Jonathan Kellerman - Solo nella notte

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Solo nella notte: краткое содержание, описание и аннотация

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Una e un quarto di notte. Petra Connor, l’affascinante detective della squadra Omicidi di Los Angeles, è svegliata da una telefonata del distretto di polizia: strage al Paradiso Club. Quattro morti. Adolescenti che avevano partecipato a un concerto hip-hop. Perché quell’orrendo massacro? Oltre al gravoso incarico di decifrare il rebus, Petra deve fare da baby sitter al ventiduenne dottorando Isaac Gomez, impegnato in una ricerca statistica sui crimini avvenuti in città dal 1991 al 2001. Il suo Q.I. è superiore alla media, come la sua timidezza e la miseria in cui versa la sua famiglia. E se fosse proprio il giovane e impacciato cervellone a fornire la chiave dell’enigma? Incrociando i dati risultano infatti sei efferati delitti commessi negli ultimi sei anni, tutti subito dopo la mezzanotte. E tutti il 28 giugno. L’assassino sembra divertirsi un mondo a fracassare il cranio delle vittime osservandone colare la materia grigia. Quale disegno segue la follia? E quale legame con la carneficina del Paradiso?

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Sul cartone c’è la faccia di un bambino, un bambino nero che si chiama Rudolfo Hawkins, che è stato rapito cinque anni fa. Nella foto ha sei anni e indossa una camicia bianca con la cravatta e sorride. Gliel’avranno scattata al compleanno o in qualche altra occasione speciale.

C’è scritto che è stato rapito da suo padre a Compton, in California, ma che potrebbe essere a Scranton, in Pennsylvania, o a Detroit, nel Michigan. All’inizio mi capitava di stare a guardare la sua faccia chiedendomi che fine può aver fatto. Dopo cinque anni probabilmente si è sistemato… almeno era stato suo padre e non qualche maniaco.

Forse è di nuovo a Compton con sua madre.

Ho pensato a mamma che mi cerca e non è che riesco proprio a convincermi che lo stia facendo.

Quand’ero piccolo, cinque o sei anni, mi diceva sempre che mi voleva bene, che facevamo coppia, io e lei, due contro il mondo schifoso. Poi si è messa a bere e a farsi più spesso e a pensare sempre meno a me. Quando Moron è venuto a stare da noi, io sono diventato invisibile.

Allora perché dovrebbe cercarmi?

Anche se volesse, non saprebbe da che parte cominciare perché non è mai andata a scuola.

Moron sarebbe un problema. Direbbe cose come: «E che vada a farsi fottere quella caccola, Sharia. A lui non gliene fregava un cazzo, allora che si fotta. E passami quelle noccioline».

Ma anche senza Moron, non riesco a pensare a come si sente mamma. Magari è triste perché me ne sono andato, magari è arrabbiata.

O magari è più contenta. Non aveva avuto il desiderio di avermi. Ha cercato, penso, di tirar fuori il meglio che poteva da quel che aveva.

So che si è presa cura di me all’inizio perché ho visto le foto di quand’ero molto piccolo che lei tiene in una busta in un cassetto della cucina e nelle foto sono sano e felice. Lo siamo tutti e due. Sono foto di Natale, c’è un albero pieno di lucine e lei mi tiene in alto come un trofeo, con un grande sorriso sulle labbra. Come a dire, ehi, guardate che cos’ho ricevuto io per Natale!

Il mio compleanno è il 10 agosto, dunque in quelle foto avevo quattro mesi e mezzo. Ho un orribile faccione grasso con le guance rosa e niente capelli in testa. Mamma è pallida e magra e mi ha messo addosso uno stupido vestito da marinaretto. Un sorriso così beato non gliel’ho mai visto in faccia, dunque un po’ della sua felicità doveva essere per me, almeno in principio.

Visto che i suoi genitori erano morti in un incidente di macchina prima che io nascessi, che cos’altro avrebbe potuto farla sorridere così?

Sul dorso delle foto ci sono degli adesivi di Good Shepherd Sanctuary, Modesto, California. Le ho chiesto che cos’era e lei mi ha detto che era un posto cattolico e anche se noi non siamo cattolici, quando io ero appena nato ci siamo vissuti. Quando ho cercato di saperne di più, lei ha messo via le foto e ha detto che non era importante.

Quella notte ha pianto per molto tempo e io ho letto il mio libro di Jacques Cousteau per non sentirla.

Dovevo averla resa felice a quei tempi.

Adesso basta con queste sciocchezze, è ora di srotolare la plastica del Posto Due, ecco qui, spazzolino da denti e Colgate, campioni gratuiti che ho preso da una cassetta per le lettere senza nome, c’era giusto scritto RESIDENTE, dunque non appartenevano in realtà a nessuno. Un altro paio di mutande prese da un bidone per le immondizie dietro a una delle case enormi in fondo al parco, un mazzetto di bustine di ketchup, senape e maionese, prese dai ristoranti. I miei libri…

Solo uno. Algebra.

