Poi la voce tetra dei commentatori nella descrizione della brutalità delle ferite inferte alla vittima, alla quale seguiva il portavoce del dipartimento, un fotogenico capitano di Parker Center che si chiamava Salmagundi, abile nel rispondere alle domande senza dare alcuna risposta.
Petra guardò il telegiornale seduta al tavolino nell’angolo della prima colazione, davanti a metà di un altro sandwich, sentendosi violentata.
Dopo la telefonata con il dottor Boehlinger aveva cercato di dipingere. Un paesaggio desertico al quale lavorava da mesi, strisce di terra di Siena e terra d’ombra sostenute da tracce di ocra rossa, palpiti di lavanda come sottintesi, lampi di nostalgia delle escursioni con suo padre. E mentre dava colpetti di pennello era certa che stesse funzionando.
Ma quando si era allontanata dalla tela aveva visto solo fango e quando aveva cercato di rimediare i suoi interventi erano stati goffi, come se a un tratto le si fossero intorpidite le mani.
Mentre lavava i pennelli, aveva acceso la televisione pensando di nuovo al dottor Boehlinger, alla madre che doveva ancora rincasare.
Chissà com’era perdere un figlio. Un figlio vero.
Chissà com’era avere un figlio, e quella riflessione aveva spalancato le porte dell’inferno sul ricordo delle sensazioni della gravidanza, quella sensazione quasi schiacciante di importanza.
A un tratto piangeva, fiotti di lacrime inarrestabili. Una reazione incontrollabile, se non per un angolo minuscolo del suo emisfero sinistro, che osservava e criticava: Che cosa diavolo ti ha preso?
Già, che cosa?
Solo dopo qualche rantolo era riuscita a dominarsi e si era asciugata rabbiosamente gli occhi con un fazzoletto di carta.
Dio, che spettacolo, che disgustoso patetismo! Il povero John Everett Boehlinger e sua moglie avevano perso un essere umano e tu stai lì a compiangerti come se la cosa espulsa dal tuo utero avesse anche solo una lontana sembianza umana.
Una pallottolina di polpa grossa come un acino d’uva in uno sciroppo di sangue.
Un grumo di sanguinolento potenziale, a galleggiare nell’acqua del water mentre lei in ginocchio si torceva nel dolore dei crampi e nei conati di vomito, provando per Nick odio abbastanza da desiderare di ucciderlo, per essere responsabile di quanto le stava accadendo.
Perché lo era, ne era certa. Lo stress, la gelida disapprovazione.
Averla piantata, il contrario preciso di quanto aveva promesso. Per aver saputo che lei era cresciuta senza una madre, che suo padre si stava consumando in un sanatorio di Tucson, che restare sola per lei sarebbe stato inferno autentico, mai e poi mai lui l’avrebbe abbandonata.
Forse era stato sincero quando aveva giurato.
Un uovo fecondato aveva il potere di cambiare ogni cosa.
Credevo che fossimo d’accordo, Petra! Prendevamo precauzioni, santo cielo!
Una sicurezza al novanta per cento non è il cento per cento, caro.
Allora perché non hai usato qualcosa di più affidabile?
Credevo che andasse bene… Stava chiedendo scusa? Davvero si stava scusando?
Splendido, Petra. Mandare a farsi fottere la tua vita e la mia così, per una svista. E tu saresti una donna istruita! Come hai potuto fare una cosa così stupida?
Sanguinolento potenziale. Dolori così spaventosi che le sembrava che la stessero squartando. Aveva appoggiato la guancia alla fredda porcellana del water, aveva fatto scorrere l’acqua, aveva ascoltato il gorgoglio che se lo portava via.
Sola, quasi incapace di reggersi in piedi, era montata in macchina per recarsi all’ospedale. Analisi, dilatazione e raschiamento, altri test, tre giorni in una cameretta di fianco a una donna che aveva appena dato alla luce il quarto figlio. Due maschi, due femmine, una girandola di parenti, cicciccì e tututù.
La cartolina di Nick era arrivata due settimane dopo. Tramonto su spiaggia. Santa Fe. Mi prendo un po’ di tempo per pensare. Non l’aveva più rivisto.
Lo squarcio apertosi nella coscienza di Petra si era ampliato, la zona di vuoto si era dilatata abbassando la sua soglia di immunità. Altri crampi, febbre, un’infezione, di nuovo in ospedale.
Controllo ambulatoriale. A gambe sollevate, spalancate, troppo provata per provare umiliazione.
