La testa della ragazza ciondolò da un lato. Gli occhi le si chiudevano. «Dico a tutti la stessa cosa. "Fa freddo, signore. Mi aiuti, ho bisogno di riscaldarmi e di mangiare qualcosa." A volte si limitano a darmi dei soldi. Una volta un tizio tentò di fermare una macchina della polizia. Non sempre Palanski individua la preda giusta. Ma rimarrebbe sorpresa se sapesse quanti uomini sono disposti a scaldarmi un po'.»
«Il giorno dopo Palanski si presenta alla porta del cliente, giusto? Gli fa vedere una fotografia segnaletica e la tua data di nascita. Quanti anni hai?»
«Tredici.»
«E i clienti pagano, e pagano bene, pur di non essere denunciati.»
I portafogli volavano fuori dalle tasche, i soldi si rovesciavano nella mano tesa di Palanski, lui si toccava il cappello e usciva sorridendo.
«Dove mi sta portando?» Gli occhi della ragazzina erano aperti e guardavano dal finestrino un paesaggio che non era più quello di Manhattan.
«In un posto sicuro. Un mio amico ti ha organizzato una vacanza di qualche giorno in campagna. Avrò bisogno di qualche giorno.»
«Non posso stare tre giorni senza…»
«Lo so.» Mallory frugò nella tasca interna della giacca e tirò fuori le tre bustine di polvere bianca recuperate dalle acque della fontana. Le mostrò alla ragazza e le rinfilò in tasca.
Quando fermò la macchina subito dopo la rotonda, Mallory aveva appreso che la ragazza si chiamava Fay, e che Fay non poteva più tornare a casa sua. Se l'avesse fatto, quell'ubriacona di sua madre l'avrebbe picchiata a morte. O magari il suo nuovo compagno avrebbe cercato di allungare le mani…
Scesero davanti al vecchio edificio grande ed elegante con la facciata bianca in stile georgiano. Vicino a un cartello di legno era parcheggiata la macchina di Edward Slope.
«Laboratorio di ricerca Mayfair? Che razza di posto è?»
Mallory tacque finché lei e la ragazza si ritrovarono in un ingresso che ricordava la hall di un hotel alla moda. Quando la ragazza vide il primo assistente in camice bianco, tentò di scappare. Mallory la teneva per un braccio. La consegnò all'uomo, che prese a trascinarla verso il corridoio, mentre lei gridava all'indirizzo di Mallory: «Hai detto che non mi avresti messa dentro. L'avevi giurato, l'avevi giurato!».
Si liberò dalla stretta dell'assistente e tornò di corsa da Mallory. «Abbiamo fatto un patto. L'avevi giurato.»
Piangeva, il trucco le colava sul viso e lo rendeva simile a una maschera di Halloween. Era ritornata una bambina. Circondò la vita di Mallory con le braccia.
Il dottor Slope stava fissando Mallory. «Ti avevo detto di prepararla. Non mi ascolti mai. Non ascolti me né nessun altro.»
Si accucciò sui talloni e girò con delicatezza il volto della bambina verso il suo. «Voglio che tu segua quest'uomo. Stai già male, vero? Sì, lo vedo. Ti darà qualcosa per farti stare meglio. Non starai più male. Ti do la mia parola.»
La bambina allentò la stretta su Mallory, ma lo sguardo era quello di un animale ferito. Un patto era stato infranto. Niente avrebbe potuto cambiare la situazione, lo sapevano entrambe.
Quando la bambina fu inghiottita dal corridoio insieme all'assistente, Slope tornò a rivolgersi a Mallory. «C'è un limite all'influenza che posso esercitare in questo posto. Potrà restare per i tre giorni della disintossicazione. E poi?»
«Ho bisogno di tenerla lontana dalla strada per un paio di giorni. E ho bisogno di una foto della bambina. Pensi di potergliene fare una?»
«Certo. Ma cosa farà alla fine dei tre giorni?»
«Non lo so. Ho già abbastanza problemi.»
«Kathy, a volte penso che tu sia sul punto di diventare un vero essere umano, ma poi… L'hai portata fin qua, va bene. Ma dopo la disintossicazione… dopo? Non puoi disfarti di una bambina come se fosse un sacco di patate.»
«Chi cucina per tutti a casa tua è Doris; è compito suo, vero?»
