– Provatevi e vedrete!
E senza dir altro, Pinocchio prese in mano la candela, e andando avanti per far lume, disse al suo babbo:
– Venite dietro a me, e non abbiate paura.
E così camminarono, e traversarono tutto il corpo e tutto lo stomaco del Pescecane. Ma giunti al punto dove cominciava la spaziosa gola del mostro, pensarono bene di fermarsi per dare un’occhiata e cogliere il momento opportuno alla fuga.
Ora bisogna sapere che il Pescecane, essendo molto vecchio e soffrendo d’asma e di palpitazione di cuore, era costretto a dormire a bocca aperta: per cui Pinocchio, affacciandosi al principio della gola e guardando in su, potè vedere al di fuori di quell’enorme bocca spalancata un bel pezzo di cielo stellato e un bellissimo lume di luna.
– Questo è il vero momento di scappare – bisbigliò allora voltandosi al suo babbo. – Il Pescecane dorme come un ghiro: il mare è tranquillo. Venite dunque, babbino, dietro a me, e fra poco saremo salvi.
Detto fatto, salirono su per la gola del mostro marino, e arrivati in quell’immensa bocca, cominciarono a camminare in punta di piedi sulla lingua. E già stavano per fare il gran salto e per gettarsi a nuoto nel mare, quando il Pescecane starnutì, e nello starnutire, dette uno scossone così violento, che Pinocchio e Geppetto si trovarono rimbalzati all’indietro e scaraventati novamente in fondo allo stomaco del mostro.
Nel grand’urto della caduta la candela si spense, e padre e figliolo rimasero al buio.
– E ora?… – domandò Pinocchio facendosi serio.
– Ora, ragazzo mio, siamo perduti.
– Perché perduti? Datemi la mano, babbino!
– Dove mi conduci?
– Dobbiamo ritentare la fuga.
Ciò detto, Pinocchio prese il suo babbo per la mano: e camminando sempre in punta di piedi, risalirono insieme su per la gola del mostro: poi traversarono tutta la lingua e scavalcarono i tre filari di denti.
Prima però di fare il gran salto, il burattino disse al suo babbo:
– Montatemi a cavalluccio sulle spalle e abbracciatemi forte forte. Al resto ci penso io.
Appena Geppetto si fu accomodato sulle spalle del figliolo, il bravo Pinocchio si gettò nell’acqua e cominciò a nuotare. Il mare era tranquillo come un olio: la luna splendeva in tutto il suo chiarore e il Pescecane seguitava a dormire di un sonno così profondo, che non l’avrebbe svegliato nemmeno una cannonata.
36. Finalmente Pinocchio cessa d’essere un burattino e diventa un ragazzo
Mentre Pinocchio nuotava per raggiungere la spiaggia, si accorse che il suo babbo tremava fitto fitto, come se al pover’uomo gli battesse la febbre.
Tremava di freddo o di paura? Chi lo sa?… Forse un po’ dell’uno e un po’ dell’altra. Ma Pinocchio, credendo che quel tremito fosse di paura, gli disse per confortarlo:
– Coraggio, babbo! Fra pochi minuti arriveremo a terra e saremo salvi.
– Ma dov’è questa spiaggia benedetta? – domandò il vecchietto. – Eccomi qui, che guardo da tutte le parti e non vedo altro che cielo e mare.
– Ma io vedo anche la spiaggia – disse il burattino. – Per vostra regola io sono come i gatti: ci vedo meglio di notte che di giorno.
Il povero Pinocchio faceva finta di esser di buon umore: ma invece… invece cominciava a scoraggiarsi: le forze gli scemavano, il suo respiro diventava grosso e affannoso… insomma non ne poteva più, e la spiaggia era sempre lontana.
Nuotò finché ebbe fiato: poi si voltò col capo verso Geppetto, e disse con parole interrotte:
– Babbo mio… aiutatevi… perché io muoio!..
E padre e figliolo erano oramai sul punto di affogare, quando udirono una voce di chitarra scordata che disse:
– Chi è che muore?
– Sono io e il mio povero babbo!
– Questa voce la riconosco! Tu sei Pinocchio!..
– Preciso: e tu?
– Io sono il Tonno, il tuo compagno di prigionia in corpo al Pescecane.
– E come hai fatto a scappare?
