Iain Banks - Complicità

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Cameron, reporter del Caledonian e maniaco di computer game, si mette sulle tracce di un nemico crudele, un uomo solo che si erge a giudice, giuria e boia di tutti coloro che hanno commesso un errore troppo grave per essere perdonato. Quale oscura complicità lega Cameron all’inafferrabile serial-killer?

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«E dunque», prosegue, «in questo clima di colpevolezza e di sovvertimento dei valori morali, niente, assolutamente niente di ciò che ho fatto è fuori luogo, contro natura, o sbagliato.»

Apro la bocca per parlare, ma lui mi ferma con un gesto della mano e dice, con un’espressione beffarda: «Insomma, Cameron, che dovevo fare? Aspettare che la rivoluzione del proletariato mettesse tutto a posto? Quella è come il giorno del giudizio: non arriva mai, cazzo! E io voglio giustizia. Adesso. Non voglio che ’sti bastardi muoiano di morte naturale.» Fa un sospiro e mi guarda con aria perplessa. «Allora, come sto andando Cameron? Pensi che sia pazzo, o cosa?»

Scuoto la testa. «No, non credo che tu sia pazzo, Andy. Hai torto, tutto qui.»

Annuisce lentamente, sempre osservando il proiettile che continua a rigirare tra le dita.

«Però hai ragione a proposito di una cosa», continuo. «Tu sei uno di loro. Forse, dopotutto, quel discorso della nicchia del mercato non è poi così assurdo. Ma una risposta malata a un sistema malato è davvero il meglio che possiamo fare? Tu sei convinto di combatterlo, e invece stai facendo come tutti gli altri. Ti hanno avvelenato, amico. Ti hanno strappato la speranza dall’anima e al suo posto ci hanno messo un odio insaziabile.»

«Hai detto ‘anima’, Cameron?» Sorride. «La stai buttando sul religioso?»

«No, intendevo dire il tuo nucleo, l’essenza di ciò che sei; ti hanno contagiato con la disperazione e mi dispiace che tu non veda soluzione migliore che uccidere la gente.»

«Neanche quando se lo merita?»

«No, Andy; non credo nella pena capitale.»

«Be’, loro sì», ribatte con un sospiro. «E anch’io, forse.»

«E la speranza? Ci credi, in quella?»

Assume un’espressione sprezzante. «E tu chi sei, Bill Clinton?» Scuote la testa. «Oh, lo so che al mondo esiste anche il bene, Cameron, come esistono la compassione e qualche legge giusta: ma sono circondati da un mondo di barbarie totale, galleggiano in un oceano di atrocità in grado di fare istantaneamente a pezzi una struttura sociale fragile come la nostra. È questa la conclusione, è questo il vero scenario in cui noi tutti ci muoviamo, anche se la maggior parte non sa o non vuole riconoscerlo, e quindi finisce con il perpetuarlo.

«Siamo tutti colpevoli, Cameron. Alcuni più di altri, sì, però non dirmi che non siamo tutti colpevoli.»

Resisto alla tentazione di dirgli: «Chi la sta buttando sul religioso, adesso?»

Invece gli chiedo: «Di che cosa era colpevole William?»

Andy aggrotta la fronte e distoglie lo sguardo. «Era tutto ciò che affermava di essere», dice, per la prima volta con una nota di amarezza nella voce. «Con William non si è trattato di una vendetta personale, come con Halziel o con Lingary: lui era uno di loro, Cameron. Pensava davvero quello che diceva, sai. Lo conoscevo meglio di te, per quanto riguardava le cose importanti, e, quando descriveva le sue ambizioni, era assolutamente serio. Voleva comprarsi un cavalierato, per esempio. Negli ultimi dieci anni aveva continuato a dare soldi ai conservatori — l’anno scorso ne ha dato anche ai laburisti, ma soltanto perché credeva che avrebbero vinto le elezioni — comunque erano dieci anni che versava ragguardevoli somme di denaro nelle casse dei Tories, sempre attento a calcolare quanto dovesse ‘donare’ un uomo d’affari di successo per assicurarsi un titolo. Una volta mi chiese quale attività benefica avrebbe fatto meglio a sostenere, sempre per lo stesso scopo: però ne voleva una che non incoraggiasse gli scrocconi.

