Carol O'Connell - Il Volo Dell'angelo Di Pietra

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"Le parole della O'Connell sono lucide e affilate come un bisturi." (Carlo Lucarelli)
A volte la violenza esplode quando e dove meno te l'aspetti. Come a Dayborn, graziosa cittadina sprofondata nella calda, languida atmosfera della Louisiana. E' lа che, diciassette anni fa, la dottoressa Cass Shelley и morta sotto i colpi di una folla inferocita, lapidata senza pietа per una colpa immaginaria. Da allora, tutti a Dayborn hanno fatto del loro meglio per dimenticare. Tutti tranne Tom Jessop, lo sceriffo che da quasi vent'anni si interroga sul destino della piccola Kathy Shelley, scomparsa subito dopo l'omicidio della madre. Quella bambina oggi и una donna, a tutti nota con il nome di Kathy Mallory, detective della Crimini Speciali di New York. Messo da parte il distintivo e la sua nuova vita, Kathy torna a Dayborn decisa a ottenere non semplice giustizia, ma 'vendetta'. Per stanare gli assassini di sua madre deve affrontare un'indagine intricata e rischiosa, ai margini della legalitа. Solo quando la veritа verrа a galla in tutto il suo orrore, Cass Shelley potrа riposare in pace nella tomba vegliata dall'angelo di pietra.
"Una O'Connell in splendida forma per un thriller da non perdere." (Booklist)
"Ancora una volta Carol O'Connell avvince il lettore fino all'ultima pagina." (Publishers Weekly)
"Brava da morire." (Richard North Patterson)

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Dondolando, Ira rovesciò la testa e guardò le nuvole. «Kathy.»

«Sì, Ira?»

«Kathy» fu tutto quel che disse, ed era già tanto, perché lo disse con amore.

10

Non c'erano tende alle finestre, eppure Charles si chiese se non l'avessero informato male. La casa di Cass Shelley avrebbe dovuto essere vuota, ma la presenza del cane gli fece sospettare il contrario.

Il labrador nero era arrivato dal retro della casa, zoppicando. Qualcuno dei denti anteriori era rotto, qualche altro mancava. Sul suo muso ingrigito, Charles lesse una gran delusione: quella povera bestia stava forse aspettando qualcun altro?

L'animale abbassò la testa e ritornò zoppicante da dove era venuto, scomparendo tra i cespugli in fondo al cortile.

Henry Roth non era ancora arrivato. Charles diede un'occhiata all'orologio. Mancava un quarto d'ora all'appuntamento.

Fece qualche passo indietro per ammirare gli elaborati intagli del portico della vecchia casa vittoriana. I bovindo delle due torrette laterali esibivano preziosi vetri bombati. Augusta non aveva badato a spese per la manutenzione della casa.

Charles salì la breve rampa fino all'ingresso e provò a girare la maniglia: la porta non era chiusa a chiave. Henry Roth doveva essere arrivato prima e averla lasciata aperta per lui. Entrò nell'atrio.

«Signor Roth? È qui?»

Nulla.

Una serie di porte immetteva probabilmente in un ampio salotto. Se ricordava bene l'architettura del periodo, all'altro capo dell'atrio avrebbe dovuto trovarsi la piccola scala per la servitù, quella che dalla cucina conduceva al solaio, Aprì l'ultima porta del vestibolo e cominciò a salire.

Giunto all'ultimo piano, vide la porta della soffitta aperta su un vano buio. Appena i suoi occhi si furono adattati all'oscurità, si rese conto che quasi tutti gli abbaini erano bloccati da bauli e mobili. C'era polvere ovunque, e voltandosi Charles si accorse di aver lasciato le impronte dei propri passi sul pavimento di legno scuro. Nulla era stato toccato da molto tempo. Contro una parete erano impilate scatole di plastica trasparente, ognuna contrassegnata da un'etichetta accuratamente compilata. In fondo era appoggiata una borsa da dottore.

Charles tolse la polvere da una scatola etichettata «Corrispondenza di lavoro», e attraverso la plastica vide un pacchetto di lettere. Aprì la scatola e avvicinò le buste alla luce che entrava dall'unica finestra libera. Erano indirizzate a Cass Shelley, medico condotto e ufficiale sanitario del distretto.

Un'altra scatola recava la scritta «Diari». Venti minuti dopo Charles era immerso nella lettura di alcune pagine dedicate al piccolo Ira Wooley. Nel tracciare la sua storia medica, Cass Shelley si esprimeva in termini quasi poetici, pieni d'ammirazione per il talento di quel bambino, suo paziente fin dalla nascita.

L'agenda della dottoressa Shelley era custodita in una busta di plastica recante il cartellino di prova giudiziaria dell'ufficio dello sceriffo. All'interno trovò una copia carbone sbiadita della ricevuta firmata dall'esecutrice testamentaria, Augusta Trebec. Aprì la pagina con gli ultimi appuntamenti, risalenti a diciassette anni prima, e trovò il nome di Ira. Il bambino, di sei anni, era atteso per una lezione di piano e non per una visita medica. Così, era stata Cass Shelley a insegnargli a suonare. La data era la stessa del suo ultimo giorno di vita.

