«Non quando c'è di mezzo Mallory. La considera ancora una bambina. Un tempo Mallory abitava qui insieme alla madre.»
«Lo so. Lo sceriffo mi ha riferito tutta la storia. A dire il vero, mi ha raccontato fin troppo sul conto di questa cittadina. Puoi farmi qualsiasi domanda su Dayborn e io saprò rispondere. So perfino che questo è il bar nel quale Babe Laurie celebrò la festa per la sua prima malattia venerea: strane usanze avete, quaggiù.» Si appoggiò all'imbottitura dello schienale. «Niente quiz? Non vuoi giocare? D'accordo, permetti che sia io a farti una domanda. Hai raccontato a Jessop questa tua teoria sulla poliziotta passata dalla parte del crimine?»
«Detective Riker, lei si fida dello sceriffo?»
«Così non glielo hai detto.» C'era un'ombra di disapprovazione nella sua voce. «Perché lo racconti a me? Che cosa vuoi, ragazzina?»
«Un lavoro a New York, per esempio. Io aiuto lei, e lei aiuta me.» Rallenta , disse a se stessa, stai esagerando. Parlò più lentamente, scandendo le parole. «Lei non conosce questa parte del paese, io sì. Io posso aiutarla a trovare Mallory.»
Lui le rivolse un sorriso stanco, come se avesse già vissuto quella scena mille volte. «Vicesceriffo, non credo che New York ti piacerebbe.» Aveva un tono più morbido, adesso. «Qualsiasi pasticcio tu abbia combinato qui, ti consiglio di rimanere e di mettere le cose a posto.»
Lei irrigidì le spalle. Socchiuse le labbra, ma non uscì alcun suono.
Riker scosse il capo. «No, figliola, non leggo nel pensiero» disse. «I novellini come te credono che ogni errore che commettono sia la fine del mondo. Ci siamo passati tutti. Qualsiasi cosa tu…»
«Io ti posso aiutare, Riker.» Era sua, quella voce stridula? «Tu hai bisogno di me.» Non doveva sembrare disperata. Merda! Abbassò la voce. «Ti aiuterò all'insaputa dello sceriffo.»
«Mossa stupida, ragazzina. Se lo sceriffo non può fidarsi di te, perché dovrei farlo io? Perché qualsiasi poliziotto dovrebbe fidarsi di te?»
E ora che le aveva sferrato quella mazzata, si piegò in avanti per il colpo di grazia. «Sei giovane, vicesceriffo. Chiuderò un occhio. Questa conversazione rimarrà fra di noi. Lo sceriffo non saprà mai che hai cercato di fregarlo. Ci siamo capiti?»
Oh sì, Lilith aveva capito.
Aveva appena perso la faccia con il poliziotto di New York senza ottenere niente in cambio. Ma anche Riker non aveva ottenuto nulla, perché avrebbe continuato a ricevere solo informazioni inutili e di seconda mano dai federali che l'avevano comprata con le loro promesse: tutte balle, a dar retta a Mallory.
Lui si stava alzando, raccogliendo sigarette e fiammiferi. «Se incontri Mallory, chiedile dove ha preso la pistola. Dille che testimonierò al processo per la sua evasione. Qualsiasi giudice le concederà qualche attenuante per aver cooperato. È la prassi.» Prese un biglietto da un dollaro dal portafoglio e lo lasciò cadere sul tavolo per la mancia. «Se avrò bisogno di qualche altro favore te lo farò sapere.»
Lilith lo seguì con gli occhi mentre attraversava il locale. Poi la porta si chiuse alle sue spalle e, nonostante la gente, lei si sentì sola in quel posto, umido e buio come una caverna, tra il fumo emesso dai polmoni dei clienti. Inalò quell'aria di seconda mano insieme al puzzo dei corpi e a quello degli avanzi nei piatti. Il juke-box aveva smesso di suonare.
Lilith fissò il bicchiere mezzo vuoto di Riker e lo prese. Annusò il liquido rimasto sul fondo.
Bourbon.
Lo assaggiò.
Bourbon da due soldi.
Quando suo padre l'aveva portata a festeggiare il diploma in un bar di New Orleans, le aveva detto che i poliziotti onesti d'abitudine bevevano alcolici scadenti. Lo sosteneva il suo vecchio amico Tom Jessop.
Lilith scolò il bicchiere.
