Iain Banks - Complicità

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Cameron, reporter del Caledonian e maniaco di computer game, si mette sulle tracce di un nemico crudele, un uomo solo che si erge a giudice, giuria e boia di tutti coloro che hanno commesso un errore troppo grave per essere perdonato. Quale oscura complicità lega Cameron all’inafferrabile serial-killer?

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E così eccoci seduti al Café Royal dopo una allegra passeggiata per il North Bridge; William si è pappato una dozzina di ostriche vive (Yvonne e io abbiamo preso una zuppa di molluschi) e stiamo parlando di computer: sono il mio strumento di lavoro e l’argomento m’interessa, senza contare che William lavora per un’azienda che li fabbrica. La loro base operativa in Scozia è nel sud del Queensberry, mentre il quartier generale è nel Maryland, negli Stati Uniti. William doveva partire oggi per l’America, ma proprio quando stava per salutare la sua deliziosa Yvonne, questa mattina, e lasciare la loro meravigliosa e lussuosissima villa — garage a tre posti, salone su due piani, sauna, Jacuzzi e parabola satellitare — costruita su una esclusiva e prestigiosa proprietà, tra alberi d’alto fusto, con una clubhouse per i residenti, ristorante, piscina, palestra superattrezzata, campi da tennis e da squash, ha ricevuto una telefonata che lo avvertiva che il viaggio era stato rimandato di qualche giorno.

Siamo seduti a un tavolo d’angolo; William e Yvonne sono uno di fianco all’altra su una panchetta di pelle verde, mentre io mi trovo su una comunissima sedia, proprio di fronte a Yvonne. Mi sta facendo piedino sotto il tavolo, si è tolta la scarpa e il suo piede fasciato di nylon nero mi accarezza il polpaccio. Presumo che la tovaglia bianca inamidata sia abbastanza lunga da nascondere il tutto.

Nel frattempo io continuo a parlare di 486, di clockdoublers , del nuovo chip P5 che sta per uscire e di CD-ROM, ma ci sono almeno tre pensieri diversi che mi ronzano nella testa. Infatti, mentre una parte del mio cervello è impegnata a condurre la conversazione con William, un’altra si sta godendo le sensazioni prodotte dal piede di sua moglie che ora è salito alle ginocchia — procurandomi una mostruosa erezione, nascosta dal tovagliolo — e una terza sembra osservarmi dall’esterno, mentre parlo con quest’uomo cordiale e affabile che ho reso cornuto, e sta pensando che brutto bastardo sono, e quanto riesco ad apparire ciarliero, informato e simpatico mentre subisco questa deliziosa, segreta ma al contempo pubblica ed erotizzante distrazione. Stiamo parlando di multitasking e vorrei tanto dirgli: «Vuoi che ti spieghi come funziona il multitasking , amico? Ecco, lo sto applicando proprio in questo momento».

Yvonne sembra un tantino annoiata da tutto ’sto parlare di computer, e probabilmente è questo il motivo per cui ha incominciato ad accarezzarmi una gamba. A lei, i computer non interessano: si occupa di fallimenti. Non appena uscita dall’università è entrata in una piccola società specializzata nell’alleviare l’agonia delle imprese in fallimento. Per lavoro, ha viaggiato per tutta l’Inghilterra, e l’anno scorso l’hanno nominata direttore. Non è più una piccola società. I fallimenti sono un’industria in espansione.

Maschera elegantemente uno sbadiglio e si appoggia allo schienale della panchetta, mentre mi lascio sfuggire un respiro strozzato che devo contrabbandare per un colpo di tosse: di colpo il suo piede è scivolato fra le mie gambe. Stupidamente sollevo il tovagliolo per pulirmi la bocca, dopo il finto colpo di tosse, e… Cristo! Il piede è appoggiato proprio sulla mia sedia, e le dita coperte dalle calze si piegano in avanti per accarezzarmi l’uccello attraverso la stoffa dei calzoni. Con la massima rapidità, rimetto giù il tovagliolo e torno all’argomento delle immagini dei CD-ROM, sperando che nessuno abbia visto il suo piede. Sai l’imbarazzo, se ci fosse un cameriere nelle vicinanze. Senza dare nell’occhio, mi tiro la tovaglia in grembo e, con la tovaglia, anche il suo piede. È sempre appoggiata allo schienale e mi sta sorridendo appena, mentre le sue dita si flettono e si distendono.

Sollevo la mia flûte di champagne, annuendo per qualcosa che William ha appena detto.

«Scusate, devo scappare in bagno», fa lui, alzandosi. Il piede di Yvonne s’irrigidisce contro il mio inguine, ma non si sposta.

Yvonne e io restiamo a guardarlo mentre si allontana e poi, contemporaneamente, ci chiniamo in avanti sopra il tavolo.

«Cristo, hai un’aria maledettamente scopabile», le sussurro.

«Hmm», mormora lei, e si stringe nelle spalle. «Mi dispiace per oggi.»

«Pazienza. Dio mio, come me lo fai tirare!»

«Vuoi che ci vediamo il giorno in cui lui parte?»

«Sì», rispondo, senza fiato. «Sì, sì, sì.»

