periodo le sovvenzioni erano state ridotte, sotto il dominio dei Mongoli. Più o meno come accade oggi nell’Ontario.
— Senza amarezza, vero? — dissi.
Chen scrollò le spalle. — Non ho trovato altro, per spiegare come il mio popolo non abbia lasciato documenti riguardanti la supernova. — Si rivolse a Hollus. — La supernova doveva essere visibile da Beta Hydri come da qui. Il suo popolo ha lasciato documenti sull’evento?
— Controllerò — rispose Hollus. Il simulacro smise di muoversi, perfino il tronco smise di espandersi e di contrarsi. Aspettammo circa un minuto, poi il ragno gigante tornò in vita: Hollus aveva ripreso possesso del suo avatar. — No — disse.
— Nessun documento riguardante una supernova di 650 anni fa?
— Non in Vela.
— Parlavo di anni terrestri, naturalmente.
Hollus parve offeso dell’insinuazione che potesse essersi sbagliato. — Naturalmente — replicò. — La più recente supernova osservata a occhio nudo dai Forhilnor o dai Wreed si trovava nella Grande Nube di Magellano, circa quindici anni fa. Prima di quella, tutt’e due le razze ne videro una nella costellazione che chiamate Serpente, nei primi anni del vostro XVII secolo.
Chen annuì. — La supernova di Keplero. — Guardò me. — Qui era visibile dal 1604. Era di sicuro più luminosa di Giove, ma non certo visibile durante il giorno. — Sporse le labbra, riflettendo. — È affascinante. La supernova di Keplero non si trovava certo nelle vicinanze della Terra o di Beta Hydri o di Delta Pavonis, eppure su tutti e tre i pianeti è stata vista e documentata. La supernova 1987 A, naturalmente, non era nemmeno in questa galassia, eppure tutt’e tre l’abbiamo documentata. Ma l’evento nella costellazione Vela intorno al 1320 era abbastanza vicino. Pensavo che qualcuno l’avesse visto.
— Forse si è frapposta una nube di polvere — disse Hollus.
— Non ci sono nubi di polvere da quelle parti, ora — replicò Chen — e ci sarebbe voluta una nube molto vicina alla stella esplosa oppure molto estesa, per oscurare l’evento alla Terra e a Beta Hydri e a Delta Pavonis. Qualcuno dovrebbe averla vista.
— Un bel rompicapo — disse Hollus. Chen annuì. — Vero, eh?
— Sarò lieto di fornirle tutta la documentazione raccolta dalla mia razza sulle supernovae — disse Hollus. — Forse getterà un po’ di luce su questa faccenda.
Mi domandai se Hollus avesse fatto volutamente la battuta.
— Sarebbe magnifico — disse Chen.
— Farò mandare giù dalla nave madre del materiale — disse Hollus, agitando i peduncoli oculari.
Quando avevo quattordici anni, il museo aveva lanciato una gara per bambini interessati ai dinosauri. Il vincitore avrebbe avuto un mucchio di premi connessi con la paleontologia.
Se fosse stata una gara di banalità sui dinosauri o una prova di normali conoscenze sui dinosauri o se i partecipanti avessero dovuto riconoscere dei fossili, avrei vinto io di sicuro.
Invece era una gara per il migliore pupazzo di dinosauro.
Sapevo di quale dinosauro si trattava: il Parasaurohphus, l’emblema del rom.
Tentai di costruirne uno, usando plastilina e polistirolo e perni di legno.
Fu un disastro. Il cranio, con la sua lunga cresta, continuava a cadere. Non lo terminai mai. Un ciccione vinse la gara; ero presente alla cerimonia della consegna dei premi, uno dei quali era un modellino di Sauropode. Lui disse: “Bello! Un brontosauro!”. Rimasi disgustato: anche nel 1960 nessuno che sapesse qualcosa di dinosauri avrebbe chiamato brontosauro un Apatosaurus.
