Il problema è che prima avevo un bisogno pazzesco, ma adesso non ci riesco, è come se i miei organi fossero blocchi di ghiaccio incastrati uno contro l’altro.
«Falla se no te la sparo fuori io!»
Il suono della sua voce, il pensiero che mi sta per sparare, mi rimette in moto le viscere e la faccio.
Poi metto una mano dietro per prenderla.
Che schifo, mi fa ribrezzo, ma mi dico che è solo cibo digerito, roba che era dentro di me fino a poco fa…
«Ma guarda», dice lei. «Disgustoso piccolo maiale.»
«Disgustoso», ripete lui. Ma intende qualcos’altro.
Io alzo gli occhi e la guardo. Annuisco. E sorrido. Lei è sorpresa, non si aspettava un sorriso e per un secondo distoglie lo sguardo.
Allora, anche se negli sport non sono mai stato bravo, io prendo la mira e tiro.
Bam! Diritto in faccia e sulla macchina fotografica, sulla maglietta.
Grida e vacilla all’indietro e si spazza con le mani. Lui inciampa nei suoi calzoni, confuso. Si riveste per correre da me, ma è lei che devo sorvegliare perché è lei che ha la pistola. Sta ancora strillando e gesticolando. Io mi tiro su gli slip e i calzoni e prima ancora di essermeli sistemati addosso, sono lì che corrocorrocorro, tra rami che mi graffiano la faccia, via nello spazio, via nel verde, un verde che non finisce mai, un tempo che non si ferma mai, corro, inciampo, mi tuffo.
Volo.
Sento come un battimani, forte, non mi fermo, non c’è niente che mi fa male, sto bene o forse no ma non sento niente lo stesso, non posso più sentire, non sarebbe brutto, non sarebbe affatto brutto.
Mi butto nel verde.
Grazie gorilla. Se potessi respirare riderei.
Proprio quando Petra si accingeva a chiamare la Empty Nest Productions e chiedere di Darrell/Darren, arrivò un altro fax: l’ultima bolletta telefonica di Lisa.
Patsy K. aveva detto il vero: Lisa non amava il telefono. Quindici chiamate in tutto il mese, una sola interurbana di Lisa, il primo giorno, a Chagrin Falls, conversazione di tre minuti. Quattro chiacchiere con mamma? Una sola volta al mese. Frequentazioni sporadiche fra figlia e genitori?
Le altre tre interurbane segnate sulla fattura erano telefonate ad Alhambra, al numero che Petra aveva trascritto nei suoi appunti: una delle amiche di Patsy K. Le altre telefonate erano tutte locali: tre al Jacopo’s di Beverly Hills per ordinare una pizza, due allo Shangai Garden , stessa località, per ordinare una cena cinese, una telefonata a testa a Neiman-Marcus e Saks.
Le ultime quattro telefonate erano a un centralino di Culver City. Corrispondeva alla Empty Nest. Petra chiamò e chiese di Darren. La receptionist chiese: «Darrell Breshear?»
«Sì.»
«Un momento, glielo passo.»
Breshear non aveva una segretaria in carne e ossa, solo una macchina. La sua voce era gradevole. Patsy K. aveva detto che era sulla quarantina, ma dalla voce sembrava giovane. Petra decise di non lasciare un messaggio e di riprovare più tardi. Poi fece eseguire un rapido controllo su Breshear alla banca dati centrale della polizia. Pulito. Rise tra sé perché non avevano mai controllato Ramsey.
Chiamò il catasto e dopo qualche schermaglia con un’impiegata scortese, apprese che H. Carter Ramsey era titolare di una decina di proprietà immobiliari a L.A., tutte nella Valley: la villa di Calabasas, immobili commerciali sul Ventura Boulevard e a Encino, Sherman Oaks, North Hollywood e Studio City. L’indirizzo di uno degli edifici di Studio City corrispondeva a quello che aveva lei per l’ufficio di Greg Balch alla Player’s Management.
Niente a Malibu o Santa Monica, niente che potesse passare per un nido d’amore. Ma forse quando Ramsey si allontanava dalla città, gli piaceva isolarsi. Vai a nord, ragazza, e se non funziona, prova le località di villeggiatura in montagna a est.
Al catasto di Ventura ottenne maggior collaborazione, ma nessun risultato. Con l’impiegato di Santa Barbara rasentò il battibecco, ma fece centro: H. Carter Ramsey (chissà per che cosa stava quell’H?) era proprietario di una casa a Montecito.