Ma a darle il voltastomaco non fu il pessimo bourbon di Riker, né l'aria soffocante del bar.
Jimmy Simms attraversò un tratto di terreno fradicio, ma una delle scarpe del padre – decisamente troppo larghe per i suoi piedi – non si mosse insieme a lui, rimanendo bloccata nel fango. Jimmy lasciò cadere il grande sacco della biancheria nell'erba a lato della strada ed eseguì una curiosa danza su un piede solo mentre estraeva la scarpa dalla fanghiglia e se la reinfilava. Si sedette e strinse bene i lacci, come se quell'accorgimento potesse risolvere il problema.
Guardò il sacco, regalo di Darlene Wooley. Se c'era un Dio lassù, ci avrebbe trovato dentro un paio di vecchie scarpe di Ira.
Aveva dato una mano a Darlene a cambiare l'olio della macchina. Dopo, lei lo aveva fatto entrare in casa e gli aveva lavato le mani, come se non lo ritenesse capace di farlo da solo. O forse credeva che fosse un ritardato come Ira.
Non era escluso.
Ma non aveva importanza. Lui aveva chiuso gli occhi a quel contatto, immaginando che fosse sua madre a sfregargli con cura le mani insaponate. Darlene aveva esaminato le chiazze d'olio sui suoi abiti, dispiaciuta perché quelle macchie non sarebbero più venute via. Lo aveva fatto sedere al tavolo della cucina e gli aveva offerto un panino e un bicchiere di latte. Gli aveva raccomandato di berlo tutto, mentre riempiva il sacco di abiti sbiaditi dai troppi lavaggi, dicendo che tanto Ira quei vestiti non li avrebbe più indossati: le sue camicie e le sue calze, infatti, dovevano essere tutte di un rosso brillante mentre i blue-jeans molto scuri.
Darlene gli aveva anche dato un biglietto da cinque dollari nuovo di zecca. Lui aveva usato una parte del denaro per comprare una golosità per Cane Buono: una bella fetta di polpettone di carne, ancora calda nella sua tasca.
Jimmy infilò le mani nel sacco, palpando T-shirt, jeans e calze. Afferrò una scarpa da corsa di pelle bianca e la tirò fuori, esaminandola stupito. Non c'era segno di usura. Non era nemmeno graffiata. Cercò rapidamente la compagna, ma anche quella era in ottimo stato. Quelle scarpe erano praticamente nuove.
Perché mai Darlene Wooley aveva deciso di disfarsene? Si tolse una delle scarpe di suo padre e calzò quella di Ira.
Gli andava a pennello.
Non voleva infangare le scarpe bianche, quindi si rimise la scarpa del padre e, con grande cura, ripose l'altra nel sacco, con il resto del suo tesoro.
Jimmy era inspiegabilmente felice, e piangeva. Non volendo che il cane lo vedesse in quello stato, si asciugò gli occhi mentre procedeva lungo la strada sterrata, zoppicando per la vescica al piede.
Quando arrivò nel cortile di Casa Shelley, trovò vuote sia la ciotola del cibo sia quella dell'acqua. Del cane non c'era traccia.
«Cane Buono!» lo chiamò, tante e tante volte.
Invano.
Il cane non si allontanava mai dalla casa, mai. Kathy era fuggita dalla prigione. Forse Cane Buono era andato via con lei per un po'.
Lasciò il suo regalo nella ciotola del cibo, dispiacendosi all'idea che il vecchio labrador nero lo avrebbe mangiato freddo. Forse non avrebbe mai saputo chi gli avesse portato quel polpettone.
A un tratto Jimmy si chiese che cosa stesse accadendo al cimitero. Voci agitate, preghiere e alleluia giungevano fino a lui attraverso gli alberi.
Alcuni dei partecipanti al tour guidato stavano ancora fotografando la statua. Betty aveva abbandonato la scena, superando di corsa Charles ed Henry senza neanche notarli.
Henry spiegò: « Dev'essere lei la prima a raccontare la storia del miracolo. Ne va della sua reputazione di pettegola. »
Charles si guardò in giro. Altra gente stava arrivando, alcuni con il rosario tra le mani. «Malcolm andrà su tutte le furie: un miracolo per il quale non bisogna pagare il biglietto!»
Henry gli allungò della carne fredda estraendola da un cestino da picnic. Charles la addentò e si sentì rinascere. Squisita. «È uno dei tuoi polli?»
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