Imparai però una lezione preziosa: non puoi scegliere il modo in cui ti metteranno alla prova.
Donald Chen e Hollus erano affascinati dalle supernovae, ma io ero più interessato a ciò che avevo discusso con il Forhilnor nei giorni precedenti. Appena Don uscì, dissi: — Allora, Hollus, a quanto pare voi sapete un mucchio di cose sul dna.
— Immagino sia vero — mi rispose.
— Cosa… — Mi s’inceppò la voce. Deglutii e riprovai.
— Cosa sapete sui problemi del dna, sugli errori nella sua replicazione?
— Non è il mio campo, ovviamente — disse Hollus — ma il nostro medico di bordo, Lablok, è ragionevolmente esperto in questo campo.
— E questo Lablok… — Deglutii. — Questo Lablok sa qualcosa del, ah, del cancro?
— Sul nostro pianeta la cura del cancro è una disciplina specialistica — disse Hollus. — Lablok ne sa qualcosa, è ovvio, ma…
— Potete curare il cancro?
— Lo curiamo con radiazioni e con prodotti chimici. A volte sono efficaci, spesso no. — Parve piuttosto rattristato.
— Come sulla Terra — sospirai. Rimasi in silenzio per un poco; mi ero augurato una risposta diversa, lo ammetto. Be’, pazienza. — A proposito di dna — ripresi — potrei avere un campione del tuo? Se non è faccenda troppo personale, beninteso. Mi piacerebbe studiarlo.
Hollus distese il braccio. — Prego, serviti pure!
Quasi ci restai secco. — Tu non sei realmente qui. Sei una semplice proiezione.
Hollus abbassò il braccio e mosse in un’onda a S i peduncoli oculari. — Scusa il mio umorismo — disse.
— Certo, se desideri dei campioni di dna, te li fornirò volentieri. Me li farò mandare giù dalla nave.
— Grazie.
— Posso dirti cosa troverai, però. Troverai che la mia esistenza è altrettanto improbabile della tua. Forme di vita così complesse non possono semplicemente essere sorte per caso.
Trassi un respiro profondo. Non volevo discutere con l’alieno, però, maledizione, lui era uno scienziato. Doveva sapere come va il mondo. Girai sulla poltroncina per avere di fronte il computer posto su quello che, quando avevo iniziato a lavorare lì, era il tavolino di una macchina per scrivere. Avevo una di quelle ingegnose tastiere divise della Microsoft: il museo aveva dovuto fornirle a chiunque ne facesse domanda, dopo che il personale aveva iniziato a denunciare casi di sindrome del tunnel carpale.
Il mio computer aveva un sistema Windows NT, ma passai sul dos e battei un comando. Iniziò un’applicazione che mostrò sul monitor una scacchiera.
— Questa è una normale scacchiera da gioco — dissi.
— Noi vi giochiamo due giochi di strategia: gli scacchi e la dama.
Hollus portò a contatto i globi oculari. — Degli scacchi ho sentito parlare; se ho ben capito, ritenevate la maestria in quel gioco uno dei massimi successi intellettuali dell’umanità, finché un computer non è riuscito a battere i più abili giocatori. Voi umani tendete a rendere del tutto elusiva la definizione d’intelligenza.
— Lo immagino — replicai. — Comunque, voglio parlare di qualcosa di più simile agli scacchi. — Premetti tan tasto. — Questa è una disposizione casuale di pezzi in gioco. — In circa un terzo delle 64 caselle spuntarono occupanti circolari. — Ora, guarda: ogni casella occupata è a contatto con altre otto caselle, giusto?
Hollus accostò di nuovo i globi oculari.
— Ora tieni presenti tre semplici regole: una data casella non subisce cambiamento, occupata o libera, se due caselle adiacenti sono occupate. Se una casella occupata ha adiacenti tre caselle occupate, rimane occupata. In tutti gli altri casi, la casella diventa vuota se non è già vuota; se è già vuota, rimane vuota. Chiaro?
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