Trascrisse l’indirizzo e controllò Ramsey alla Motorizzazione.
Trovò il nome per esteso: Herbert.
Herb. Herbie C. Ramsey. Poco adatto per The Adjustor.
A lui erano intestate tutte le auto d’epoca che aveva visto nel suo piccolo museo più una Mercedes 500, con la targa personalizzata PLYR 1.
C’era inoltre una Jeep Wrangler di due anni. PLYR 0. Sulla registrazione appariva l’indirizzo di Montecito.
Player’s Management: PLYR. Il fatto che Ramsey ricorresse a targhe personalizzate era interessante. Di solito le celebrità aspiravano all’anonimato. Forse aveva la sensazione che la sua gloria fosse in declino, sentiva il bisogno di farsi pubblicità.
PLYR… un attacco di protagonismo?
Un’altra cosa: aveva accennato alla Mercedes ma non alla Jeep. Perché la teneva a Montecito o l’omissione era voluta?
Il veicolo del delitto era forse il fuoristrada e la Mercedes solo un diversivo?
Possibile che avesse una mente così tortuosa? Tortuosa, ma stupida, perché uno stratagemma come quello non avrebbe retto a lungo. Sapeva anche lui che avrebbero controllato quasi subito presso la Motorizzazione.
Ma se la ricostruzione fatta da Petra dell’ultimo appuntamento era verosimile, il delitto almeno fino a un certo punto era stato semimpulsivo, vale a dire fino all’istante in cui Ramsey, prima di montare in macchina, aveva preso un coltello. Dunque se aveva agito sotto la spinta di una collera sfrenata, ora brancolava nel tentativo di salvarsi.
Montecito… Una località in grande stile, tenute immense come a Calabasas, ma più antiche, più di classe. Niente intimo pied-à-terre per Ramsey, lui non poteva fare a meno dei grandi spazi. Signore di due manieri.
Tanto avido da essere patologicamente egoista? Se non posso averla io, non l’avrà nessuno?
Le tornò alla mente un Thomas Hart Benton riprodotto in un libro d’arte che era stato una sua passione da bambina. La ballata dell’amante geloso della Lone Green Valley. Uno scarno campagnolo con Stetson in testa e occhi da psicopatico pugnalava una donna al petto sulle meste note di alcuni musicisti country in un paesaggio verdeggiante le cui scoscese inclinazioni volevano evocare le vertigini della vittima. Le aveva provocato autentico terrore e per quel che ne sapeva aveva influenzato la sua opinione sugli uomini e l’amore, forse persino la scelta della carriera che aveva poi intrapreso.
L’amante geloso di Calabasas/Montecito.
Hollywood o no, nelle circostanze di quel delitto c’era probabilmente la replica di una storia antica come il mondo. Rifletté che se fosse rimasta alla squadra Omicidi, avrebbe passato il resto della vita collezionando i peggiori cliché.
Gli accordi erano che si sarebbe incontrata con Stu al Musso and Frank , ma alle due meno un quarto lui telefonò. «Scusa», le disse. «Ma sono bloccato. Ti dispiace?»
«Non c’è problema» gli rispose lei sollevata. «Niente di clamoroso?»
«Finora sono riuscito solo ad appurare che nessuno rispetta Ramsey come attore. E tu?»
Gli riferì della casa a Montecito e della Jeep, poi aggiunse: «E, sorpresa delle sorprese, abbiamo un caso simile». Gli illustrò i particolari dell’omicidio di Ilse Eggermann.
«Fantastico», commentò lui. «Phil Sorensen è bravo. Se non ha risolto il caso, è probabile che non sia risolvibile. Forse faremmo davvero bene a mollare tutto alla Centrale.»
Allora Petra fu certa che c’era qualcosa che non andava. Stu non aveva mai visto di buon occhio i funzionari della Centrale, li considerava palloni gonfiati, assai meno abili di quanto piacesse loro ritenersi. Perdere un caso importante era sempre una cocente sconfitta per un detective di una stazione decentrata che non avesse la vocazione dell’imboscato e non si poteva certo tacciare Stu di accidia. E adesso era disposto a lasciarsi mettere sotto da quelli della Centrale? Sacrificando anche lei?
Читать дальше