Fredric Brown - La statua che urla
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- Название:La statua che urla
- Автор:
- Издательство:Longanesi
- Жанр:
- Год:1953
- Город:Milano
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— D’accordo, Sweeney. Se succede qualcosa, ci vai. E, senti, che vada o no, è un bel pezzo e un bel colpo.
— Grazie. E grazie di mandarmi all’inferno e di avermi tenuto il posto, mentre ero…
— Questo colpo d’oggi cancella tutto. Sai, Sweeney, oggi ci sono ben pochi cronisti che sappiano il loro mestiere. Mentre tu…
— Basta — interruppe Sweeney — se no fra poco piangeremo insieme di commozione dentro i nostri bicchieri e non ne abbiamo a disposizione, qui.
Prese con sé una copia del giornale dalla scrivania di Wally, per non doverne cercare un’altra o aspettarla in strada, e se ne andò a casa. Chiamò un taxi, in parte perché era ancora in possesso di molto più denaro di quanto gliene occorresse, in parte perché si sentiva improvvisamente preso da una stanchezza invincibile. Forse era la reazione, ma soprattutto era perché, per il momento, non c’era nulla di sensato da fare, tranne che aspettare.
La rivelazione della statuetta avrebbe potuto condurre alla cattura dello Squartatore oppure no. Se sì, sarebbe accaduto nel pomeriggio o nella notte. Se no, pazienza. L’indomani mattina alle nove sarebbe tornato al lavoro e non credeva che Wally lo avrebbe ancora tenuto fuori dal caso dello Squartatore. Avrebbe dovuto dimenticare la statuetta e cercare da un’altra parte. Forse andando in giro, a indagare con maggior insistenza dove aveva già indagato.
A casa si sistemò comodamente e rilesse tutto l’articolo, con attenzione e calma. Wally lo aveva completato con brevi resoconti degli altri tre assassinii (la storia della statuetta riguardava in particolare soltanto Lola Brent che l’aveva venduta allo Squartatore), ma non aveva cambiato una parola del pezzo di Sweeney.
Questa volta lesse anche il seguito dell’articolo in un’altra pagina, poi ripiegò il giornale e lo pose in cima al mucchio degli altri che narravano le imprese dello Squartatore.
Si abbandonò cercando di rilassarsi completamente, ma gli era impossibile. Accese il giradischi che appariva nudo senza la statuetta nuda, e suonò la Quarta sinfonia di Brahms. Lo confortò un poco, ma non riuscì a concentrarvisi.
Alle due aveva fame, ma non volendo correre il rischio di perdere una possibile telefonata, scese dalla signora Randall a chiederle un panino col prosciutto. Aveva deciso però di non pensare più al telefono. In quel momento l’apparecchio suonò e Sweeney quasi si strangolò col boccone di sandwich che aveva appena addentato e quasi rotolò per le scale, precipitandosi a rispondere. Ma la chiamata era per un altro pensionante.
Ridiscese al pianterreno a finire il panino, poi tornò in camera. Mise sul giradischi i dischi di De Falla e, ascoltandoli, tentò di leggere le novelle brevi di una raccolta di Damon Runyon. Ma non arrivava né ad ascoltare né a leggere bene.
Il telefono squillò. Ci arrivò in un istante, sbattendo la porta della stanza, per non udire il suono del giradischi, impiegando così un secondo meno di quanto sarebbe occorso fermandosi a chiudere l’apparecchio.
Era Wally. — Salute, Sweeney. Va’ in State Street. L’indirizzo lo sai.
— Che cosa c’è?
— Hanno preso lo Squartatore. Stammi a sentire, noi abbiamo la notizia e un comunicato ufficiale nell’ultima edizione che va in macchina adesso, e non possiamo fermarla per i particolari. Abbiamo il succo, ma non tutta la storia, quella la metteremo domani. È un avvenimento della sera: noi battiamo quelli della mattina con il comunicato e la notizia, ma loro ci batteranno con i particolari. Comunque, ormai non c’è fretta. Va’ là e raccogli tutti i dati. Ma scriviti poi il pezzo con calma, quando vieni qua domani.
— Ma che cos’è successo, Wally? Ha attaccato un’altra volta la Lang? Lei sta bene?
