Passando di fianco a Corky, abbassò gli occhi sull'astrofisico, stremato dall'avventura sulla banchisa. Il gonfiore sulla guancia stava diminuendo e i punti sembravano a posto. Russava, profondamente addormentato, stringendo tra le mani grassocce il disco di meteorite come fosse un feticcio.
Rachel si chinò e delicatamente gli sfilò il campione per esaminare ancora una volta i fossili. "Lascia perdere le ipotesi" si disse, sforzandosi di riorganizzare i pensieri. "Ristabilisci la successione dei dati." Era un vecchio trucco dell'NRO. Ricostruire una prova dall'inizio era un procedimento noto come "partenza da zero", che tutti gli analisti di dati praticavano quando mancava qualche pezzo.
"Riorganizza i dati."
Riprese a camminare avanti e indietro.
"Questa pietra rappresenta davvero la conferma che esiste la vita extraterrestre?"
Sapeva che le prove erano conclusioni costruite su una piramide di fatti, un'ampia base di informazioni accettate su cui venivano fatte asserzioni più specifiche.
"Lascia da parte tutte le ipotesi. Ricomincia da capo. Che cosa abbiamo?"
Una roccia.
Rifletté un momento. "Una roccia. Una roccia con creature fossili." Tornò verso la parte anteriore dell'aereo e riprese posto accanto a Michael Tolland.
«Mike, facciamo un gioco.»
Tolland distolse lo sguardo dal finestrino e la fissò con aria distratta, perso nei suoi pensieri. «Un gioco?»
Gli porse il campione di meteorite. «Facciamo finta che tu veda per la prima volta questa pietra fossile. Io non ti ho raccontato da dove viene o com'è stata trovata. Che mi diresti?»
Tolland sospirò sconsolato. «Buffo che tu me lo chieda, perché mi è appena venuto in mente un pensiero molto strano…»
Centinaia di chilometri dietro Rachel e Tolland, un aereo dall'aspetto insolito sorvolava a bassa quota, velocissimo, l'oceano deserto. A bordo, gli uomini della Delta Force erano silenziosi. Era già capitato che fossero evacuati all'improvviso da un posto, ma mai tanto frettolosamente.
Il loro capo era furibondo.
Delta-Uno aveva dovuto informarlo che eventi imprevisti sulla banchisa non avevano dato loro altra scelta che ricorrere alla violenza, una violenza che si era conclusa con l'uccisione di quattro civili, tra cui Rachel Sexton e Michael Tolland.
Il capo ne era rimasto sconvolto. L'omicidio, anche se consentito come ultima risorsa, non era assolutamente previsto dal suo piano.
In seguito, il suo scontento si era tramutato in collera nell'apprendere che gli omicidi non erano andati a segno.
«La sua squadra ha fallito!» aveva inveito. Il suo tono androgino non riusciva a mascherare la rabbia. «Tre dei suoi cinque bersagli sono ancora vivi!»
"Impossibile" aveva pensato Delta-Uno. «Abbiamo visto personalmente…»
«Hanno stabilito un contatto con un sottomarino e in questo momento sono in rotta per Washington.»
«Cosa?»
Il tono del capo era diventato feroce. «Ascolti con attenzione. Sto per impartirle nuovi ordini, e questa volta veda bene di non fallire.»
Il senatore Sexton avvertì un barlume di speranza mentre accompagnava all'ascensore l'inatteso visitatore. Il capo della SFF non era andato da lui per redarguirlo, ma piuttosto per fargli la paternale e spiegargli che la battaglia non era ancora persa.
Un possibile punto debole nell'armatura della NASA.
Il video della strana conferenza stampa aveva convinto Sexton che quell'uomo aveva ragione: Chris Harper, il direttore della missione PODS, stava mentendo. "Ma perché? Se la NASA non aveva riparato il software del PODS, come ha fatto a trovare il meteorite?"
«A volte basta un esile filo per scoprire qualcosa» disse il capo della SFF mentre raggiungevano l'ascensore. «Forse troviamo il modo di minare dall'interno la vittoria della NASA, gettando un'ombra di sospetto. Chissà dove potrà portare.» L'uomo fissò gli occhi stanchi su Sexton. «Non sono ancora pronto a gettare la spugna, senatore, e spero non lo sia nemmeno lei.»