E se Ira avesse assistito alla sua morte?

Questo avrebbe spiegato il blocco dei suoi progressi, la sua chiusura, le carenze espressive.

Charles aveva in mano la ricevuta dello sceriffo: anche Jessop doveva aver avuto lo stesso pensiero. Aveva interrogato il ragazzo? Poteva aver causato altri danni con quell'interrogatorio?

Era tanto preso dai suoi pensieri, che non sentì i passi finché non gli furono quasi addosso. Stava per voltarsi a salutare Henry Roth, ma si trovò a fissare una canna metallica nero-azzurra a pochi centimetri dal viso. Rimase immobile, respirando appena.

L'arma tornò nella fondina. «Buongiorno, signor Butler.»

«Ho una lettera di autorizzazione di Augusta Trebec.» Charles accennò alla tasca interna della giacca.

«Non ce n'è bisogno. Mi dispiace averla spaventata.»

Lo sceriffo sembrava sollevato. Stava per concedersi un sorriso, quando lo sguardo gli cadde sull'agenda che Charles aveva in mano.

«Stavo aspettando Henry Roth» disse Charles. «Dovevamo incontrarci qui.»

«Forse Henry è in cortile, a dar da mangiare al cane. Lo fa tutti i giorni.» Lo sceriffo fissava la fila di scatole.

Charles si alzò, pulendosi i calzoni con la mano libera. «Mi aveva preso per un ladro?»

«La luce qui è pessima. Ho visto solo un'ombra.» Lo sceriffo indicò l'agenda che Charles aveva in mano. «Ha trovato qualcosa di interessante?»

«So che Ira aveva un appuntamento per una lezione di piano il giorno in cui Cass Shelley è morta. Penso che la lezione facesse parte della terapia comportamentale di Ira.»

«Non c'è bisogno che lei dica a nessun altro della lezione.»

«Sua madre lo sa?»

«Non ne ho mai parlato con Darlene. Lo dissi al marito che allora era ancora vivo. Mi raccontò di aver annullato la lezione. Aveva litigato con Cass, stava pensando di cambiare medico.»

«Dall'agenda di Cass Shelley non risulta alcuna cancellazione. Così lei non ha mai chiesto a Darlene se…»

«Non credo ci sia bisogno di parlarne a Darlene» disse lo sceriffo, come se stesse spiegando qualcosa a un bambino per la decima volta, e ne fosse seccato.

«Perché tanta segretezza? La madre ha diritto di sapere. Se il bambino era qui quando…»

«Va bene! Forse il bambino era qui.» Lo sceriffo alzò la voce. «E allora?» Serrò le labbra e riprese, in tono più sommesso: «Signor Butler, lei ha conosciuto Darlene. Una scoperta del genere la sconvolgerebbe soprattutto a distanza di anni. Tornerebbe nel mio ufficio a urlare, e allora lo saprebbero tutti».

«Se Ira ha visto morire il suo medico, si spiegano molti dei suoi problemi.»

«I suoi problemi aumenterebbero se lei lo dicesse a Darlene. Nessuno a Dayborn farebbe del male a Ira: la maggior parte del paese lo conosce da quando era piccolo. Ma c'è tutta quella gentaglia di Owltown. Stupidi ignoranti, potrebbero mettersi in testa che Ira è pericoloso.»

«Sì, ma Ira era un bambino piccolo quando…»

«Ammettiamo che sia stato testimone di un delitto a tutt'oggi irrisolto. E se uno degli assassini se la prende con lui? Si ricordi che Cass fu lapidata a morte da una folla inferocita.»

«Capisco.» Charles impallidì alla possibilità, per quanto remota, che qualcuno potesse far del male a Ira. «Augusta mi ha detto che lei non ha mai scoperto il movente del delitto.»

«Non fu un delitto passionale.» Lo sceriffo prese una scatola e fissò l'etichetta. «Fu un assassinio organizzato, silenzioso, simile a un'esecuzione.»

Ma com'era possibile? «Un branco di persone che uccide a sangue freddo?»

Jessop piegò il capo da una parte e guardò Charles come se fosse un po' ritardato. «Già.» Gli voltò le spalle e si dedicò alla lettura delle etichette delle scatole.

Charles tornò a sfogliare l'agenda. Trovò un altro nome conosciuto. «Babe Laurie era uno dei pazienti di Cass?»

Lo sceriffo ora sembrava quasi annoiato. «Già, ma Cass dovette andarlo a prendere per strada e trascinarlo qui a forza per curarlo.» Jessop si accostò a Charles e diede un'occhiata alla pagina. Poi si sedette su una poltrona, sollevando una nuvola di polvere. All'improvviso, appariva molto stanco.

«Fu quando lei scoprì che Babe aveva la sifilide. Le ho già detto della festa per il "battesimo dello scolo". Babe aveva appena diciannove anni, e credo che non avesse la minima idea di cosa fosse una malattia venerea. Era un povero bastardello ignorante, non era mai andato a scuola, neppure per un giorno. Ricordo che una volta, quando aveva forse quindici anni, Cass lo portò qui per suturargli una ferita alla testa che si era procurato facendo a botte. Nessuno in quell'inutile famiglia aveva pensato di chiamare un medico.»

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