«Non si dice puttana, cara» l'aveva rimproverata allora Helen, comparendo alle spalle della bambina per infilarle le piccole braccia nelle maniche di un cappotto nuovo di zecca. Mentre seguivano la cameriera per il lungo corridoio, Kathy aveva udito la madre di Helen prorompere in un fragoroso scoppio di risa. Aveva tentato di girarsi e di tornare indietro con l'intenzione di picchiare la vecchia sino a ridurla in poltiglia, ma Helen glielo aveva impedito.
A quattordici anni di distanza, Mallory era tornata. Helen era morta da quattro anni, ma i suoi occhi parevano fissare Mallory dal viso devastato di Alice.
«Credevo che fossi morta» disse Alice.
«Be', non lo sono» disse Mallory.
Delusa, zietta?
«Eppure l'ho sentito al notiziario della sera» disse, come se avesse colto Mallory in fallo. «Be', non fa niente. È un po' tardi per una visita, non trovi?»
«Sì, è passato un po' di tempo» ammise Mallory. «L'ultima volta ti ho vista al funerale di Markowitz.»
«Ho pensato che Helen avrebbe desiderato un membro della famiglia al suo funerale» disse Alice.
Mallory annuì.
«Non sei cambiata granché da quando eri una bambina, ma del resto non sei mai sembrata una bambina. Avevi gli occhi di un'adulta. Che bambina fastidiosa eri. Violenta, rozza e incivile.»
Mallory non se la prese: era tutto vero.
«So dove vivi adesso, Kathy. A qualche isolato da qui, vero? Quel palazzo è piuttosto elegante, immagino che le spese condominiali siano alte. Perché sei qui? Hai bisogno di soldi?»
«Non ho bisogno di soldi.»
«Allora cosa vuoi?» Alice si sporse in avanti, un improvviso scoppio di luce nelle acquose iridi blu. «Cosa puoi volere da me?» La sua voce era acuta e tremula, come prossima a spezzarsi. «Mi hai portato via mia sorella. Sai che da quella volta non volle più rivolgermi la parola? Non immagini neppure quanto ho sofferto per causa tua.»
Alice si alzò dalla sedia con fatica. Sembrava sottile e stanca. Stava forse morendo dello stesso cancro che aveva ucciso sua madre e sua sorella?
La riserva di veleno di Alice si esaurì in fretta. Si lasciò nuovamente cadere fra i cuscini della poltrona. Piangeva. Mallory aspettò che passasse.
«Perché sei venuta? Cosa vuoi da me?»
«Ho bisogno del tuo aiuto.»
«Oggi al Coventry Arms vive ogni sorta di gentaglia. I divi del rock danno feste rumorose, e i politici non sono da meno» disse la vecchia, che doveva avere superato gli ottant'anni da un pezzo.
«Nell'edificio abitano una celebrità della televisione e un attore» disse il marito della vecchia, che era stato presentato a Mallory come Ronald Rosen.
La signora Rosen assentì. «È vero. Ai miei tempi, non avrebbero mai permesso che gente di teatro abitasse in un palazzo perbene.»
«Ai tuoi tempi, Hattie» disse il marito, «erano i gangster l'aristocrazia della West Side.» Il vecchio si rivolse a Mallory. «Quando ero bambino, traslocammo quassù da Hell's Kitchen, come i parenti di sua madre. Che tempi. Da ragazzo facevo commissioni per Owney Madden, il Duca della West Side. Ho visto due dei suoi uomini morti ammazzati nella guerra per il whisky di contrabbando.»
Mallory stava bevendo il tè da una delicata tazza di porcellana, seduta di fronte ai Rosen, storici inquilini del Coventry Arms. Alice si sporse per riempire nuovamente le tazze da un'antica teiera in argento.
«Così sei la figlia di Helen» disse il signor Rosen. «Devi avere preso da tuo padre.» La signora Rosen gli diede un calcio e lui seppe di aver detto qualcosa di inopportuno, ma non cosa. Apparentemente non aveva troppa importanza, poiché sua moglie riacquistò prontamente il suo sorriso bonario.
«Abbiamo visto Helen crescere in questo appartamento, vero, Alice?» disse la signora Rosen. «Anche se dopo il matrimonio con Louis Markowitz sparì quasi completamente. Sono stata al suo funerale. Quant'è che Helen è morta, Alice, tre o quattro anni?» La signora Rosen si rivolse a Mallory. «Ti vidi in quell'occasione. Parlai brevemente con tuo padre. Sembrava così…» Mallory scoccò un'occhiata ad Alice. «Oh, ma sto parlando troppo.»
