Mo Hayder - Birdman

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Birdman: краткое содержание, описание и аннотация

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In un'area industriale semiabbandonata della periferia londinese vengono scoperti i cadaveri di cinque donne mutilate e seviziate. Scattano immediatamente le indagini che vengono affidate al giovane ispettore Jack Caffery. Egli comprende all'istante che i delitti sono opera di un maniaco: le vittime sono state infatti sottoposte a procedure chirurgiche amatoriali per la riduzione del seno e sono state pettinate e truccate in modo da ricordare delle bambole. La morte tuttavia non è stata causata dalle orrende ferite, bensì da un'iniezione letale; inoltre il killer ha inserito nel petto delle vittime e cucito accanto al cuore un uccellino vivo, simbolo e firma del suo macabro operato.

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Quell'attimo svanì subito. Poi la guardia sorrise.

Harteveld si svegliò, anni dopo, nella casa di Greenwich, gemendo come un animale, l'immagine di quel sorriso ancora viva nella mente. La stanza era buia: solo un lieve fascio di luce lunare filtrava attraverso le tende. Rimase disteso, madido di sudore, a fissare il soffitto, ad ascoltare i battiti del suo cuore che rallentavano, ad aspettare che i pensieri si calmassero.

Capisco, gli aveva detto quel sorriso. Io sono come te. L'efferatezza e la malattia non possono rimanere separate a lungo. Alla fine si congiungono.

Harteveld si passò le mani tra i capelli ed emise un gemito. Poi si girò su un fianco, vide ciò che stava accanto a lui sul cuscino e dovette cacciarsi le dita in bocca per soffocare un grido.

22

Sharon Dawn McCabe si trovava a meno di trenta centimetri da lui, stesa sulla schiena, gli occhi aperti. Una schiuma sporca di sangue le usciva dal naso e dalla bocca, e le colava lungo il mento e il collo, dove aveva lasciato una scia mucosa.

«Oh… Dio… mio», sussurrò Harteveld, esterrefatto. «Ma che cazzo hai fatto?» Infilò una mano sotto le lenzuola e le tastò il polso.

L'orologio sul comodino indicava le 4.46 del mattino.

Col cuore che gli martellava, corse in bagno e riempì il lavandino di acqua fredda. Poi v'immerse il viso finché l'acqua non gli arrivò al collo.

Contò fino a venti.

La repressione, la lunga pulsione del desiderio, i giorni che diventavano settimane, anni, e ora, dopo tutto ciò, ecco che cosa accadeva. Una trappola del destino, immobile e bianca, sul suo letto. Proprio ciò che aveva desiderato in tutti quegli anni, l'unica cosa che non poteva avere dalle ragazze, indipendentemente da quanto le pagasse.

Si sollevò, ansimando, gocciolante.

Il suo volto gli ammiccò dallo specchio. In quella luce obliqua appariva stravolto. Dimostrava tutti i suoi trentasette anni: era come se fosse stato risucchiato dall'interno, prosciugato dalla tensione. Si diede alcuni energici pizzicotti sulle guance, sperando che il dolore gli ridesse la lucidità. Ma non ottenne altro che la sorda, familiare contrazione al ventre.

«Aiutatemi, per favore, aiutatemi…»

La sua voce era fievole, poco più di un sussurro. Nessuno lo avrebbe aiutato, lo sapeva. Si asciugò il viso e tornò in camera.

La stanza era avvolta dalle sfumature purpuree dell'alba. La ragazza era distesa e fissava con sguardo vitreo il soffitto; aveva la bocca aperta e le lenzuola pudicamente tirate fino alle spalle, come se avesse voluto morire con decoro. Tremando, Harteveld attraversò la stanza e aprì la finestra. L'aria era fredda e dolce, vagamente odorosa di neve. Il cedro del Libano spiccava sullo sfondo del cielo.

Se l'avessi voluto, se l'avessi davvero voluto… Lei non poteva dirti di fermarti. Nessuno l'avrebbe saputo. Nessuno doveva sapere…

Continuando a tremare, Toby si avvicinò al letto, tolse lentamente il lenzuolo e lo ammucchiò ai suoi piedi. Sharon aveva le braccia aperte, e lui gliele sistemò con cura, lungo i fianchi, i palmi ancora rosei rivolti all'interno. La scia di muco sul mento, simile alla bava di una lumaca, scintillò nella luce smorta. Edema. Edema polmonare. Prese un asciugamano bagnato e tolse con delicatezza la schiuma. Poi pulì la zona tra le gambe, là dove l'intestino aveva rilasciato il suo contenuto, e cambiò le lenzuola sporche. Il rigor mortis non era ancora iniziato, ed era facile spostarlo, quel placido ammasso di curve bianche circonfuse di luce azzurrina, i seni rotondi, il ventre morbido, le ginocchia grosse e grasse, le cosce lunghe: tutte le linee correvano dolcemente fino a incontrarsi nell'area livida del pube.