– Ho imitato il tuo esempio. Tu sei quello che mi hai insegnato la strada, e dopo te, sono fuggito anch’io.
– Tonno mio, tu capiti proprio a tempo! Ti prego per l’amore che porti ai Tonnini tuoi figlioli: aiutaci, o siamo perduti.
– Volentieri e con tutto il cuore. Attaccatevi tutti e due alla mia coda, e lasciatevi guidare. In quattro minuti vi condurrò alla riva.
Geppetto e Pinocchio accettarono subito l’invito: ma invece di attaccarsi alla coda, giudicarono più comodo di mettersi addirittura a sedere sulla groppa del Tonno.
– Siamo troppo pesi? – gli domandò Pinocchio.
– Pesi? Neanche per ombra. – rispose il Tonno.
Giunti alla riva, Pinocchio saltò a terra il primo, per aiutare il suo babbo a fare altrettanto: poi si voltò al Tonno, e con voce commossa gli disse:
– Amico mio, tu hai salvato il mio babbo! Dunque non ho parole per ringraziarti abbastanza! Permetti almeno che ti dia un bacio, in segno di riconoscenza eterna!..
Il Tonno cacciò il muso fuori dell’acqua, e Pinocchio gli posò un bacio sulla bocca. A questo tratto di spontanea e vivissima tenerezza, il povero Tonno, che non c’era avvezzo, si sentì talmente commosso, che vergognandosi a farsi veder piangere come un bambino, ricacciò il capo sott’acqua e sparì.
Allora Pinocchio, offrendo il suo braccio a Geppetto, che aveva appena il fiato di reggersi in piedi, gli disse:
– Appoggiatevi pure al mio braccio, caro babbino, e andiamo. Cammineremo pian pianino come le formicole, e quando saremo stanchi, ci riposeremo lungo la via.
– E dove dobbiamo andare? – domandò Geppetto.
– In cerca di una casa, dove ci diano per carità un boccon di pane e un po’ di paglia che ci serva da letto.
Non avevano ancora fatti cento passi, che videro seduti sul ciglione della strada due brutti ceffi, i quali stavano lì in atto di chiedere l’elemosina.
Erano il Gatto e la Volpe: ma non si riconoscevano più da quelli d’una volta. Figuratevi che il Gatto, a furia di fingersi cieco, aveva finito coll’accecare davvero: e la Volpe invecchiata, non aveva più nemmeno la coda. Quella trista ladracchiola, caduta nella più squallida miseria, si trovò costretta un bel giorno a vendere perfino la sua bellissima coda a un merciaio ambulante.
– O Pinocchio – gridò la Volpe – fai un po’ di carità a questi due poveri infermi.
– Infermi! – ripetè il Gatto.
– Addio, mascherine! – rispose il burattino. – Mi avete ingannato una volta, e ora non mi ripigliate più.
– Credilo, Pinocchio, che oggi siamo poveri e disgraziati davvero!
– Davvero! – ripetè il Gatto.
– Se siete poveri, ve lo meritate. Ricordatevi del proverbio che dice: “I quattrini rubati non fanno mai frutto”. Addio, mascherine!
– Abbi compassione di noi!..
– Di noi!
– Addio, mascherine! Ricordatevi del proverbio che dice: “La farina del diavolo va tutta in crusca”.
– Non ci abbandonare!
– …are! – ripetè il Gatto.
– Addio, mascherine! Ricordatevi del proverbio che dice: “Chi ruba il mantello al suo prossimo, per il solito muore senza camicia”.
E così dicendo, Pinocchio e Geppetto seguitarono per la loro strada: finché, fatti altri cento passi, videro in fondo a una viottola, in mezzo ai campi, una bella capanna tutta di paglia, e col tetto coperto d’embrici e di mattoni.
– Quella capanna dev’essere abitata da qualcuno – disse Pinocchio. – Andiamo là, e bussiamo.
Difatti andarono, e bussarono alla porta.
– Chi è? – disse una vocina di dentro.
– Siamo un povero babbo e un povero figliolo, senza pane e senza tetto – rispose il burattino.
– Girate la chiave, e la porta si aprirà – disse la solita vocina.
Pinocchio girò la chiave, e la porta si aprì. Appena entrati dentro, guardarono di qua, guardarono di là, e non videro nessuno.
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