«Mallory è il tuo nome da sposata?» chiese il signor Rosen, nuovamente redarguito con un calcio dalla moglie, che conosceva i fatti per averli sentiti raccontare da Alice.
«È così eccitante» disse Hattie Rosen. «Proprio come alla televisione. Vuoi che usiamo dei nomi falsi?»
«Buona idea» disse Mallory. «E avrò bisogno di una lettera per il custode, qualcosa che spieghi perché verrò ad abitare nel vostro condominio.»
«Naturale» disse il signor Rosen. «Daremo la stessa spiegazione ad Arthur. È il nostro portiere. Non mi piace mentire ad Arthur.»
«Attenetevi alla verità» disse Mallory. «Ma senza diffondervi in particolari. Ditegli che dovete partire per urgenti questioni personali, e che io sono un'amica di famiglia. Non vi smentirò.»
«Ti ho detto che Ronald russa?» chiese la signora Rosen. «Dormiamo in stanze separate.»
«Nessun problema. Il mio appartamento ha due stanze con vista sul fiume e un portiere ventiquattr'ore su ventiquattro» disse Mallory. «Che voi sappiate, molta gente al Coventry possiede un personal computer?»
«Tutti hanno un computer al giorno d'oggi, persino noi» disse la signora Rosen. «Hanno installato i cavi per collegare telematicamente gli appartamenti, in modo da facilitare la circolazione di informazioni e notizie di interesse comune. È la versione moderna, elettronica, della bacheca, per così dire.»
«Il computer lo usa mia moglie» puntualizzò il signor Rosen. «Cosa vuoi che ne sappia io di computer?»
«Non vedo che cosa ci sia da sapere. Premi un bottone e voilà, eccoti collegato con la rete condominiale. Lasci appunti per l'amministrazione e il custode, prendi accordi con il ragazzo che porta a passeggio i cani, puoi accedere a informazioni sugli appartamenti sfitti. Non c'è da aver paura, caro. È solo una macchina. E le istruzioni sono scritte sullo sportello della consolle. Impareresti facilmente, se solo volessi. Ah, Mallory, dimenticavo: la donna delle pulizie viene una volta alla settimana. Ha la chiave, ci si può fidare ciecamente di lei. Sarah, mi pare che si chiami. Ronald, si chiama così? Sarah?»
«Posso trasferirmi domani?»
«Sì, ma tra dieci giorni dobbiamo tornare per festeggiare le nozze d'oro di mio cugino Bitsy. Abbiamo invitato un centinaio di persone. Tu capisci. Il tuo palazzo è attrezzato per la televisione via cavo?»
Quando i preparativi per lo scambio degli appartamenti furono terminati, quando i Rosen se ne furono andati e lei e Alice si furono scambiate la buonanotte non senza una certa freddezza, avviandosi alla porta, Mallory attraversò lentamente le stanze dell'appartamento dove Helen era cresciuta, registrando ogni particolare.
Passò vicino al grande pianoforte, protetto da un panno e coperto di fotografie, una cinquantina, sistemate in piccole cornici barocche. Tutti volti di bambini. Mallory trovò la foto che ritraeva Helen da piccola, circondata dai sorrisi di altri bambini invecchiati o scomparsi. La prese e la fissò per qualche istante.
Stava rimettendo la fotografia al suo posto quando i suoi occhi si inchiodarono su una cornice poco distante. Si era riconosciuta in una bambina dallo sguardo fisso, persa in un mare di facce per la gran parte sconosciute. Era una fotografia scolastica, scattata un anno dopo il suo primo, drammatico incontro con Alice.
Il ritratto non era sistemato in prima fila e non era nascosto. Occupava un posto preciso tra le generazioni della famiglia.
22 dicembre
Riker salì le scale della clinica veterinaria e arrivò in una sala d'aspetto che aveva le dimensioni di un auditorium, immersa in una cacofonia di latrati, miagolii e cinguettii. Dalle file di sedie si levava l'odore tipico dei negozi di animali, mescolato a quello di detergenti. I proprietari degli animali sussurravano parole di consolazione in risposta ai versi che provenivano dalle rispettive gabbiette. Altri stringevano forte i guinzagli trattenendo i cani, che altrimenti avrebbero messo a soqquadro la stanza. Quella gente, almeno un centinaio di persone, aveva tutta l'aria di amare davvero gli animali.
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