Lacrime le scaturirono dal profondo della testa, le inondarono le palpebre chiuse, gliele gonfiarono, la costrinsero ad aprirle un po’ per lasciar defluire il pianto.
Quando lo fece si sorprese quasi di ritrovarsi nel trailer. Non era cambiato niente, vedeva un po’ offuscati i profili del cucinino, Motor seduto laggiù a rimpinzarsi, piatti sporchi, odore acido, acidi i piatti, acido il mondo.
Dov’era il suo ometto?
Il giorno dopo la sua scomparsa aveva avuto un incubo. Aveva visto un luogo scuro e umido, una stanza di torture, un pazzo che lo trovava in giro per gli aranceti, uno di quelli di cui si sente parlare, quelli che si aggirano nei pressi delle scuole e di altri posti a rapire bambini, a farci le loro cose da pazzi, affettarli. Si era svegliata tutta tremante e sudata, con il ventre che le ardeva come se avesse ingoiato fuoco.
Motor russava mentre lei guardava il sole schiarire la stoffa inchiodata sulla finestra del trailer. Troppo spaventata per muoversi. O pensare. Poi le era tornata alla mente la camera di tortura e le era venuto il voltastomaco. Era corsa in bagno a vomitare, cercando di farlo senza rumore, per non svegliare Motor.
Tutte le notti per una settimana si era svegliata da brutti sogni in un bagno di sudore.
Devastata da rimorso e paura, quell’orribile persona che era, la peggior madre del mondo, mai avrebbe dovuto diventare madre, mai avrebbe dovuto venire al mondo lei stessa per tutte le disgrazie e le brutture che aveva provocato nel mondo, meritava di essere sbattuta da dietro da un porco…
Gli incubi erano finiti quando aveva trovato che i soldi Tampax erano scomparsi e aveva capito che cos’era successo.
Una fuga. Un piano.
Aveva risparmiato per molto tempo, nascondendo il denaro a Motor e a tutti quelli prima di lui.
Per che cosa?
Giusto in caso.
In caso di che cosa?
Niente.
Meglio che i soldi li avesse presi Billy. Diciamocelo, lei non li avrebbe mai usati, non meritava di usarli, la peggior madre del mondo intero.
Forse non la peggiore, c’era sempre quella ragazza che aveva annegato i suoi due bambini nel lago, quella era peggiore di lei. E in TV ne aveva vista un’altra che si era buttata dalla cima di un palazzo tenendo il suo neonato tra le braccia. Eccone un’altra peggiore.
C’erano quelli che bruciavano i propri figli o li picchiavano, oh lo sapeva bene, lei, ma aveva poco da rallegrarsi se per trovare termini di confronto peggiori di sé doveva ricorrere a personaggi come quelli, giusto?
La verità era che le mancavano le attenuanti.
Per forza Billy aveva dovuto scappare.
Nessuna via di fuga per lei, lei non era abbastanza intelligente, non era abbastanza brava, come diceva sempre papà: qualcosa che manca, battendosi la testa con la mano.
Per dire che era stupida o mezzo matta.
Non era vero, però…
Pensava giusto quando non era fatta.
D’accordo, leggere le era difficile, non era certo forte con i numeri, ma sapeva pensare, questo sì. Lei stessa talvolta non capiva le cose che faceva, ma non era matta. Tutt’altro.
Meglio non pensare… ma dove poteva essere scappato Billy?
Così piccolo e magro.
C’era poco da meravigliarsi, da quel punto di vista, guarda da chi era venuto fuori!
Era ben strano com’era andata. Perché di solito a lei piacevano quelli grossi. Grossi come papà. Bisonti, come Motor e altri. Nomi e volti, quelli finivano dimenticati… tutti quei giocatori di football e quei lottatori, tutti grandi e grossi, tutti a farle quello che papà sospettava che facessero, papà che la picchiava sul sedere anche se non aveva nessuna prova.
Avrebbe voluto spiegarlo a papà: Non è fregola, è la sola occasione di avvicinarmi a gente con uno scopo.
Non si davano spiegazioni a papà.
Uno scopo… era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva pensato al futuro.
