Lo abbracciai. La pacca sulla schiena con cui mi salutò mi fece male, e insieme mi fece bene, come la doppia vodka che ordinai non appena l’aereo prese quota e con una lenta virata puntò il muso verso sud, in direzione di Madrid. Il verde delle colline basche, le montagne alte e grigie e le acque verde-azzurre crestate di bianco del Golfo di Biscaglia sparirono sotto le ali dell’apparecchio mentre con mano ferma prendevo il bicchiere che la hostess mi tendeva sorridendo.
A Madrid telefonai a mio suocero, ma la linea era occupata. Maledicendo l’afa e il sudore che già mi incollava la maglietta alla pelle, cercai un taxi e riprovai a chiamare: ancora occupato. Davanti a casa di Don Alfonso era parcheggiata una volante della Policia National. Per un attimo temetti il peggio, ma poi mio suocero apparve sulla porta della veranda insieme a un agente. Se, come credevo, tra i fumi dell’alcol avevo rivelato agli irlandesi che il custode della valigia era lui e qualcuno era venuto fin qui a cercarla, quel qualcuno aveva deciso di risparmiargli la vita. Trassi un sospiro di sollievo.
Pagai il tassista, scesi dall’auto e gli andai incontro. Don Alfonso mi guardò in silenzio qualche secondo prima di tendermi la mano:
«Ti hanno devastato, come hanno fatto con la mia casa» disse facendosi da parte perché entrassi.
Dentro regnava il caos più assoluto. Mobili capovolti, cassetti rovesciati, ante di armadi scardinate, materassi buttati giù dai letti, vestiti, CD, libri, gingilli e foto disseminati sul pavimento.
Un agente della Policia National si aggirava prendendo appunti su un taccuino. Per la polizia era un banale caso di furto, uno delle migliaia che ogni giorno si verificavano a Madrid e dintorni. Sembrava che un uragano avesse spazzato la casa: i “ladri” avevano frugato in ogni angolo con furia distruttiva ed efficienza.
Don Alfonso pareva calmo, ma il pallore della sua sottile pelle di vecchio tradiva una grande stanchezza.
Per fortuna poteva contare su Doña Carmen, che già armata di spazzolone, secchio e straccio stava aspettando che i poliziotti se ne andassero per mettersi all’opera. Data la gravità della situazione, Carmen aveva arruolato due robuste ragazzotte dei dintorni come rinforzi, e adesso quelle, strette nei grembiulini rosa, attendevano impalate un cenno della domestica.
L’agente del taccuino mi si avvicinò e scrutò attentamente il mio viso contuso. È probabile che mi riconoscesse, visto il numero di foto apparse sulla stampa spagnola in seguito al mio arresto e all’esplosione, comunque non osò far domande. Salutò e si avviò alla macchina.
Quando i poliziotti se ne furono andati, Don Alfonso andò a prendere una birra e una Coca dal frigo e si diresse verso la terrazza.
«Preferirei una birra» dissi.
Mi lanciò un’occhiata indecifrabile, ma tornò in cucina e riapparve con una seconda lattina di birra.
Ci sedemmo sotto l’ombrellone. Il caldo era opprimente, ma al contrario di me Don Alfonso non sembrava soffrirne, provato ma come sempre impeccabile in una polo bianca e pantaloni chiari. Erano otto anni che non bevevo birra, e il suo sapore amarognolo fu una sorpresa più che un piacere. Dopo il quarto sorso cominciai ad avvertirne l’effetto: quello sì mi piaceva, anche se mi disprezzavo per la mia debolezza. Senza tralasciare alcun dettaglio raccontai a Don Alfonso gli eventi degli ultimi giorni. Ammisi che per quanto mi sforzassi non riuscivo a ricordare ciò che avevo spifferato ai tre bulli; del resto lo stato della sua casa parlava chiaro: dovevo aver fatto il suo nome in relazione alla valigia.
«La vera questione è: come sapevano della sua esistenza?» domandai più a me stesso che a lui.
Don Alfonso si alzò e tornò con altre due birre.
«Con chi hai parlato della valigia?» chiese porgendomene una prima di risedersi.
«Con te, recentemente ho accennato qualcosa a Oscar, Gloria… Nessun altro.»
Don Alfonso parlò a voce bassa.
