Le cinque e mezzo; ora avrebbe dovuto riprovare i Boehlinger.
Perché non l’aveva lasciato fare a Stu? La buona samaritana! Non che lui avesse mostrato molta gratitudine.
A rigor di logica avrebbe dovuto tornare alla stazione di Hollywood e usare un telefono del dipartimento per una chiamata di servizio, ma proprio non se la sentiva di rivedere l’ufficio e si recò direttamente alla sua abitazione in Detroit Avenue, appena a est di Park La Brea.
Abbandonò la giacca su una sedia e in quel momento si accorse di avere una gran voglia di bere qualcosa di fresco. Tentò invece subito il numero di casa dei Boehlinger. A quell’ora a Cleveland era sera. Segnale di linea occupata. Sperò di non essere stata preceduta da qualcun altro.
Prese dal frigorifero una lattina di analcolico gassato, si sbarazzò delle scarpe e si sedette a bere al tavolo dell’angolo-pranzo. Quando si mise a pensare alla cena, scoprì di non avere appetito. Le echeggiò nella mente la voce di suo padre che la esortava con dolcezza: Nutrimento, piccola. Bisogna mantenere quegli aminoacidi belli sazi e vigorosi.
L’aveva cresciuta lui, aveva il diritto di comportarsi da madre. Quando pensava alla sua morte sporca e crudele, provava un dolore lancinante. Scacciò in fretta l’immagine del padre dalla mente e il vuoto che ne risultò non era meno orribile.
Nutrizione… cacciar giù un sandwich. Salame rinsecchito su mezza ciabatta rafferma, senape e maionese, qualcosa di verde, sottaceti kosher, per andare sul sicuro, con il benestare dell’Antisofisticazioni.
Preparatosi un piatto, lo abbandonò al suo destino e provò a telefonare per la terza volta. Ancora occupato. Possibile che la notizia avesse raggiunto gli organi d’informazione così in fretta?
Accese il televisore e saltò da un canale all’altro. Niente. La radio, preselezionata sulla KKGO, le propose una sinfonia mentre sbocconcellava il sandwich raffermo.
Anche lei aveva la sua piccola abitazione che teneva in ordine. Per metà dell’affitto che pagava Lisa. All’inizio, con Nick, era vissuta in un appartamento di West L.A., ma dopo l’impulsivo matrimonio a Las Vegas, si erano trasferiti in un’abitazione molto più grande, uno studio su due piani in Fountain, vicino a La Cienega, finestre artistiche, pavimenti in parquet, cortile con fontana, squisita architettura spagnolesca. C’era spazio più che sufficiente per due persone che lavoravano in casa. Nick sosteneva di aver bisogno di spazio per sgranchirsi e aveva rivendicato la camera da letto padronale come posto di lavoro.
Non l’avevano mai arredato, erano vissuti in mezzo a scatoloni e casse, avevano dormito su un materasso nella stanza più piccola. Il cavalletto e i colori di Petra erano finiti da basso, nel tinello per la prima colazione. Esposizione a est. Chiudeva le tende per arginare la luce eccessiva del mattino. Ora il cavalletto era in soggiorno e ancora era quasi totalmente priva di mobili. Perché farsene un problema, quando era a casa raramente se non per dormire e non riceveva visite?
L’appartamento in cui viveva era appena a sud della Sesta Strada, una simpatica vecchia costruzione con i muri spessi, i soffitti alti, modanature, pavimenti in quercia incerata, moderato tasso di criminalità nel quartiere. A ottocento dollari al mese era un affare accordatole dalla proprietaria, un’immigrata taiwanese di nome Mary Sun felice di avere per inquilino un poliziotto. Le aveva confidato: «Questa città, tutti questi neri, brutta storia».
Museum Row era a pochi minuti a piedi e altrettanto facilmente raggiungibili erano le gallerie di La Brea, anche se Petra ancora non ne aveva visitata una.
Quando aveva la domenica libera, cercava sul giornale aste, mercatini delle pulci, mostre d’antiquariato. Anche svendite nei box di casa, quando erano in quartieri dignitosi.
Era raro che trovasse qualcosa. La gente in generale è propensa a credere che le sue immondizie siano tesori e comunque lei era più una spigolatrice che un’acquirente. Ma i pochi oggetti che aveva comperato erano di valore.
