“Quindi non esiste una vera e propria correlazione tra le due vittime, se si esclude il simbolo,” disse Flynn. Stava esaminando con attenzione le immagini, confrontandole. “Nessuna corrispondenza in termini di luogo, metodo, tipo di donna; l’unico elemento in comune è l’età avanzata. Ma gli agenti che se ne sono occupati pensano che i casi siano collegati.”
“È palese che lo siano,” affermò Zoe, sforzandosi di mantenere la calma. “Il simbolo è un biglietto da visita. Indica che gli omicidi sono stati commessi dalla stessa mano.”
“Uhm.” Flynn le restituì le fotografie, guardandola mentre le riponeva nel fascicolo. “Ehi, ho sentito dire che sei nell’FBI da parecchio.”
“Ho dieci anni più di te,” rispose Zoe. Voltò la testa per guadare fuori dal finestrino dell’aereo. Sarebbe stato perfetto se Flynn avesse fatto silenzio. Finché guardava fuori e ignorava il vetro del finestrino, poteva concentrarsi su quelle nuvole bianche e soffici, del tutto prive di numeri.
“Hai anche avuto un sacco di partner, non è così?” domandò Flynn. “Mi hanno parlato di te quando sono stato assegnato.”
Zoe si irrigidì. Se le avesse chiesto di Shelley, si sarebbe alzata e si sarebbe diretta verso la parte anteriore dell’aereo, fingendo di dover usare il bagno. Non voleva farlo: uno spazio così ristretto sarebbe stato pieno di numeri; le dimensioni ridotte di una stanza rimpicciolita alla grandezza di un armadio. Ma sarebbe stato meglio che parlare di Shelley. Insomma, chi mai avrebbe voluto parlare dei propri fallimenti più grandi? Soprattutto quando erano così recenti e pesavano così tanto.
“Mi hanno detto che sei particolarmente in gamba quando si tratta di risolvere questi casi complicati,” disse. Si era avvicinato a lei, quasi impercettibilmente. Questione di millimetri. “Sei una sorta di genio o cose del genere.”
“Davvero?” domandò seccamente Zoe; non aveva intenzione di abboccare.
“Sì. Mi hanno detto che imparerò molto lavorando con te.”
“Chi te l’ha detto?” domandò Zoe, voltandosi per guardarlo negli occhi. Voleva sapere chi aveva parlato di lei alle sue spalle, anche se non avrebbe fatto molta differenza. Il sorriso spavaldo sul viso di Flynn tentennò e svanì, mentre i muscoli che circondavano la sua bocca si contrassero.
“Beh, insomma, un po’ tutti,” disse Flynn con voce insicura. Si spostò di nuovo, allontanandosi da lei e riprendendo la sua posizione precedente. “Voglio dire, magari riusciremo a risolvere velocemente questo caso lavorando insieme, no? Magari potrei gestire tutto io e tu potresti dirmi se mi sta sfuggendo qualcosa.”
Zoe continuò a fissarlo per un istante, sbattendo le palpebre una sola volta con aria sbalordita, dopodiché si voltò per riprendere a guardare fuori dal finestrino.
Non le piaceva questo Aiden Flynn. Era arrogante, forse anche più della maggior parte delle nuove reclute. Un novellino che non aveva ancora scoperto i propri limiti. Forse le sue origini avevano qualcosa a che fare con questa sua spavalderia. Molto probabilmente non era abituato a sentirsi dire di no.
Non era interessata a condividere niente con lui, men che meno le sue abilità. Doveva ancora capire bene se fossero un dono o una maledizione, ma in ogni caso non voleva affatto che un estraneo ne venisse a conoscenza. Non soltanto si trattava di una cosa che non confidava a nessuno – o quasi – ma sarebbe anche stato un insulto alla memoria di Shelley. Soltanto un partner in tutta la sua carriera aveva spinto Zoe a rivelare il suo vero io.
Questo giovane arrogante, con i suoi capelli lucenti e l’abito su misura, non sarebbe entrato nell’elenco.
Il che significava che Zoe sarebbe stata costretta a combattere su due fronti: da un lato, avrebbe dovuto tenere a bada i numeri che minacciavano costantemente di travolgere i suoi sensi per poter risolvere il caso, e dall’altro, impedire al pivello di capire in che modo ci riuscisse.