— Pare di sì. Sì, ha provato un’altra volta e il cane l’ha preso, come era quasi riuscito la volta scorsa, quando invece lui ha sbattuto la porta…
— So benissimo com’è andata l’altra volta. Ti domando cosa è successo oggi.
— Ma te l’ho detto, maledizione. Lo hanno preso. È ancora vivo, ma non credo che durerà molto. L’han portato all’ospedale, ma non ci perdere tempo: non ti lascerebbero parlare. È caduto dalla finestra. Al posto della ragazza, credo. Buon lavoro, Sweeney. La tua storia ha avuto un bel successo: non solo aveva la statuetta, ma l’aveva con sé.
— Chi? Voglio dire, sapete il nome?
— Il nome? Naturale che sappiamo il nome. È Greene, James J. Greene. L’ispettore Bline ha detto che lo aveva sempre sospettato. E adesso smetti di interrogare me. Va’ là.
Il colpo del ricevitore che Wally riattaccava rimbombò nell’orecchio di Sweeney, ma per lungo tempo egli rimase immobile a fissare il nero apparecchio silenzioso, prima di deporre a sua volta il microfono.
XVIII
In certo modo era incredibile: ci aveva pensato per tutto quel tempo, eppure era difficile accettarlo come una realtà. Per una cosa, una cosa sola non riusciva a immanginare Doc Greene morto. Ma Horlick, che si trovava già sul posto all’arrivo di Sweeney, gli aveva detto che era proprio moribondo.
— Sì — aveva detto — Bline ha avuto una telefonata dall’ospedale; ha mandato due dei suoi uomini da Greene per ottenerne una confessione completa e firmata, ma credo che non ci siano riusciti e che in ogni caso non avrebbe potuto firmare dato che, fra le altre cose, ha tutt’e due le braccia spezzate. E a quanto ho sentito, non era neanche in sé. Io sono arrivato qui prima che lo portassero via.
— Come mai così in fretta?
— Pura fortuna. Ero già in strada per venire qui: Wally mi aveva mandato a intervistare Iolanda Lang e a chiederle se non aveva mai visto la statuetta. Se non l’aveva vista, com’era probabile, avrei dovuto comunque imbastire un pezzo per le ultime edizioni domandandole le sue impressioni davanti alla fotografia e se questa poteva essere una rappresentazione dei suoi sentimenti quando lo Squartatore l’aveva aggredita. Così sono arrivato qui press’a poco insieme all’ambulanza della polizia.
— E Iolanda non è più in casa?
— No, è scappata col cane subito dopo la faccenda. Un altro choc o lo spavento: è probabile che si trovi in un posto qualsiasi in preda a un attacco isterico. Io vado al giornale con il materiale che ho. Tu va’ su a vedere se puoi scoprire qualcos’altro che ti serva. Ci troverai Bline.
Se ne andò per State Street mentre Sweeney si apriva un passaggio tra la folla raccolta dinanzi all’ingresso, quello stesso nel quale Sweeney poche notti prima aveva scorto una donna e un cane. Questa volta la folla era più numerosa, benché oltre i vetri dell’atrio non vi fosse nulla di interessante. Sweeney, grazie alla sua tessera di giornalista, riuscì a oltrepassare il poliziotto di guardia alla porta e corse fino al terzo piano.
L’appartamento di Iolanda Lang, dei quattro componenti il terzo piano, era quello rivolto a settentrione. Era inutile cercare il numero sulla porta, dato che era spalancata e le stanze rigurgitavano di poliziotti. Almeno così sembrava: quando Sweeney entrò, vide che in realtà ce n’erano soltanto due oltre a Bline.
Bline gli si avvicinò. — Se non fossi tanto felice, Sweeney, vi tirerei il collo. Da quanto tempo possedevate quella dannata statuetta?
— Non ricordo con precisione, capo.
— È quel che dico io. Però… comunque, ormai abbiamo preso lo Squartatore e senza neppure un altro delitto, anche se deve esserci arrivato molto vicino. Perciò vi perdono tutto e sono pronto anche a offrirvi da bere. Credo di aver finito qui; lascerò soltanto uno dei ragazzi ad aspettare la Lang per essere sicuro che stia bene.
— Potrebbe anche star male?
— Fisicamente, certo no. Non è riuscito a toccarla con il coltello, perché il cane gli è saltato addosso prima. Ma mentalmente è probabile che sia in una condizione molto peggiore dell’altra volta. E, perdio, la capisco.
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