La mesta solidarietà del dottor Franklin. Andiamo a parlare in ufficio. Disegni e fotografie.
Incapace di concentrarsi più di quanto lo fosse stata durante le tante, nebulose lezioni di igiene al collegio, aveva recitato la parte della finta tonta.
Che cosa mi sta dicendo? Sono sterile?
Franklin non era riuscito a continuare a guardarla negli occhi, aveva abbassato lo sguardo. Proprio come gli indiziati quando stanno per mentire.
Nessuno può dirlo con certezza, Petra. Oggi esistono molte procedure alternative.
Aveva buttato nel cesso la vita, aveva buttato nel cesso il suo matrimonio.
E aveva imboccato una carriera piena di morte. Usare il cordoglio altrui come monito costante sulla relativa pochezza delle proprie disgrazie le sarebbe stato di sostegno, giusto? In quel senso c’era da compiacersi dei più alti gradi di efferatezza, tanto peggio tanto meglio.
Allora perché diavolo stava piangendo? Erano anni che non piangeva.
Il caso in corso? Era appena iniziato, lei non aveva alcun rapporto con la vittima.
Poi aveva udito il nome di Lisa e i suoi occhi doloranti erano tornati allo schermo dove scorrevano le sequenze della vecchia registrazione. Si era sentita stupida per essersi sorpresa: come avrebbe potuto essere altrimenti? Ora milioni di persone guardavano quei sessanta secondi di registrazione che a lei e a Stu erano stati preclusi.
Aveva visto il telegiornale anche Stu? Sapeva che si coricava sempre di buon’ora, specialmente quando doveva recuperare qualche notte in bianco. In tal caso avrebbe voluto essere informato. Così pensava.
Telefonò alla sua abitazione di La Crescenta. Rispose Kathy Bishop, mogia.
«Ti ho svegliata? Scusa…»
«No, siamo in piedi, Petra. L’abbiamo visto anche noi. Ti passo Stu.»
Nemmeno un tentativo di scambio, eppure a Kathy piaceva chiacchierare. Diversa anche lei. Problemi coniugali? No, non era possibile, i Bishop erano il manifesto stesso della Solidità Matrimoniale, non mi deludere, Signore.
«Mi ha appena chiamato Schoelkopf», annunciò Stu. «Cito a memoria: ‘Evitiamo un altro letamaio alla O.J. Nel mio ufficio alle otto’.»
«Giusto per farti dormire sonni tranquilli.»
«Infatti. Com’è andata l’ambasciata?»
«Ho parlato al padre. Detesta Ramsey, da non poterlo vedere. È sicuro che sia stato lui.»
«Sulla base di qualche fatto?»
«Le botte. Dice che Lisa aveva paura di Ramsey.»
«Paura di che cosa da parte sua?»
«Non è stato esplicito.»
«Va bene. Ci vediamo alle otto.»
«Che cosa pensi della trasmissione in TV?»
Silenzio. «Immagino che possa tornarci utile. Ramsey diventa un indiziato di fatto e i pezzi grossi non vorranno fare la figura degli stupidi per averlo trascurato.»
«Non hai tutti i torti», commentò lei.
Silenzio.
«Va bene, non ti trattengo, ma c’è ancora una cosa. Boehlinger è direttore di un pronto soccorso, dev’essere uno abituato ad agire di testa propria. Sono sicuro che lui e sua moglie verranno giù al più presto. Lui odia Ramsey. Potrebbe decidere di passare alle vie di fatto.»
«Mmm», fece lui, come manifestando modesto interesse. Aveva reagito così anche al libro della biblioteca. Era lei a essere giù di forma? «Girala al capitano. Lui ha il cuore grande.»
Martedì, ore 07.57.
Edmund Schoelkopf sembrava più latino che teutonico, un cinquantenne basso che teneva alle apparenze, con labbra delicate, liquidi occhi neri, folti capelli di un corvino che poteva essere artificiale e che portava pettinati all’indietro a scoprire una fronte sfuggente e non molto alta. La sua pelle aveva il colore del pane integrale. Indossava copie di completi in doppiopetto di Armani e cravatte aggressive, che gli davano l’aria di un ex poliziotto passato ai servizi privati di guardie del corpo. Ma aveva trascorso ogni momento della sua vita lavorativa al dipartimento di Los Angeles e probabilmente non se ne sarebbe distaccato fino al giorno di andare in pensione.
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