Leif Davidsen - Quando il ghiaccio si scioglie

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Quando il ghiaccio si scioglie: краткое содержание, описание и аннотация

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Peter Lime, danese, professione fotografo, è felicemente sposato e dirige una fiorente agenzia. Durante un appostamento per un servizio scandalistico, scatta di nascosto una serie di foto compromettenti a un ministro del governo spagnolo impegnato in calde effusioni con una giovane starlette televisiva. E’ l’inizio di un’allucinante spirale di misteri e violenza che lo risucchia senza possibilità di scampo. La chiave è forse nascosta in un’altra immagine, scattata vent’anni prima e nell’identità misteriosa della donna che vi è ritratta.

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Ero sceso in cucina per fare colazione insieme agli altri raccoglitori, ma scoprii di essermi alzato troppo tardi: erano già andati via. Ernst e una donna erano in piedi accanto al lavandino. Lei reggeva una tazza di tè e parlava in tedesco, sottovoce ma con fervore. Ernst ascoltava concentrato e teso. Al mio «buon giorno» la donna ebbe un sussulto e si voltò dall’altra parte, Ernst mi fulminò con lo sguardo, ordinandomi di sparire. Sorpreso e irritato dalla durezza di quel comando, decisi di fare finta di nulla. Mi versai una tazza di caffè e mi preparai una fetta di pane con burro e formaggio: la cucina era anche mia. La donna continuava a darmi le spalle. La maglietta indossata sui jeans slavati rivelava una bella schiena, un po’ esile. I capelli corti erano tagliati pari. Nell’attimo in cui voltò la testa, il suo viso mi parve pallido e teso, senza trucco, gli occhi stranamente ardenti e intensi. Quando uscii sull’aia a fare colazione e a fumare una cicca nella prima luce dell’alba, i due rimasero dov’erano.

Quella sera avevo visto Ernst sul prato dietro la fattoria, in adorante contemplazione di Lola che camminava nel crepuscolo tenendo per mano una bimba di tre anni. Sapevo che Lola ed Ernst erano stati a letto insieme in più di un’occasione, ma non m’importava. Lola era bella, mi piacevano il suo corpo, i suoi gesti lenti e sensuali nel fare l’amore, ma non l’amavo. Comunque non abbastanza da essere geloso. Per Ernst le cose stavano diversamente.

Mi ero avvicinato e gli avevo chiesto chi fosse la ragazza di quella mattina.

Mi aveva rivolto un’occhiata colma d’irritazione: lo spettacolo di Lola nella splendida sera danese non ammetteva interferenze.

Scherzando avevo commentato che in ogni caso la sua donna misteriosa non poteva essere bella quanto Lola. Lui si era voltato di scatto, sibilando che non erano affari miei, che avrei fatto meglio a dimenticare quella donna. Si era allontanato in fretta, e non lo avevo mai più rivisto. Era sparito. Non potevo escludere che lui o la donna della cucina fossero tornati alla comune quell’estate o in seguito, perché una settimana dopo la scena sul prato avevo preparato lo zaino ed ero partito in autostop per Copenaghen.

Solo un paio d’anni più tardi, in Germania, avevo potuto associare un nome all’amica di Ernst, il cui volto appariva accanto a quello di Ulrike Meinhof su un manifesto che spiegava che erano terroriste ricercate per omicidio, sequestro di persona e rapina. L’esperienza della comune nei pressi di Bogense aveva sparso anche semi nefasti. La maggior parte, per fortuna, non aveva attecchito, ma alcuni avevano messo radici e fatto germinare frutti fatali.

Tornai a osservare la foto scattata nel soggiorno della comune, e a un tratto riconobbi il ragazzo nell’angolo a sinistra: era Karsten Svogerslev, attuale deputato al parlamento danese. Faceva parte di un raggruppamento che raccoglieva i rappresentanti della sinistra radicale: vecchi comunisti, anarchici, e trotzkisti. Svogerslev era dunque uno dei pochi a non aver rinnegato il passato alla fine degli anni Settanta.

Riandai con la mente alla notte precedente la mia partenza dalla comune. La stanza di Lola aveva il soffitto spiovente e spazio sufficiente solo per un letto matrimoniale e delle vecchie casse da birra dipinte che le facevano da armadio. Le pareti erano bianche, con l’unica decorazione della sua chitarra appesa a un chiodo. Faceva caldo. Eravamo nudi, avevamo fumato dell’erba e fatto l’amore. Lei, distesa su un fianco, con un dito tracciava figure astratte sul mio petto. Il pensiero della partenza evocava in me un misto di eccitazione e malinconia. Ma dovevo partire; ero giovane, pieno di appetiti e volevo una vita da nomade. Ero un promettente fotografo, e le fotografie si potevano fare e vendere ovunque.

