“Agente Aiden Flynn,” disse, allungando la mano davanti a sé, con quel ghigno ancora stampato sul viso.
Zoe prese la sua mano e la strinse con noncuranza, prendendo le misure del suo viso e gli angoli dei suoi zigomi alti. Aveva l’aspetto di un uomo che portava guai, dalla testa ai piedi. Quel vestito si adattava perfettamente al suo corpo: non era stato acquistato in negozio ma fatto su misura. Veniva da una famiglia benestante. La sua mano era morbida e Zoe non ebbe bisogno dei numeri per capire che le sue scarpe fossero nuove di zecca.
Zoe rivolse uno sguardo accusatorio a Maitland. “Questo è il suo primo incarico,” disse.
“È appena uscito dall’Accademia,” rispose Maitland, prima di allungarsi, mettendo le mani dietro la testa e appoggiandosi allo schienale della poltrona. La sua schiena rimase perfettamente dritta; a cambiare fu soltanto l’angolo dei suoi fianchi.
“Non voglio fare da babysitter,” scattò Zoe, forse più bruscamente di quanto avesse voluto. Maitland avrebbe ancora potuto decidere di non affidarle il caso. “Questi omicidi sono gravi. L’assassino deve essere preso alla svelta.”
“Posso farcela,” si intromise subito l’Agente Flynn. “Ero il migliore del mio corso. Me ne occuperò senza problemi.”
“Quanti anni ha?” domandò Zoe. “Ventitre?”
“Sì,” rispose l’Agente Flynn con voce perplessa. “Come ha fatto a…”
“È un ragazzino,” disse Zoe, rivolgendosi a Maitland.
Gli angoli della bocca del suo superiore si contorsero, sollevandosi di mezzo centimetro e cambiando l’espressione del suo viso. “Agente Prime, le darò due opzioni,” disse. “O lavora su questo caso insieme all’Agente Flynn o è fuori. Quale preferisce?”
Zoe guardò di nuovo Flynn, vedendo brulicare i numeri davanti ai suoi occhi. Oltre a essere troppo inesperto, le comunicava troppe informazioni. Quel ragazzo era tutto angoli acuti: la sua corporatura, i suoi zigomi, il suo vestito. Almeno con le persone che conosceva bene riusciva a mettere a tacere i numeri. Lavorando con lui sarebbe stato impossibile.
Però non aveva mai parlato dei numeri con nessuno dei suoi partner, fatta eccezione per Shelley. La vedevano già come se fosse una tipa strana, e non voleva dar loro altre ragioni per pensarlo. Quindi non poteva tirarli in ballo adesso per usarli come scusa. Non poteva dire a Maitland che vedeva numeri ovunque e che quelli le avrebbero impedito di concentrarsi.
Zoe sapeva fin troppo bene che una tale ammissione non soltanto l’avrebbe fatta apparire una matta agli occhi di Maitland, ma probabilmente l’avrebbe anche spinto a metterla in malattia e a chiederle di sottoporsi a una serie di sedute con uno psichiatra messo a disposizione dall’agenzia – o forse persino a farla internare. Non aveva nessuna intenzione di rischiare.
“Non mi sta dando scelta, a quanto pare,” disse, nel tentativo di capire se ci fosse qualche remota possibilità che potesse fare a meno di questo nuovo partner.
“Certo che ha una scelta,” disse Maitland. “Può salire su un aereo nel giro di qualche ora oppure può tornarsene a casa. Cosa sceglie?”
Zoe sospirò. La risposta era scontata. Non poteva lavorare insieme a questo giovane idiota, con le sue scarpe scintillanti e il suo sorriso da ragazzo ricco. Ma non poteva nemmeno tornarsene a casa così; non poteva limitarsi a restarsene seduta sul divano con i suoi gatti con lo sguardo perso nel vuoto, né poteva continuare a presentarsi davanti alla casa di Shelley di notte. Aveva un dovere, non solo nei confronti della sua partner morta ma anche verso le vittime, che chiedevano giustizia. E delle vittime che sarebbero morte nei giorni e nelle settimane seguenti se l’assassino non fosse stato catturato.