Dov’è il libro dei presidenti che ho preso in biblioteca? Dev’essere da qualche parte nella plastica, ho usato tre strati… no, non è qui. Possibile che è caduto quando ho aperto il pacco? No. Forse mi è scivolato qui vicino…

Mi alzo, cerco.

Niente.

Torno sui miei passi per un tratto.

Niente libro dei presidenti.

Dev’essermi cascato nel buio.

Oh no. Merda. Avevo intenzione di restituirlo.

Adesso sono un ladro.

12

Stu lasciò Petra dietro la stazione di polizia e ripartì.

Quando fu alla scrivania, Petra si accorse di essersi dimenticata di farsi dare da Ramsey il numero dei Boehlinger. Tutta colpa dell’averlo dovuto trattare con i guanti. Chiamò il servizio informazioni di Cleveland. Inaspettatamente, il dottor John Everett Boehlinger era sull’elenco con il numero di casa e quello del Washington University Hospital. Forse a Chagrin Falls la popolazione era meno paranoica.

Compose il numero dell’abitazione e ascoltò una voce femminile registrata.

Dato il fuso orario, nell’Ohio era pomeriggio. Possibile che la signora Boehlinger fosse fuori a fare la spesa. E Petra aveva in serbo per lei una gran bella sorpresa. S’immaginò la madre di Lisa che scoppiava in un grido e poi in singhiozzi, magari per essere sopraffatta dalla nausea.

Ricordò il cordoglio mostrato da Ramsey, i suoi occhi asciutti. Attore di scarso talento, incapace di produrre lacrime?

Udì il segnale acustico della segreteria di casa Boehlinger, ma non le parve il caso di lasciare un messaggio. Riappese e provò in ospedale. L’ufficio del dottor Boehlinger era chiuso e il cercapersone non diede risposta.

Non provando alcun sollievo per aver solo rimandato un incarico gravoso, chiamò la compagnia dei telefoni e passò attraverso un paio di capi servizio prima di trovare una persona disposta ad andarle incontro. Per avere un anno intero di traffico telefonico intestato a Lisa era necessario un iter burocratico che avrebbe richiesto molto tempo, ma la donna con cui parlò le promise di inviarle via fax l’ultima fattura appena l’avesse trovata. Petra la ringraziò e partì alla volta di Doheny Drive, pronta ad affrontare la domestica di Lisa, quella Patsy Diosolosacomesichiama.

Il Sunset era bloccato, così prese la Cahuenga in direzione sud fino al Beverly Boulevard, riuscendo ad aggirare l’ingorgo. Mentre guidava si dedicò a uno dei suoi giochi preferiti, la composizione di un identikit mentale della cameriera thailandese: giovane, minuta, graziosa, un inglese peggio che approssimativo. Seduta in un’altra stanza color fiordilatte, terrorizzata da tutti i poliziotti che la sorvegliavano, forti e muti come mastini.

Il palazzo era alto dieci piani, a forma di boomerang. L’atrio era piccolo, quattro mura di vetro striato d’oro, qualche pianta e sedie finto Luigi XIV. Era piantonato da un giovane iraniano dall’aria nervosa in blazer blu, con una targhetta che lo identificava come A. RAMZISADEH. Gli teneva compagnia un agente con la divisa di West L.A. Petra mostrò il distintivo e ispezionò i due monitor del sistema a circuito chiuso che c’erano sulla scrivania. Piani sequenza in bianco e nero di corridoi, nessun movimento. Le immagini cambiavano a intervalli di pochi secondi.

Il custode le strinse la mano con scarsa energia. «Terribile. Povera signorina Boehlinger. Non sarebbe mai successo qui.»

Petra fece un gesto di solidarietà. «Quando l’ha vista l’ultima volta?»

«Ieri, mi pare. Quand’è tornata a casa dal lavoro, alle sei del pomeriggio.»

«Oggi no?»

«No, spiacente.»

«Come ha potuto uscire senza che lei la vedesse?»

«Ci sono due ascensori per ogni piano. Uno sul davanti, uno sul retro. Quello dietro porta alla rimessa.»

«Nel sotterraneo?»

«La maggior parte degli inquilini chiamano l’ingresso per farsi portare la macchina davanti.»

«Ma la signora Boehlinger non lo faceva.»

«No, lei scendeva direttamente a prendere la macchina.»

Petra batté l’indice su uno dei monitor. «Il sistema a circuito chiuso controlla anche il sotterraneo?»

«Certo, guardi.» Ramzisadeh le mostrò una lenta perlustrazione in bianco e nero di una serie di automobili parcheggiate. Spazi vuoti e tenebrosi, scintillii di radiatori e paraurti.

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