«Ti inganni, Pedro. Io so della sua esistenza da parecchi anni. Da prima che tu mi chiedessi di custodirla…»
«Impossibile.»
Mi fissò dritto negli occhi:
«Gli ubriaconi hanno pochi segreti» disse.
Sentii che ero sul punto di arrossire come un adolescente colto a sbirciare sotto la gonna dell’insegnante. Aveva ragione. Potevo avergliene parlato da sbronzo. Di una sola cosa potevo esser certo: a nessuno avevo mai rivelato il significato della valigia, la sua funzione di diario intimo, di sacro altare della memoria. Di talismano, quasi, equivalente della zampa di coniglio che si portano in tasca i superstiziosi.
Rammentai l’espressione di Gloria nell’apprendere della mia collezione segreta di negativi, le sue proteste. La sua sorpresa mi era sembrata sincera. E Oscar? Oscar e io passavamo talmente tanto tempo insieme, era improbabile che non gliene avessi parlato almeno una volta nel corso di tutti quegli anni… Eppure no, ne ero sicuro. Chissà in quante occasioni, nel corso di qualche sconnessa chiacchierata notturna innaffiata di whiskey o di vodka, mi ero vantato di possedere una valigia segreta, la mia super-polizza sulla vita. Ma sempre con estranei, conoscenze superficiali, magari donne su cui volevo fare colpo. Mai con Oscar e Gloria. Ci conoscevamo troppo bene perché tra noi fossero ammesse allusioni, reticenze, mezzi segreti. Per questo, fino a quel mattino in ufficio, avevo avuto cura di non parlargliene mai.
E Don Alfonso, davvero lo aveva saputo da me?
«È possibile che in passato, quando facevo politica, qualcuno si sia preso la briga di tenermi d’occhio…» insinuai.
Mi guardò con i suoi occhi intelligenti e tristi ed esitò. Odiava rivelare un segreto.
«Sorvegliavamo chiunque ritenessimo potenzialmente pericoloso.»
«E io ero considerato potenzialmente pericoloso?»
«Come hai detto, facevi politica. Eri di sinistra e frequentavi elementi di sinistra.»
Di colpo capii:
«Fosti tu a farmi seguire! Decidesti di raccogliere informazioni su di me quando la storia con Amelia divenne seria. È così?».
«Feci ciò che un padre responsabile aveva il dovere di fare per il bene della sua unica figlia…»
«E cioè?»
«Avevo il diritto di farmi un’idea del mio futuro genero.»
«Dio mio. Sarai rimasto inorridito. La politica, la mia professione, l’amore per la bottiglia… Non ero certo un modello di virtù, specie dal tuo punto di vista.»
Sorridendo posò la sua bella mano asciutta sulla mia.
«Invece ti dimostrasti un’ottima scelta.»
«Scopristi che ero un ubriacone. Ma non mangiavo i bambini, ero un fotografo di successo, il mio conto in banca era in ottima salute e possedevo una certa valigia…»
«Tutto sommato, trovai che tu fossi all’altezza di Amelia.»
«E se non mi avessi ritenuto degno di entrare a far parte della famiglia?»
Rise.
«In quel caso la mia bambina ti avrebbe sposato lo stesso, forse ancora più volentieri. I vecchi tempi erano finiti da un pezzo.»
«Già» dissi io.
Restammo seduti in silenzio, ciascuno perso nei suoi ricordi.
«L’hanno trovata?» domandai a un tratto, riscuotendomi.
«La valigia? No. Non l’hanno trovata.»
«Dov’è? Dove sono le mie foto?»
«Più tardi» fu la sua risposta.
Dentro casa Doña Carmen aveva acceso l’aspirapolvere e impartiva ordini alle due ragazze.
«Non sono stati i baschi. Di questo sono sicuro. Allora chi è stato? Il ministro? Prima mi fa arrestare, poi spedisce qualcuno a uccidere mia moglie e mia figlia? Non ha senso, eppure…»
Mi interruppi. Alla menzione di Amelia e Maria Luisa, la solita fitta di dolore mi aveva trafitto il cuore. Un’ombra era scivolata sul volto del vecchio.
«È possibile che abbia voluto vendicarsi.»
«Don Alfonso, la Spagna è una nazione moderna. I vecchi tempi sono finiti, lo hai detto tu stesso.»
Читать дальше