«Come?»
Mallory si mise le mani sui fianchi. Il suo tono era tagliente, un avvertimento. «Se avessi provato a preparare da mangiare, sapresti che fare in modo che tutti i piatti siano pronti contemporaneamente è un'arte. Be', io sto cucinando. Ho sei piatti che cuociono con tempi diversi, e devono essere tutti pronti nello stesso momento.» Una lunga unghia si piantò sul petto del dottore. «Vai a fare il tuo maledetto lavoro. Non starmi addosso!» Il cuoco con la pistola attraversò l'ingresso e uscì sbattendo la porta.
Quel giorno Mallory aveva un solo messaggio da recapitare via computer a ciascuno dei sospetti: HO UN TESTIMONE.
E non stava neppure mentendo, ammesso che un gatto potesse essere considerato tale.
Sebbene il corridoio fosse ampio, Pansy Heart teneva il corpo premuto contro la parete mentre il marito le camminava accanto. Il giudice aveva la faccia rossa, lo sguardo duro, e camminava con passo pesante, colpendo il muro con il pugno a pochi centimetri da lei. Nella stanza da cui era uscito, lo schermo del computer era vuoto. Chissà cosa diceva questa volta il messaggio.
Una porta sbatté all'altro capo del corridoio. Pansy saltò come se avesse appoggiato un piede su un filo scoperto. Afferrò il bordo del tavolo nel corridoio, sentendosi vuota e leggera. Il cuore bussava contro il muro del suo petto.
Pensò all'ultimo giorno di vita della suocera, al momento in cui i suoi organi, uno per uno, si erano visti sottrarre la vita. In quegli occhi di vecchia aveva letto la consapevolezza della morte imminente. Fino a pochi minuti prima, il terrore aveva regnato in quel volto solcato da rughe profonde. Poi le rughe si erano spianate, e nei suoi occhi era entrata non la pace, ma il trionfo. Sua suocera era morta, fuggita.
Angel Kipling misurava il tappeto a grandi passi, avanti e indietro, apostrofando suo marito Harry. «Non dirmi che non ne sai niente.»
Teneva in mano la stampata del computer. Lungo il foglio era ripetuta centinaia di volte un'unica frase. «Testimone di cosa? Cos'hai fatto?» Il tono acuto della sua voce minacciava di trasformarsi in urlo.
Harry Kipling si stava abbottonando la camicia davanti allo specchio. Cercò nello specchio il riflesso di sua moglie. «Non è indirizzato a me, vero?»
Si girò a guardarla. Lei appoggiò le mani sugli ampi fianchi, e la vestaglia si aprì mettendo in mostra i seni flosci e pesanti contro il corpo robusto.
Harry distolse in fretta lo sguardo. Angel sussultò come se fosse stata schiaffeggiata.
Harry raggiunse il portacravatte e Angel rimase sola a fissare lo specchio.
Non si era ancora truccata e i capelli erano un groviglio selvaggio.
Chiuse con gesto rabbioso la vestaglia e si rivolse al marito, questa volta a voce più bassa. «Non sarà un'altra truffa con la carta di credito, vero, Harry? Cos'è, il tuo assegno mensile non ti basta più?»
Le era costato una fortuna rimediare al suo ultimo exploit in fatto di operazioni bancarie, diciamo così, creative.
Le alternative erano pagare, oppure affrontare lo scandalo e gli azionisti.
Non poteva credere che Harry riuscisse a spendere tutto quello che rastrellava. Stava accumulando capitali per abbandonarla? No, non l'avrebbe mai lasciata. Non si sarebbe mai allontanato da quella fonte di ricchezza illimitata che lei rappresentava ai suoi occhi.
«Rispondimi, idiota. Vuoi che ti tagli i viveri un'altra volta?»
«Angel, non ho idea di cosa stia succedendo. Probabilmente è una beffa. Uno scherzo di qualche bambino.»
«È un'altra truffa bancaria, vero? Credevo di essere stata chiara quando ti ho detto che cosa sarebbe successo se ci avessi provato di nuovo. Non ti piacerà tornare a essere povero, Harry.»
«Non ho fatto niente.»
Estrasse un foglio accartocciato dalla tasca della vestaglia e glielo lanciò.
«Questo è arrivato ieri, per fax. È una domanda per una nuova carta di credito, a nome tuo.»
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