"Colpa mia" pensò Gabrielle.
«E questo annuncio a cui abbiamo appena assistito, poi… Un vero colpo di genio! A parte la rilevanza della scoperta, la regia è stata di alta qualità. Collegamenti in diretta con l'Artide, il documentario di Michael Tolland! Dio mio, come si fa a competere con professionisti del genere? Zach Herney ha dato il massimo, stasera. C'è pure una ragione se quel tizio è presidente.»
"E lo sarà per altri quattro anni…"
«Adesso devo tornare al lavoro, Gabs. Tu resta qui quanto vuoi. Rimettiti in sesto.» Yolanda si diresse alla porta. «Torno a darti un'occhiata tra qualche minuto, tesoro.»
Rimasta sola, Gabrielle sorseggiò l'acqua, ma aveva un sapore orribile. Come ogni altra cosa, del resto. "È colpa mia" si ripeteva, nel tentativo di scaricarsi la coscienza ricordando tutte le tetre conferenze stampa della NASA nell'ultimo anno: le battute d'arresto nella costruzione della stazione spaziale, il rinvio dell'X-33, le tante missioni fallite su Marte, i continui sforamenti del budget. Si chiese che cosa avrebbe potuto fare di diverso.
"Niente. Hai fatto tutto giusto."
E tutto si era ritorto contro di lei.
Il SeaHawk, un rombante elicottero della marina, era decollato segretamente dalla base aerea di Thule, nella Groenlandia settentrionale. A bassa quota per sfuggire ai radar, aveva percorso cento chilometri sul mare aperto sotto una vera bufera. Poi, eseguendo gli strani ordini ricevuti, i piloti, contrastando il vento, portarono il velivolo su una serie di coordinate. Sotto di loro, l'oceano deserto.
«Dov'è l'appuntamento?» gridò il copilota, confuso. Eseguendo le istruzioni di usare un elicottero dotato di verricello di salvataggio, si era aspettato un'operazione di ricerca e soccorso. «Sicuro che siano le coordinate giuste?» Puntò il riflettore sui cavalloni, ma sotto di loro non c'era nulla, tranne…
«Per la miseria!» Il pilota tirò indietro la barra per sollevare il mezzo velocemente.
La nera montagna di acciaio si erse improvvisa tra i marosi. Un gigantesco sottomarino senza alcuna dicitura aveva svuotato le casse di zavorra per alzarsi tra una nuvola di spuma.
I piloti scoppiarono a ridere, imbarazzati. «Devono essere loro.»
Come ordinato, l'operazione procedette nel più totale silenzio radio. Il doppio portello in cima alla torretta si aprì e un marinaio fece loro alcuni segnali luminosi. L'elicottero, allora, si spostò sul sottomarino e calò un'imbracatura di salvataggio per tre persone, sostanzialmente costituita da tre anelli rivestiti di gomma su un cavo retrattile. Nel giro di sessanta secondi, tre "trapezisti" sconosciuti ondeggiarono sotto il velivolo e salirono lentamente contro la corrente discendente del rotore.
Quando il copilota li tirò a bordo — due uomini e una donna — il pilota segnalò con la torcia al sottomarino l'avvenuto recupero. L'enorme mezzo navale sparì immediatamente sotto il mare spazzato dal vento, senza lasciare tracce della sua presenza.
Con i passeggeri a bordo, il pilota guardò avanti, abbassò il muso dell'elicottero e puntò verso sud per portare a termine la missione. La tempesta era ormai vicina e i tre sconosciuti dovevano essere condotti sani e salvi alla base aerea di Thule per essere poi caricati a bordo di un jet in partenza per una destinazione ignota. Sapeva soltanto che gli ordini erano arrivati dall'alto, e che stava trasportando un carico molto prezioso.
Quando infine la burrasca esplose, scatenò tutta la sua forza sull'habisfera della NASA. La cupola si scosse come se fosse stata pronta a sollevarsi dal ghiaccio per precipitare in mare. I cavi stabilizzatori di acciaio, tesi sui picchetti, vibravano come enormi corde di chitarra emettendo un sinistro lamento. All'esterno, i generatori a intermittenza facevano tremolare le luci e minacciavano di precipitare nel buio totale l'enorme locale.
