Se non per amore.
Mallory fece per prendere qualcosa dalla borsa di tela, poi ci ripensò. Si girò verso di lui. «Vorrei riavere Amanda Bosch viva, per cinque minuti soltanto.»
«La donna del parco, suppongo.»
«Sì, penso di avere individuato un possibile movente» disse, chinandosi di nuovo per frugare nella borsa. Ne estrasse un dattiloscritto e si sedette alla scrivania, scorrendo rapidamente le pagine e infine estraendo un gruppo di fogli tenuti insieme da una graffetta.
«L'ho trovato nel computer della Bosch. A giudicare dall'ora in cui è stato caricato, questo è l'ultimo file che ha aggiornato. Ha lavorato su questo libro per quasi un anno. È un romanzo, ma non credo che sia tutta finzione.»
«L'arte è fatta di bugie che dicono la verità. Chi l'ha detto?»
«Sei tu quello con la banca dati nel cervello.» Gli porse il romanzo.
«Memoria eidetica, e non funziona come un computer. Io non posso richiamare i dati come fai tu con le tue macchine.»
«Ecco, apri a pagina 254, settimo capitolo. Vai all'ultimo paragrafo. Ricorda, l'ha aggiornato il giorno in cui è morta.»
Charles guardò la pagina e lesse: "Stava andando via ancora una volta, recitando la litania di tutte le cose che aveva da fare, tutto più… BUGIARDO, BUGIARDO, BUGIARDO, BUGIARDO".
«Capisco quello che intendi» disse Charles. «La parola "bugiardo", ripetuta quattro volte, non è una parte del testo. Sembra più il frutto di un impeto emotivo, uno sfogo sbocciato davanti alla tastiera.»
«Esatto. L'ho notato mentre stavo stampando il file. Ho dato una scorsa al dattilo per controllare eventuali danni al file. Sono quasi settecento pagine. Sono abbastanza sicura che il mio assassino sia lì dentro, descritto nei dettagli. Sei l'unico essere umano di mia conoscenza capace di leggere alla velocità della luce. Io non ho tempo. Potresti dargli un'occhiata e segnalare le parti che ti sembrano reali?»
«Certo.» Charles prese a girare le pagine l'una dopo l'altra. Si sarebbe detto che le stesse semplicemente scorrendo, invece stava leggendo ogni parola e scoprì che Mallory aveva mentito. Aveva notato i suoi occhi rossi, e adesso ne capiva la ragione osservando i segni lasciati da pollice e indice alla base di ogni pagina che lei aveva letto prima di lui. Dopo pochi minuti di lettura rapida sollevò lo sguardo su di lei.
«Quale bugia può averle raccontato? Fin dall'inizio lo descrive come un uomo sposato…»
«Non troveremo la risposta a questa domanda nel romanzo. Almeno non credo. Secondo me l'ha colto in fallo recentemente, qualche giorno, forse qualche settimana prima di morire.»
«Una possibilità interessante. Credi che tradisse la donna con la quale stava tradendo sua moglie?»
«Anche se fosse, non è questo il punto. Secondo me, Amanda ha usato l'assassino unicamente per rimanere incinta. Ma poi ha abortito. Una bugia come movente per un delitto è un'ipotesi difficilmente dimostrabile, me ne rendo conto, ma è tutto quello che ho. Amanda Bosch era una ricercatrice professionista. Potrebbe aver fatto qualche indagine sul conto del padre del bambino che desiderava più di ogni altra cosa. Così ha scoperto che il nostro uomo le aveva mentito…»
«Questo non restringe granché il campo. Esistono tante categorie di bugie quante sono le persone.»
«È un peccato che il tuo vecchio amico Malakhai non possa ricostruire Amanda e chiederle quale fosse la bugia. Se non chiudo il caso rapidamente, l'assassino la farà franca. Quando finisci di leggere il romanzo, lascialo nel mio ufficio.»
«D'accordo, ma se fossi in te non mi farei troppe illusioni circa la sua utilità. Non credo che uno scrittore si basi sulla vita più di quanto faccia un attore quando interpreta un ruolo. L'attore non mette in scena la sua vita e, immagino, perfino quando scrive un'autobiografia uno scrittore non racconta la sua vita.»
«E tutti quei "BUGIARDO"? Contro chi stava inveendo Amanda se non contro un personaggio del libro?»