La parte interna del braccio destro era punteggiata di croste. Probabilmente aveva preso l'eroina di buona qualità che lui forniva agli ospiti e forse non era abituata a quella roba così pura. Era stata schiacciata dalla purezza. Nonostante tutto, Toby colse quel tratto ironico.

Si accovacciò, ponendosi all'altezza dei piccoli piedi bianchi. La pelle del collo del piede, ripiegata sui tendini, ricordava quella dei pesci salati. Gli occhi ciechi della ragazza baluginavano nella luce purpurea. Toby fece scorrere cautamente le dita sulle caviglie, avvertendo i monconi dei peli rasati e la pelle fredda, che gli fece battere più forte il cuore. Era morbida. Morbida e fredda… immobile.

La casa era ancora silenziosa e buia quando lui aprì le mani chiuse a pugno della ragazza e si stese sul letto.

Dopo fu colto da un tale disgusto di sé che si scolò un'intera bottiglia di pastis. In breve tempo lo vomitò quasi tutto. Il mattino seguente, al risveglio, fu colto da un accesso d'ira: lui era ancora vivo. E al suo fianco c'era il cadavere grigio, consumato.

Chiuse a chiave la grande porta di quercia ai piedi delle scale e tornò nel letto. Rimase steso accanto a lei tutto il giorno, le mani rigide lungo i fianchi, guardando dalla finestra la guglia della chiesa vicina che assumeva i colori dell'aria invernale: dal freddo avorio al caldo corallo, fino al bianco e al blu, per poi tornare di nuovo all'avorio. Arrivò la domestica e bussò alla porta di quercia. Non ricevendo risposta, non insistette. Ben presto si udirono i consueti rumori del giorno: l'aspirapolvere che veniva passato in corridoio, il ghiaccio che cadeva dal cedro, il tintinnio dei bicchieri che venivano riposti.

Harteveld continuava a fissare la chiesa.

Era stranamente calmo. Il dado era stato tratto. Lui aveva raggiunto un livello più profondo, un livello dal quale non avrebbe più fatto ritorno. Sapeva che il suo mondo si stava ripiegando su se stesso.

Si girò e sfiorò delicatamente i capezzoli irrigiditi della ragazza.

Quando la domestica tornò, qualche giorno più tardi, quella stessa settimana, Harteveld le andò incontro sulla porta principale con una busta bianca contenente duecentocinquanta sterline e una lettera di licenziamento. Si era rassegnato: sapeva esattamente ciò che sarebbe accaduto nelle settimane seguenti. Non poteva rischiare di avere testimoni.

I meccanismi della morte erano semplici per chi, come lui, conosceva le tecniche. Non ebbe perciò difficoltà a diventare un omicida. Nei sei mesi successivi ce ne furono altre. Approssimativamente una ogni cinque settimane. Harteveld pensava che qualcosa lo stesse consumando internamente, portandolo verso la morte. Riusciva a dimenticare tutto soltanto quando si trovava con le donne.

A fine maggio, i cadaveri erano cinque: tutti opera sua.

La graziosa Peace Nbidi Jackson, vent'anni, seconda figlia di Clover Jackson, aveva fatto la sua comparsa alla villa il giovedì sera, proprio mentre, a Eltham, il commissario capo stava rilasciando una dichiarazione alla stampa: così, quando suonò il campanello, Harteveld non sapeva ancora nulla del ritrovamento da parte della polizia di quei cinque corpi mangiati dai vermi scoperti in un'area desolata a East Greenwich.

Posò il bicchiere sulla mensola del caminetto, sfiorò il viso dipinto di Lucilla e si avviò verso la porta.

«Sei arrivata. Che bello!»

Lei rimase sulla soglia. La luce del tramonto conferiva alle sue braccia nude una tonalità ramata. Lui la fissò a lungo, sapendo che sarebbe stato l'ultimo a vederla viva.

«Posso entrare o che?»

«Sì, sì, naturalmente. Scusami.» Arretrò di un passo e lasciò che la ragazza entrasse e girovagasse per casa, gli occhi sgranati di fronte a quegli spazi così ampi da ricordare quelli di una cattedrale. Anche se aveva avvertito la puzza che lo preoccupava, non pareva prestarvi attenzione. «Entra pure, ti porto qualcosa da bere.» La seguì in salotto, accese le luci e aprì il mobile bar. «Vuoi bere qualcosa da qui? O preferisci un po' di vino?»

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