«Era un progetto a lungo termine, ma William ragionava così. Era sempre deciso a costruirsi una casa a Eilean Dubh, e aveva escogitato un piano molto complesso che richiedeva una società di copertura e la minaccia della creazione di un deposito di rifiuti tossici nell’area. Se il piano avesse funzionato, gli abitanti della zona lo avrebbero praticamente implorato di comprarsi l’isola. E qualche volta, quando era ubriaco, parlava di scambiare Yvonne con un modello più sofisticato e docile, magari già corredato di titolo nobiliare e con tanto di paparino importante, preferibilmente impegnato nell’industria o nel governo. Persino il suo programma d’investimenti ‘non-etici’ non era uno scherzo, anzi, lo perseguiva con tutte le forze.»

Andy si stringe nelle spalle. «Il fatto che lo conoscessi era una semplice coincidenza, tuttavia non credo ci sia mai stato il minimo dubbio che William sarebbe diventato uguale a tutti quelli che ho ucciso.»

Fa rotolare il proiettile sul palmo di una mano, tenendo gli occhi bassi. «Comunque, per quel che vale, mi dispiace che l’averlo ucciso abbia mandato all’aria la relazione fra te e Yvonne.»

«Ah», commento, «allora questo aggiusta tutto.» Doveva suonare sarcastico, invece suona soltanto stupido.

Annuisce, senza guardarmi. «Era un uomo molto affascinante, Cameron, ma in realtà era molto malvagio.»

Lo fisso per un po’, mentre giocherella con il proiettile. «Sì, ma tu non sei Dio, Andy», mormoro infine.

«No, non lo sono», ammette. «Nessuno lo è. E allora?» conclude, con un sorriso.

Chiudo gli occhi, incapace di sostenere l’espressione rilassata e furbetta sul suo volto. Li riapro e sbircio fuori dell’apertura, guardo l’acqua e la terra e gli uccelli che volano in tondo senza fermarsi un istante. «Sì, capisco. Bene, credo che sia perfettamente inutile discutere con te, vero, Andy?»

«Sì, probabilmente hai ragione», dice lui, improvvisamente allegro e vivace. Si dà una pacca sulle ginocchia e salta in piedi. Prende la pistola e se la infila nella cintura dei calzoni, dietro la schiena. Solleva lo zaino e se lo getta su una spalla. Accenna con la testa al telefono cellulare posato sul pavimento.

«Ecco la tua scelta», spiega. «Puoi telefonare e denunciarmi, oppure no.»

Si aspetta che io reagisca. Mi limito a inarcare le sopracciglia.

Lui alza le spalle. «Ora vado giù alla barca e carico la mia roba», dice con un sorriso. «Fai con calma. Torno fra dieci, quindici minuti.»

Fisso il telefono sul pavimento sporco.

«Funziona», mi rassicura. «Scegli tu.» Scoppia a ridere. «In un modo o nell’altro, a me va bene comunque. Se mi lasci andare… non so, forse potrei anche uscire di scena, finché sono in vantaggio. D’altro canto, là fuori, ci sono ancora tanti di quei bastardi… La stessa ‘lady di ferro’, per esempio, se questo può stuzzicare il tuo interesse, Cameron.» Mi sorride. «Oppure c’è l’America, la terra delle opportunità. Se invece finisco in galera… Be’, anche lì ci sono persone che mi piacerebbe tanto incontrare; lo squartatore dello Yorkshire, per dirne uno, sempre che sia possibile arrivare a lui. Mi basterebbero una piccola lama e cinque minuti.» Si stringe di nuovo nelle spalle. «Be’, fai tu. Ci vediamo tra poco.»

Esce dall’apertura con un saltello, tuffandosi nella luce del sole e nel vento teso, scendendo a due a due i gradini che portano a un passaggio tra due edifici, e poi scompare, fischiettando. Mi appoggio al muro.

Mi accuccio sulle caviglie legate e sollevo il telefono. Sembra che sia carico e che funzioni. Compongo il numero della vecchia casa di mamma e papà a Strathspeld: risponde una segreteria telefonica, con una voce di uomo, burbera e scortese.

Chiudo la comunicazione.

Ci metto almeno un minuto a togliere il nastro adesivo che mi lega le caviglie. Prendo l’impermeabile da terra, scrollo via la polvere e lo indosso.

Il vento sbatte le falde contro le mie gambe mentre sto fermo sulla soglia, con il Fife alla mia destra, gli alberi di Dalmeny Park e di Mons Hill sulla sinistra e i due ponti davanti a me: uno diritto, con la sua ragnatela di metallo rosso, l’altro con il suo arco perfetto, pitturato di grigio come una nave da guerra.

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