Troppi anni di cose andate storte.
Con una solitaria notte di dolcezza, il più bel bimbo del mondo, e quelle suore erano burbere ma erano state buone con lei, aveva sentito il loro affetto anche se sapeva che avrebbero voluto che rinunciasse a Billy.
Nemmeno a parlarne, Billy era suo e suo restava.
Mandò giù come una caramellina il ricordo del faccino tondo di Billy appena nato. Aveva diritto a uno zuccherino anche lei, no?
Quella notte, quella notte di…
Quanto più giovane, quanto più bella, più snella, sdraiata nel frutteto dopo mezzanotte. Scelta sua di stare soia… forse è da lì che aveva preso Billy!
Forse erano uguali almeno in una cosa!
Si ritrovò a sorridere ricordando quella notte, quella volta in cui aveva veramente sentito qualcosa. Il calore tra le gambe, un calore che le si era diffuso in tutto il corpo, la durezza del terreno che non le faceva alcun male alla schiena.
Gli aranci verdi come vetro di bottiglia, nella luce della luna, innevati di fiori perché era stagione, tutto il frutteto fragrante di quel profumo cremoso e dolce, un cielo splendido, scuro con un alone di bella luce sopra di lei perché la luna era grande e gonfia e dorata e gocciolava luce, come una frittella grondante di burro.
Lei sdraiata là sotto, dopo che lui l’aveva baciata e le aveva detto scusami, devo andare, e lei aveva ancora la gonna sollevata, un’onda di gonna.
Poi una vibrazione, forte, vicina, mentre un inseguirsi veloce di nuvole nascondeva la luna.
Cicale, a milioni, dappertutto nell’aranceto.
Aveva sentito storie sulle cicale ma non le aveva mai viste.
Nemmeno dopo.
Quella volta sì, quell’unica volta.
Forse era stato un sogno, forse tutta quella notte era un sogno…
Insetti enormi come quelli avrebbero dovuto spaventarla.
Due volte più grossi delle luccicanti, nere api selvatiche che la terrorizzavano quando schizzavano fuori dal nulla.
Le cicale erano ancora più rumorose, una miriade, avrebbe dovuto sentirsi paralizzare dalla paura.
Invece no, distesa sulla schiena, sentendosi dolce e femmina, sentendosi come un secchio di polline e miele, aveva guardato le cicale posarsi sui filari di aranci, uno dopo l’altro, riempiendo tutto il frutteto, come pieghe di una coperta grigio marrone.
Che cosa stavano facendo? Mangiavano i fiori? Rosicchiavano le minuscole arance verdi, che erano aspre e dure come legno?
Invece all’improvviso se n’erano andate, erano sfrecciate nel cielo ed erano scomparse come una tromba d’aria dei cartoni animati e gli alberi erano ridiventati quelli di sempre.
La notte delle cicale.
Magica, quasi come se non fosse mai stata.
Invece c’era stata. Lei ne aveva la prova.
Dov’era Billy?
Lisa, troia cocainomane.
Balla con me e vedi che cosa succede.
Balla intorno a me e vedi che cosa succede.
Oh, la gioia.
Ode alla gioia… non era Bach?
Odiava Bach. In ospedale dove avevano portato sua madre quando aveva dovuto mettersi un casco da football suonavano Bach e altre stronzate classiche.
Per dare sollievo ai pazienti.
Pazienti. Carcerati piuttosto.
Lisa aveva cercato di farlo ammattire.
Aveva cercato di condurre.
Oh, quell’espressione sul suo viso… balla con me, cara.
La registrazione del caso di violenza coniugale andò in onda durante tutti i notiziari delle undici: Lisa e Cart Ramsey, invidiabili e abbronzati, immersi in un ribollire di Jacuzzi, sul green di casa a imbucare palline, in sella a cavalli di razza a esibirsi in un numero alla Roy Rogers-Dale Evans, occupati in pudiche effusioni a uso del paparazzo di turno. Lisa nei panni di reginetta di bellezza e di sposa affascinante, inframmezzata da brevi sequenze in cui appariva in primo piano il suo volto dopo il pestaggio.
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