«Certo che no» rispose Sexton, sforzandosi di assumere un tono determinato. «Siamo andati troppo avanti.»
«Chris Harper ha mentito sulla soluzione del problema del PODS. Dobbiamo capire perché.» Entrò in ascensore.
«Lo scoprirò al più presto.» "Ho per l'appunto la persona giusta."
«Ottimo. Da questo dipende il suo futuro.»
Mentre si dirigeva verso la porta di casa, Sexton sentì il passo più leggero, la mente più lucida. "La NASA ha mentito sul PODS." L'unico problema era come dimostrarlo.
Tornò col pensiero a Gabrielle Ashe. Ovunque fosse, doveva sentirsi da schifo. Senza dubbio aveva seguito la conferenza stampa e forse in quel momento si trovava su una rupe, pronta a lanciarsi nel vuoto. La sua proposta di trasformare la NASA in un argomento chiave della campagna elettorale si era rivelata il più grosso errore di tutta la carriera politica di Sexton.
"È in debito con me e lo sa."
Gabrielle aveva già dimostrato di essere in grado di ottenere informazioni segrete sulla NASA. "Ha un contatto" pensò Sexton. Da settimane riceveva dati riservati. Evidentemente aveva un informatore di cui non voleva parlare, uno a cui avrebbe potuto spremere notizie sul PODS. Inoltre, quella sera Gabrielle avrebbe avuto una motivazione in più. Doveva ripagare un debito e probabilmente sarebbe stata pronta a tutto pur di riconquistare il favore del senatore.
Quando arrivò alla porta, la guardia del corpo lo salutò con un cenno del capo. «'Sera, Senatore. Spero di avere fatto bene a lasciare entrare Gabrielle, prima. Mi ha detto che doveva parlarle con la massima urgenza.»
Sexton si fermò sui suoi passi. «Prego?»
«La signora Ashe! Aveva delle informazioni importanti, per questo l'ho fatta entrare.»
Sexton si sentì irrigidire. Guardò la porta di casa. "Ma di che diavolo parla questo tizio?"
L'espressione della guardia divenne ansiosa, confusa. «Senatore, tutto bene? Ricorda, vero, che Gabrielle è arrivata durante la riunione? Le ha parlato, no? Deve averlo fatto per forza, perché si è trattenuta parecchio.»
Sexton lo fissò per qualche istante, sentendo il cuore accelerare. "Questo imbecille ha lasciato entrare Gabrielle durante un incontro privato con la SFF? E lei è rimasta dentro a lungo e poi è uscita senza dire una parola?" Immaginava bene che cosa potesse aver sentito. Cercando di tenere a bada la collera, rivolse un sorriso forzato alla guardia. «Oh, sì! Scusi, ma sono esausto, e forse ho anche bevuto un paio di bicchieri di troppo. Certo che ho parlato con la signora Ashe, e lei ha fatto bene a lasciarla entrare.»
La guardia parve sollevata.
«Ha detto dov'era diretta, dopo?»
L'uomo scosse la testa. «Andava di fretta.»
«Bene, grazie.»
Sexton entrò in casa fumante di rabbia. "Per la miseria, ma era tanto complicato ubbidire ai miei ordini? Niente visite!" Se Gabrielle era rimasta a lungo per poi sgattaiolare via senza una parola, significava che aveva ascoltato cose che non avrebbe dovuto sentire. "Proprio stasera, poi."
Il senatore sapeva che non poteva permettersi di perdere l'appoggio di Gabrielle Ashe: le donne tendono a diventare vendicative e a commettere stupidaggini quando si sentono ingannate. Doveva riconquistare la sua fiducia. Quella sera più che mai aveva bisogno che lei fosse in campo con lui.
Al quarto piano degli studi televisivi della ABC, Gabrielle Ashe, sola nell'ufficio di Yolanda, fissava la moquette logora. Si era sempre vantata del proprio istinto e della capacità di riconoscere al volo le persone degne di fiducia. In quel momento, per la prima volta da anni, si sentì insicura. Non sapeva che decisione prendere.
Il suono del cellulare le fece sollevare gli occhi dalla moquette. Riluttante, rispose. «Gabrielle Ashe.»
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