«D'accordo, lo leggerò tenendo presente la tua ipotesi.»
«Domani sera giochi a poker?»
«Naturale.» La serata di poker era il piatto forte della settimana di Charles. Aveva ereditato il posto dall'ispettore Louis Markowitz, e con il posto tre amici. Ogni nuovo amico era qualcosa di prezioso per lui, dopo anni trascorsi nell'isolamento dell'accademia e dell'Istituto. «Se non mi presentassi mi toccherebbe spedire un assegno in bianco. Gli amici contano sul fatto che io perda sempre. La mia assenza comporterebbe un discreto danno finanziario per gli altri giocatori.»
«Charles, un giorno mi siedo vicino a te e ti insegno come battere quei ragazzi a poker.»
Mallory stava spuntando delle voci dalla lista di cose da fare che aveva scritto su un taccuino. Il programma per il resto della giornata era ancora molto fitto. Charles si girò verso la finestra e guardò la strada, due piani più sotto. «Il rabbino Kaplan sostiene che il fatto che io perda sempre depone a mio favore.»
«Ti ha spiegato perché?»
«Giammai. Kaplan il Criptico rischierebbe di rovinarsi la reputazione. Temo che si aspetti che ci arrivi da solo.» Lo sguardo sulla strada seguiva l'avvicinarsi di una figura familiare avvolta in un cappotto informe. Si voltò verso di lei. «Tu cosa ne pensi?»
«È chiaro. Il rabbino intendeva lodare la tua onestà, Charles. Il poker è un gioco per bugiardi. Domani sera Slope e Duffy ti consegneranno del materiale per me.» E spuntò un'altra voce dal suo elenco, che doveva riguardare proprio Charles. «Ho dato a tutti e due una lista della spesa, cose che voglio ottenere senza passare attraverso Coffey o Riker.»
«Sai, Mallory, nella polizia ci sono altri agenti oltre a te. Tendono a considerarsi membri di una squadra.»
«Sì, Riker ha la stessa idea.» C'era un che di tagliente nella sua voce, più impazienza che rabbia. «Crede di essere il mio allenatore.»
Qui Charles avrebbe voluto dire qualcosa in difesa di Riker, poiché aveva grande stima dell'uomo, ma sapeva per esperienza che era molto pericoloso darle motivo di sospettare di non essere al cento per cento dalla sua parte. Con Mallory la cautela non era mai troppa. «Perché non vieni alla partita con me? Il rabbino Kaplan dice che alle carte sei uno squalo nato.»
«Non posso. Quando avevo tredici anni Kaplan e gli altri mi hanno bandita dalle loro partite.»
Una chiave stava girando nella serratura, e quando la porta si aprì, il tubo dell'aspirapolvere precedette la piccola testa scura della signora Ortega.
Questo impedì a Charles di approfondire la questione.
La signora Ortega si irrigidì sulla soglia e squadrò il gatto, probabilmente progettando di scuoiarlo per farsene una borsa. Il gatto si sfregò contro i jeans di Mallory, e la signora Ortega guardò la giovane donna con meraviglia.
Mallory allungò alla donna un biglietto da venti dollari, sottintendendo con quel gesto di sapere che i peli del gatto avrebbero significato una bella seccatura. La signora Ortega intascò il denaro e lanciò al felino uno sguardo più benevolo.
Suonò il campanello, acuto e irritante. Mallory alzò la mano per bloccare Charles che si avviava alla porta.
«Chi è?» gli chiese.
«Riker» disse lui, senza neppure il consueto millesimo di secondo di esitazione.
Aprì la porta, nel cui vano comparve Riker in tutta la gloria del suo aspetto trasandato. Mallory contrasse la mascella. Charles si accorse che non l'aveva bevuta. In nessun modo lui avrebbe potuto sapere chi c'era dall'altra parte della porta. Anche Mallory riusciva a riconoscere il suono discreto dei passi di Henrietta Ramsharan del terzo piano, e quello sincopato del musicista del primo. Ma Riker non aveva stile, in nessun senso della parola, in nessun aspetto dell'esistenza.
«Salve, Charles» disse Riker. Fece un cenno del capo a Mallory e un inchino esagerato alla signora Ortega, che con una smorfia andò nell'altra stanza mormorando qualcosa che avrebbe potuto essere "Dannati sbirri".
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