Un’elegante testiera in ferro, probabilmente francese, con una patina che non poteva essere falsa. Due comodini di betulla con stampinature floreali e ripiani in marmo giallo. L’anziana signora con cui aveva mercanteggiato aveva sostenuto che fossero inglesi, ma Petra sapeva che erano svedesi.
Vecchie bottiglie che conservava sul davanzale della finestra in cucina, la statua di bronzo di un bambino con un piccolo cane, anch’essa di origine francese.
Nient’altro.
Trasferì il suo sandwich sul piano di lavoro in cucina. Le piastrelle erano vecchie e qua e là screpolate. La cucina a Fountain aveva i piani di lavoro in granito blu.
Freddi.
Nick aveva due modi per fare l’amore. Il Piano A era dirle quanto l’amava, accarezzarla dolcemente, talvolta troppo dolcemente, ma lei non protestava mai, anche perché prima o poi arrivava a esercitare la pressione giusta. Le baciava il collo, gli occhi, la punta delle dita, mentre proseguiva nel suo sottofondo romantico, quant’era bella, che donna speciale, che privilegio per lui essere dentro di lei.
Il Piano B era issarla sul granito blu, sollevarle la sottana, sfilarle gli slip mentre contemporaneamente chissà come riusciva ad aprirsi la patta, posarle le mani sulle spalle e piombarle dentro come un attacco alla trincea nemica.
All’inizio la eccitavano ugualmente A e B.
In seguito aveva perso il gusto del B.
In seguito lui aveva preteso solo il B.
Tutt’a un tratto vide il salame, il pane, senape e maionese come reperti. Spinse via il piatto, sollevò il ricevitore.
Questa volta le rispose una voce maschile: mezza età, colto.
«Dottor Boehlinger.»
Distaccato ma calmo. Dunque non sapevano ancora.
Il cuore di Petra correva; informare la madre sarebbe stato peggio?
«Dottore, sono il detective Connor del dipartimento di Polizia di Los…»
«Lisa.»
«Scusi?»
«È per Lisa, vero?»
«Temo di sì, dottore. È…»
«Morta?»
«Purtroppo, dottore…»
«Maledizione, maledizione, maledizione! Quel bastardo, quel lurido bastardo, quel bastardo!»
«Ma chi…»
«Lui, no? Quella spazzatura d’uomo che aveva sposato! Ce l’aveva detto! Ci aveva detto che se le fosse successo qualcosa, sarebbe stato lui! Oh Dio, la mia bambina! Oh, Gesù! No, no, no!»
«Sono deso…»
«L’ammazzo. Io l’ammazzo, quel bastardo! Oh Gesù, no, la mia bambina, la mia povera bambina!»
«Dottore», disse lei, ma non riuscì a fermarlo. Lui continuò a gridare e inveire e giurare vendetta in una voce la cui inflessione riusciva a rimanere incredibilmente quella di una persona colta.
Finalmente restò senza fiato.
«Dottor Boeh…»
«Mia moglie», sbottò lui, costernato. «Questa sera è fuori, è andata a quella dannata riunione degli ausiliari ospedalieri. Di solito capita a me di essere fuori, lei è sempre a casa. Lo sapevo! Lisa aveva paura di lui, io lo sapevo, ma mai avrei pensato che finisse così!»
Silenzio.
«Dottor Boehlinger?»
Nessuna risposta.
«Dottore? Sta bene?»
Altro silenzio, poi un «Cosa?» esile, strozzato e Petra capì che aveva pianto, stava cercando di mascherarlo.
«Cosa?» ripeté lui.
«So che è un momento terribile, dottore, ma se potessimo parlare per un…»
«Sì, sì, parliamo. Almeno finché non torna a casa mia moglie. Poi… Gesù… Che ore sono? Le undici meno venti. Anch’io sono appena tornato. Tutto il giorno a salvare la vita a un branco di imbecilli mentre la mia piccola…»
Petra trasalì assordata all’improvviso da un terribile scoppio di risa. Cercò qualcosa con cui tenerlo agganciato. «Lei è chirurgo, dottore?» gli chiese.
«Al pronto soccorso. Dirigo il pronto soccorso al Washington University Hospital. Come l’ha fatto?»
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