Prima della comune avevo lavorato per sei mesi da un carrozziere, poi, dopo l’anno di militare, come sterratore e betoniere. Così avevo messo da parte un gruzzoletto che mi avrebbe consentito di viaggiare.

Quell’ultima notte, anzi, quel mattino, quando la luce cominciava ormai a spuntare all’orizzonte, avevo fotografato Lola. Ricordavo un’immagine di lei seduta sul letto, nuda, con le braccia alzate nell’atto di raccogliersi i capelli sulla nuca. Ma evidentemente non l’avevo conservata, perché nella valigia non c’era.

«Da dove vieni, Lola?» le avevo chiesto.

«Da nessun posto.»

«Tutti veniamo da qualche posto, e siamo tutti diretti da qualche parte».

«Sono cresciuta a Vordingborg, in casa di un ufficiale dell’esercito, ma sono di origini inglesi. Sono stata adottata. La mia famiglia era nobile e rimase coinvolta in un grosso scandalo…»

Si divertiva a creare per sé ruoli, volti e identità sempre nuove, senza curarsi delle contraddizioni in cui continuamente cadeva. Sembrava credere davvero a ciò che inventava, ma solo fino alla storia successiva. Qualcuno mi aveva raccontato di aver saputo che era figlia di una ragazza madre di Copenaghen che si era rovinata con l’alcol, ma a Ernst aveva detto di essere la maggiore di sei figli cresciuti in una piccola fattoria sulla costa occidentale dello Jutland.

Non l’avevo contraddetta. Lei mi aveva baciato sul petto e accarezzato con la lingua, poi più in basso, con le dita, finché di nuovo avevo sentito il desiderio crescere tra le sue mani.

Poi aveva detto:

«Tu sei bravo in tante cose. Sei un amante favoloso, sei un fotografo favoloso, sei un seduttore. E un bugiardo. Sei proprio sicuro di voler partire oggi?».

Con dolcezza ero entrato dentro di lei.

«Peter. Sedurre è l’unica cosa che so fare, il mio unico talento. Di solito riesco a ottenere che gli uomini facciano quello che voglio. Perché con te non funziona?»

Potevo udire la sua voce pronunciare quella frase, quasi che Lola fosse distesa sul letto dell’Hotel Inglés. La concretezza di quel ricordo mi turbò. Come in trance, sentivo che la linea fra il passato e il presente andava sfumando.

Vidi me stesso lasciare la fattoria con lo zaino in spalla per incamminarmi lungo il viottolo di campagna che portava alla statale. Avevo addosso l’odore di Lola. Era una splendida mattina d’estate.

La marijuana e la sensazione di completa libertà mi davano alla testa. Il futuro era uno scrigno di possibilità, il mio giovane corpo uno strumento magnifico e invulnerabile.

Non credo di essere mai stato, né prima né dopo, felice quanto in quei momenti.

13

Quella domenica scesi dal taxi davanti a Las Ventas un po’ prima delle cinque. La mattina avevo dormito fino a tardi tra le lenzuola sudate e attorcigliate, protetto dal cartello Do Not Disturb appeso alla maniglia esterna della porta della mia camera. Mi ero svegliato, lucido sebbene un po’ dolorante. Avevo messo in ordine, chiuso la valigia, mi ero fatto la doccia ed ero sceso al ristorante per consumare il primo abbondante pasto in diversi giorni. Poi ero andato da Suzuki per uno dei suoi miracolosi massaggi. Il vecchio aveva detto che respiravo meglio; riusciva a percepire i contorni del mio wa , l’equilibrio di corpo e psiche. In effetti mi sentivo rinfrancato, quasi che le ore trascorse con la valigia dei ricordi avessero avuto un effetto catartico. Il bisogno di bere non era svanito, ma almeno per il momento stava rintanato in un angolo remoto del mio cervello. Sul taxi diretto all’arena avevo acceso il cellulare. La segreteria traboccava di messaggi di Oscar e di Gloria, preoccupati perché non riuscivano a mettersi in contatto con me. L’ultimo messaggio lo avevano lasciato insieme. Erano in partenza, Gloria per Londra, Oscar per l’Irlanda; avrebbero portato con sé i rispettivi cellulari e si aspettavano che mi facessi vivo.

Davanti all’ingresso di Las Ventas c’era la solita ressa, un caos di auto strombazzanti, turisti, bagarini, bancarelle e aficionados scalpitanti invano contrastati da vigili armati di fischietto. I miei sensi erano desti come se mi fossi svegliato da un lungo letargo; per la prima volta dalla morte di Amelia e Maria Luisa riuscivo a sentire la vita che pulsava tutt’intorno a me.

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