Il direttore della NASA attraversò l'habisfera a passo veloce. Avrebbe voluto levare le tende da lì quella sera stessa, ma non era possibile. Doveva restare un altro giorno per presenziare alle conferenze stampa programmate il mattino dopo e seguire i preparativi per il trasporto del meteorite a Washington. In quel momento non desiderava altro che qualche ora di sonno: i problemi inattesi che erano sorti quel giorno l'avevano sfibrato.
I suoi pensieri tornarono di nuovo a Wailee Ming, Rachel Sexton, Norah Mangor, Michael Tolland e Corky Marlinson. Qualcuno, tra il personale della NASA, aveva cominciato a notare l'assenza dei civili.
"Rilassati" si disse Ekstrom. "È tutto sotto controllo."
Fece un respiro profondo e ricordò a se stesso che in quel momento tutto il pianeta era entusiasta della NASA e dello spazio. La vita extraterrestre non era più un argomento emozionante dal famoso "incidente di Roswell" del 1947, quando una presunta navicella spaziale aliena si era schiantata a Roswell, nel New Mexico. Ancora oggi quel posto era meta del pellegrinaggio di milioni di teorici della cospirazione degli UFO.
Negli anni in cui lavorava al Pentagono, Ekstrom aveva saputo che l'incidente di Roswell non era altro che una fallita missione militare avvenuta durante un'operazione segreta chiamata "progetto Mogul": il collaudo di un pallone sonda per spiare i test atomici russi. Un prototipo, durante il volo di prova, era finito fuori rotta per poi schiantarsi nel deserto del New Mexico. Purtroppo un civile aveva rinvenuto il relitto prima dei militari.
William Brazel, un tranquillo allevatore, notati in un campo del suo ranch alcuni brandelli di neoprene e lamine metalliche che non aveva mai visto in vita sua, immediatamente si era premurato di avvertire lo sceriffo. I giornali avevano pubblicato la notizia di quello strano ritrovamento, e l'interesse del pubblico si era acceso in fretta, alimentato dalla dichiarazione dei militari che il relitto non apparteneva a loro. I reporter si erano lanciati allora nelle indagini, mettendo seriamente a repentaglio la segretezza del progetto Mogul. Proprio quando sembrava che la questione delicata del pallone spia sarebbe stata svelata, era successo un fatto incredibile.
I media erano arrivati a una conclusione inattesa. Avevano deciso che quei frammenti di sostanze futuristiche potevano essere soltanto di origine extraterrestre, dovevano appartenere a creature più progredite dell'uomo. La smentita dei militari che si fosse trattato di un incidente interno doveva essere interpretata in un solo modo: la copertura dell'avvenuto contatto con gli alieni! Anche se sconcertata da quella nuova ipotesi, l'aeronautica aveva scelto di non guardare in bocca al caval donato. Aveva colto al volo la storia degli alieni e l'aveva assecondata: il sospetto che gli alieni visitassero il New Mexico era molto meno pericoloso per la sicurezza nazionale della possibilità che i russi subodorassero l'esistenza del progetto Mogul.
Per avvalorare la storia di copertura sugli extraterrestri, la comunità dell'intelligence aveva avvolto nella segretezza l'incidente di Roswell e aveva cominciato a organizzare "fughe di notizie" su contatti con alieni, recupero di navicelle spaziali e addirittura un misterioso "Hangar 18" nella base aerea Wright-Patterson di Dayton, dove il governo avrebbe conservato nel ghiaccio i corpi degli extraterrestri. Tutto il mondo aveva creduto a quella storia e la febbre di Roswell aveva spazzato il globo. Da quel momento in poi, ogni volta che un civile individuava per sbaglio un velivolo militare molto avanzato, la comunità dell'intelligence rispolverava la vecchia cospirazione.
"Quello non è un aereo, ma una navicella spaziale!"
Ekstrom si meravigliava che quel semplice inganno funzionasse ancora. Quando i media parlavano di un'improvvisa raffica di avvistamenti di UFO, al direttore della NASA veniva da ridere. Con tutta probabilità, un civile aveva avuto la fortuna di avvistare per un attimo uno dei cinquantasette veloci aerei da ricognizione privi di equipaggio dell'NRO, noti come Global Hawk: oblunghi, telecomandati, diversi da qualsiasi velivolo mai visto in cielo.
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