Zoe tenne lo sguardo fisso sulle nuvole, assaporando questo breve attimo di quiete prima della tempesta. Non sarebbe stato un caso semplice. Sperò soltanto di riuscire a risolverlo velocemente, in modo da non dover sopportare troppo a lungo questo suo nuovo partner.
Zoe allontanò nuovamente la cintura di sicurezza dal collo, stringendola più forte. Dovette respirare profondamente diverse volte per calmare lo stomaco. Non le era mai piaciuto essere un passeggero – le faceva sempre venire il mal d’auto – ma era persino peggio con il novellino alla guida. Prendeva le curve troppo velocemente e accelerava sui rettilinei anche se si trovava in un territorio non familiare. Ogni volta che il GPS gli diceva di prendere un’uscita, era costretto a fare una curva stretta a velocità vertiginosa per riuscirci. Era un miracolo che non avesse ancora usato il freno a mano e non avesse sbandato.
“A quanto pare siamo arrivati,” disse Flynn, allungando il collo per vedere più facilmente davanti a sé. Si erano fermati fuori dalla stazione di uno sceriffo; sembrava non esserci nessuno, a parte qualche volante parcheggiata e un solo giornalista che indossava un cappotto lanuginoso.
Zoe fece un profondo respiro di sollievo, togliendo finalmente le mani dalla cintura di sicurezza. Anche dopo essersi fermati, la pressione che esercitava sul suo collo era sufficiente a farla sentire male. La nausea, insieme all’emicrania che continuava a tormentarla e ai numeri che affollavano la sua vista, lasciarono Zoe senza fiato e incapace di concentrarsi. Voleva soltanto sedersi, appoggiare la testa al sedile e magari dormire per un po’, ma sapeva che sarebbe stato impossibile farlo.
Il novellino stava già aprendo la sua portiera per uscire dall’auto, quindi Zoe fece altrettanto, seppur a malincuore. Non poteva permettersi di restare indietro, non con un partner che non sapeva ancora come muoversi. Aveva già collaborato con delle reclute. Volevano soltanto mettersi alla prova e tendevano a seguire troppo la procedura. Erano riluttanti a separarsi dalla rigida struttura che avevano imparato all’Accademia. Quello le avrebbe provocato un grosso mal di testa e avrebbe innescato un sacco di discussioni. Proprio ciò di cui aveva bisogno in questo periodo.
Raggiunse Flynn mentre era ormai arrivato alle doppie porte dell’edificio tozzo, basso e grigio dello sceriffo. Si stava facendo tardi; un’occhiata al suo orologio le mostrò che erano le sette di sera e il sole era da tempo tramontato. La luce gialla dalle lampade di sicurezza che circondavano l’edificio lo rendeva completamente visibile; moscerini e falene si muovevano attorno a ognuna di esse, danzando avanti e indietro spinte da un’irresistibile forza d’attrazione. Il giornalista, che stava cercando di scaldarsi le mani mentre camminava su e giù, li vide entrare ma non li chiamò.
Una receptionist con una giacca di lana alzò lo sguardo quando entrarono, togliendosi l’estremità di una penna dalla bocca. “Salve, posso aiutarvi?” domandò. Zoe notò che portava tre orecchini a ogni orecchio e che le sue unghie erano di plastica, lunghe cinque centimetri e ornate con un complesso motivo screziato.
Aprì la bocca per rispondere, ma fu come se a uscire fosse un’altra voce. “Siamo dell’FBI,” disse Flynn, alzando il distintivo per mostrarglielo. “Abbiamo appuntamento con lo sceriffo.”
La receptionist annuì con noncuranza e alzò la cornetta del telefono che si trovava sulla scrivania. Disse qualche parola; Zoe era troppo occupata a contare le spirali del cavo del telefono fisso per sentirle. Dopo aver messo giù, la receptionist riportò la penna in bocca e continuò a ignorarli, studiando attentamente qualcosa che era posato sulla scrivania, appena fuori dalla loro vista.
Zoe si voltò spazientita quando sentì un rumore di passi. Più avanti, nel corridoio, si aprì una porta e ne uscì una donna. Indossava la classica uniforme beige da sceriffo, con tanto di radio e pistola infilati nella cintura. Aveva circa cinquant’anni; i suoi capelli erano leggermente grigi ma li aveva tinti, anche se erano ancora visibili radici di due centimetri.
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