«Togliti una scarpa e infilami un piede tra le gambe», dice, calma. «Sono senza mutandine.»

«Oh, Cristo!»

Un’ora dopo sono nel bagno degli uomini, al giornale. Ho il calzino destro avvolto intorno all’uccello e mi sto masturbando. L’odore del calzino mi è rimasto sul viso; prima di avvolgermelo intorno al cazzo l’avevo annusato a lungo, inalando il suo odore nei polmoni. Questa è la seconda sega che mi faccio; al ristorante stavo quasi per venire, mentre me ne stavo lì, seduto a mangiare la mia aragosta con il piede di Yvonne che continuava ad accarezzarmi l’inguine e il mio piede infilato sotto la sua gonna. Per evitare una brutta figura a tavola, sono stato costretto a ritrarre il piede, a infilarmi la scarpa, a scusarmi e ad andare imbarazzatissimo nel bagno degli uomini per sfogarmi. È bastato toccarlo. Questa volta, invece, ci vuole un po’ di più. La calza emana un forte odore di donna, altamente erotico. Grazie al cielo stavamo mangiando pesce.

Oh, Yvonne… Ah, ecco, ci siamo…

«Cameron, stai bene?»

«Sì, Frank.»

«Sei un po’ pallido.»

«Mi sento benissimo.»

«Bene. ‘Carse of Gowrie’.»

«Come?»

«’Carse of Gowrie’. Sai, su vicino a Perth. Indovina che cosa suggerisce il correttore ortografico?»

«Mi arrendo.»

«’Carriera o governo’!»

«Piantala, oppure non riuscirò a trattenere le lacrime.»

«Ce n’è una ancora migliore…»

«Senti, Frank, devo fare una ricerca molto importante», taglio corto, afferrando un notes e avviandomi verso la biblioteca. Diamine, devo lavorarci, insieme a ’sto tipo. Meglio una ritirata strategica davanti alle ultime battute, per niente spiritose, di questo scherzo che va avanti ormai da troppo tempo, piuttosto che perdere la pazienza e indicare a Frank il posto in cui potrebbe infilarsi il suo correttore ortografico.

Il Caley possiede ancora una biblioteca tradizionale, dove vengono custoditi tutti gli articoli. Quando s’incomincia a lavorare a un pezzo, il primo passo è quello di procurarsi i ritagli, ed è appunto qui che vengono custoditi. Immagino che entro pochi anni tutto finirà immagazzinato in banche dati che si potranno consultare da tutto il mondo tramite modem, ma, per il momento, c’è un luogo fisico in cui bisogna recarsi se si vogliono consultare i libri più oscuri, gli schedari pre-computer e i vecchi numeri del Caledonian , sebbene questi ultimi siano già conservati su microfiches. La biblioteca del Caley occupa un unico locale cavernoso nelle viscere dell’edificio, due piani sotto l’area della reception; non ci sono finestre, non si sente il rumore del traffico né dei treni e, in realtà, è un luogo piuttosto riposante, a meno che le rotative non siano in movimento. Scambio qualche parola con Joanie, la nostra bibliotecaria, e poi mi metto al lavoro.

A parte la conferma che Ares è il dio greco della guerra, il che può essere attinente al caso oppure no, non riesco a trovare granché. Non c’è il minimo accenno a qualcosa o a qualcuno chiamato Jemmel. Mi ritrovo quindi a sfogliare il materiale che ho già scoperto su Wood, Bennet, Harrison, Aramphahal e Isaacs.

Wood e Isaacs lavoravano per la British Nuclear Fuels Ltd., Bennet per l’Ente per il controllo nucleare, Aramphahal era impiegato in qualità di esperto crittografo nel quartier generale per le Comunicazioni governative e Harrison era un uomo del ministero del Commercio e dell’Industria; di quest’ultimo si vociferava che avesse stretti legami con l’MI6, la celebre sezione dei Servizi segreti dell’esercito. Aramphahal era sceso sui binari ferroviari posti lungo il confine della sua proprietà, vicino a Gloucester, si era legato una corda attorno al collo, aveva assicurato prima un’estremità a un albero su un lato dei binari, poi se stesso a un tronco sul lato opposto, e aveva atteso che passasse l’espresso. Wood viveva a Egremont, un piccolo villaggio della Cumbria: aveva fatto il bagno in compagnia di un trapano elettrico, e non del tipo a batteria. Bennet era stato trovato nel pozzo nero di una fattoria vicino a Oxford: annegamento. Isaacs si era legato ai piedi una vecchia e pesantissima macchina da scrivere e si era gettato nel Derwentwater, mentre Harrison si era chiuso in una stanza d’albergo e aveva inghiottito due liquidi che, se combinati, reagiscono e formano quella schiuma isolante per le intercapedini dei muri: era morto soffocato. Sembrava che si conoscessero tutti, e che il loro stato di servizio fosse piuttosto oscuro: c’erano lunghi periodi vuoti in cui nessuno sapeva dove fossero stati; nessuno di loro aveva legami di amicizia con colleghi, o perlomeno, non c’era nessuno che ammettesse di essere stato loro amico.

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