Carol O'Connell - Amanda È Morta Nel Parco

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Il cadavere di una donna dalle mani spappolate viene ritrovato al Central Park di Manhattan. In assenza di impronte e di documenti il detective Palanski identifica la vittima in base al nome sull'etichetta della giacca: è Cathy Mallory, geniale e irriducibile cane sciolto della sezione Crimini Speciali della Polizia di New York, recentemente sospesa dal servizio per motivi disciplinari. Quando il notiziario di mezzogiorno la informa della propria morte, Mallory si getta nelle indagini con foga. E scopre che la vittima è in realtà Amanda Bosh, venticinquenne da tempo coinvolta nella relazione con un facoltoso uomo sposato. Per stanare l'assassino Mallory è pronta a tutto, persino a trasformarsi in un vera e propria esca umana.

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Mallory aprì la porta e fece irruzione nell'ufficio del suo socio con la pistola in pugno mentre una voce maschile diceva: «Justin, non farlo!».

L'unica donna nella stanza respirava in fretta, come se stesse facendo un esercizio di iperventilazione. Aveva gli occhi fuori dalle orbite e le scapole quasi al livello delle orecchie. Era pallida in viso e tremava violentemente, salvo le mani, aggrappate ai braccioli della poltrona come quelle del pilota di una navetta spaziale pronta al lancio.

L'uomo ululava: «Per l'amor di Dio, Sally, torna in te. È solo una maledetta matita!».

«Sembra che tu le piaccia, Sally» disse il ragazzo che sedeva nel mezzo. «Perché non le dai un nome e non la porti con te a passeggio nel parco?»

«Ora basta!» disse l'uomo al ragazzo.

Mallory guardò la matita che giaceva in grembo alla donna senza riuscire a notare niente di sinistro. Ma la donna la fissava come se fosse un serpente a sonagli.

Mallory si girò. Aveva avvertito una lieve vibrazione alle sue spalle, e in quel momento vide il vaso dondolare precariamente sul bordo della libreria. Il vaso cadde. Mallory riuscì ad agguantarlo a pochi centimetri dal pavimento.

L'uomo riprese a sbraitare contro il ragazzo. «Justin, ti ho detto di piantarla!»

Il ragazzo si girò per guardare da sopra la spalla il vaso nella mano di Mallory e la pistola che rientrava nella fondina. La donna che aveva paura delle matite si stava coprendo la bocca con la mano. Solo Charles non pareva agitato. Guardava la scena con aria tranquilla.

«Non sono stato io» disse il ragazzo.

«Non ha fatto cadere lui il vaso» confermò Charles. «Sotto questo edificio passano treni della metropolitana in continuazione. A volte le vibrazioni fanno muovere gli oggetti. E quel vaso si trovava molto vicino al bordo.»

Mallory era in piedi alle spalle della famigliola e fissava il socio con manifesta incredulità. Le mani giunte dietro la nuca, Charles sedeva comodamente nella sua poltrona e le sorrideva come se settemila dollari di terraglia del V secolo non fossero stati sul punto di andare in frantumi.

«Non sono stati i treni a far volare la matita» disse l'uomo in un tono piatto che sottintendeva la scarsa intelligenza di Charles.

«Signor Riccalo, posso presentarvi la mia socia, Mallory?»

Mallory avanzò fino alla scrivania e si voltò verso la famigliola. Mentre Charles procedeva con le presentazioni, lei si mise a esaminare per primo il ragazzo.

I capelli biondi di Justin Riccalo erano impomatati e pettinati all'indietro, e le labbra dischiuse mostravano due incisivi superiori sporgenti. L'effetto complessivo era quello di un coniglio bagnato con le efelidi. All'apparenza si sarebbe detto un undicenne. Uno scolaro non troppo dotato, con un astuccio di plastica nel taschino della maglietta, dentro il quale erano allineate penne e matite. Batteva i piedi sul pavimento, evidentemente ansioso di andarsene. Gli occhi blu elettrico danzavano a un ritmo frenetico, scandito da una serie di impliciti "Là cosa c'è, qua cosa c'è, sul soffitto cosa potrebbe esserci?".

Sally Riccalo, la bruna emotiva, fu presentata come la matrigna di Justin. Mallory era quasi in grado di udire la tensione ronzare attorno al corpo sottile della donna, come se fosse collegato a una presa elettrica. La signora Riccalo adesso era appollaiata sul bordo della poltrona, gli occhi castani spalancati supplicavano "non fatemi del male" a tutti quelli che incrociavano il suo sguardo.

Il padre, Robert Riccalo, era un pezzo d'uomo. Un ex militare, come era evidente dai capelli quasi rasati e dalle spalle quadrate. Stava sull'attenti anche da seduto.