I gatti sarebbero stati bene senza di lei. La sua mangiatoia a rilascio lento si sarebbe presa cura di loro. E non c’era nessun altro al mondo che avesse bisogno di lei. Non quanto questo caso.
Avrebbe dovuto reprimere le obiezioni che le bloccavano la gola, minacciando di soffocarla se non le avesse sputate. Sapeva che era quello che Shelley avrebbe voluto che facesse.
Aprì la bocca per dare la sua risposta, seppur pentendosene immediatamente.
***
Zoe lesse nuovamente i dettagli del caso per prendervi confidenza. Il volo era breve, ma aveva abbastanza tempo per memorizzare tutte le informazioni e iniziare a pensare ai passi da fare una volta atterrati. Tanto per cominciare, avrebbero dovuto dare un’occhiata all’ultima scena del crimine e ad entrambi i cadaveri.
“Ti dispiace leggerlo ad alta voce?” Flynn, seduto accanto a lei, stava disperatamente cercando di dare un’occhiata ai fogli, senza però avere successo. Le sue lunghe gambe erano stranamente piegate nell’angusto spazio del sedile dell’aereo, mentre i suoi gomiti erano una costante minaccia allo spazio personale di Zoe. “Vorrei farmi trovare pronto.”
Zoe sospirò sommessamente, desiderosa che lui la lasciasse in pace. Ma la sua non era certo una richiesta irragionevole. È solo che non sapeva che avrebbe dovuto tradurre tutto nella sua mente, rimuovere i numeri che vedeva dappertutto e leggere il testo come un robot. Nessun contesto, nessuna inflessione, soltanto le parole scritte sulla pagina. Per lei era difficile farlo, esattamente come sarebbe stato difficile per un neonato leggere quelle pagine.
“Il primo cadavere è stato ritrovato a nord della città di Syracuse, e il secondo proprio a Syracuse,” disse. “La prima vittima era una donna di quarantuno anni di nome Olive Hanson, strangolata e lasciata nei pressi di un’ansa del fiume Oneida dove, a quanto pare, stava facendo un’escursione.”
Zoe gli passò le foto della scena del crimine, immagini che aveva già studiato. La donna era distesa sulla riva, il suo collo era violaceo mentre il resto era pallido e indistinto; i suoi occhi fissavano il vuoto. Poi l’immagine finale: l’addome esposto, la maglietta sollevata senza indizi di manomissione dei suoi vestiti, e il simbolo inciso nella sua carne già fredda. Risaltava nettamente, come succedeva sempre in casi del genere. Un taglio che squarciava la pelle bianca, macchiandola di rosso e dandole la consistenza della carne in scatola.
Zoe fissò le mani di Flynn. Non riusciva a concentrarsi sul suo viso e leggere la sua espressione, non con tutti gli angoli e i calcoli nuovi che la travolgevano ogni volta che i muscoli dell’uomo si contraevano. Ma poteva prestare attenzione al tremolio. E lo vide, non appena lui passo all’ultima foto: un tremito della sua mano che fece sussultare leggermente anche la carta. Ne era sconvolto.
Era un bene. La paura l’avrebbe reso più facile da controllare, da zittire quando lei avrebbe avuto bisogno di tempo e spazio per riflettere. E voleva anche dire che era umano, che aveva quell’empatia di cui Zoe, a detta di tutti, era carente. In termini pratici, era un bene avere accanto una persona empatica che parlasse alle famiglie delle vittime: quando percepivano che qualcuno capiva il loro dolore, erano più disposti a dire la verità.
Zoe prese gli altri due fogli, leggendo con attenzione le informazioni che vi erano riportate. “Anche la seconda vittima è una donna. Un’astronoma di nome Elara Vega, trovata morta nel planetario dove lavorava. Cinquantanove anni. Si presume che sia morta la sera prima del suo ritrovamento. È stata affogata in un secchio per pulire i pavimenti.”
Queste foto mostravano una storia simile alla prima, se non esattamente la stessa. Il corpo lasciato disteso nel punto in cui era caduto, i capelli ancora bagnati. Anche la sua maglietta era stata tirata su, i bottoni inferiori erano stati slacciati per permettere all’assassino di incidere quel simbolo sulla sua pelle. Una linea dritta superiore e poi due linee parallele verso il basso.
Читать дальше