Quando il ragazzo guardava in viso la matrigna, il collo gli si allungava e dagli occhi trapelava un'ironia tinta di cattiveria. Le labbra erano percorse da un tremito nervoso. Il padre mise una mano sulla spalla esile del ragazzo. Quando Justin guardava suo padre, la testa sembrava ritrarsi all'indietro come quella di una tartaruga. E gli occhi azzurri danzavano sui ritmi alternati del divertimento e della paura.

Il ragazzo alzò il viso verso Mallory, dando inizio a una muta cospirazione di sguardi. "Ti conosco", diceva ciascuna delle due facce all'altra, sebbene lei e il ragazzo non si fossero mai incontrati. Gli occhi di Charles passavano dall'uno all'altra, chiedendo "Un momento, mi sono perso qualcosa?".

Fu fissato un altro appuntamento per il giorno seguente, e la famigliola si avviò alla porta in fila, il padre in testa. Quando la porta esterna dell'ufficio si chiuse alle loro spalle, Mallory si girò verso Charles con il vaso in mano.

«A proposito di quei treni…»

«Non è l'originale. È una copia. Sono stati davvero i treni. Ho sistemato io il vaso in modo che cadesse.»

Andò alla libreria e raccolse un fiammifero da cucina. «Con questo fiammifero. L'ho sistemato in modo che aumentasse la suscettibilità del vaso alla naturale forza di gravità. La minima vibrazione lo avrebbe fatto cadere. Mi chiedevo come l'avrebbe presa il ragazzo.»

«E allora?»

«La reazione di Justin dimostra che ha dei buoni riflessi. Ma ha negato ogni responsabilità a proposito della matita e del vaso. È strano. Insiste col dire che lui non sta facendo niente. Non è coerente con il profilo del soggetto psicocinetico medio.»

«Quindi?»

«Be', la cosa rende tutto più interessante. Forse non è lui a far muovere gli oggetti. In ogni caso non sembrava spaventato. Come se fosse abituato a vedere oggetti volare per casa, e ne fosse quasi annoiato.»

«Bene. Prova a cavarne fuori qualcosa prima che anche la moglie numero tre ci rimanga secca, d'accordo?» Mallory andò alla scrivania dell'altra stanza e si chinò sulla borsa di tela.

Il gatto fece capolino da dietro la scrivania, i baffi tesi, saggiando l'aria per controllare la presenza di urla e altri rumori fastidiosi. Rassicurato, uscì dal suo nascondiglio e alzò lo sguardo verso Charles, inclinando la testa da un lato come se l'orecchio bendato portasse tutto il peso da quella parte.

«Ciao» disse Charles, chinandosi per coccolarlo. Il gatto gli sgusciò tra le mani. Aveva occhi solo per Mallory. Si sfregò contro la sua gamba, e lei lo spinse via.

«Il gatto è un testimone oculare. Ridi e ti sparo.»

«Cosa si è fatto all'orecchio?»

«Non sono stata io. Puoi tenerlo per una notte? Oggi faccio cambio di appartamento con i Rosen. Non posso riportarlo a casa mia.»

«Naturale.»

Mallory estrasse dalla borsa di tela la lettiera del gatto e due scatolette di cibo. «Si chiama Nose. Ti chiedo solo di tenerlo fuori dal mio ufficio. Non voglio peli sui miei computer.»

«Lo porterò a casa mia.»

«Grazie. Allora, a parte gli oggetti volanti, com'è andato il colloquio? Chi di loro è il responsabile, se non è il ragazzo?»

«Non lo so.»

Mallory estrasse una cartellina dalla borsa.

«La prima signora Riccalo è morta per un attacco di cuore. Adesso che ho visto il marito, capisco che doveva essere vittima di un forte stress. Ecco l'incartamento dell'ospedale.»

Glielo porse e lui esitò come cercando di decidere quanto sporco potesse essere.

«L'hai rubato, vero?»

«Vero» disse lei. «Ma questo no.»

Il secondo incartamento che gli porse aveva sulla copertina il timbro del Dipartimento di Polizia di New York. Charles scorse il rapporto dettagliato sul suicidio della seconda moglie di Robert Riccalo. Era lungo tre pagine. «Per la polizia si è trattato di suicidio, nessun riferimento a circostanze sospette o…»

«Io non sono affatto sicura che si sia suicidata.»

«Perché?»

«Quando si analizzano i dati relativi ai suicidi, si scopre che a saltare dalla finestra sono in maggioranza uomini. Le donne che scelgono di togliersi la vita di solito preferiscono sistemi più… puliti. Non ha lasciato alcun biglietto. Generalmente alle donne piace fare le cose per bene con i loro cari, prima di andarsene.»

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