«Fantastico», disse Chris che, seduto in un angolo, succhiava con grande soddisfazione una caramella. Nonostante in casa facesse caldo, Chris indossava ancora la sua giacca, come Laura del resto, che voleva essere pronta a uscire rapidamente in caso di necessità.
«È in coma?» chiese Laura al dottore.
«Sì, è in stato comatoso. Ma non a causa della febbre associata a una brutta infezione della ferita. Troppo presto per questo. E ora che è stato curato, probabilmente non ci sarà un’infezione. È un coma traumatico dovuto al fatto che è stato colpito, alla perdita di sangue, allo choc e a tutto il resto. Non avrebbe dovuto essere mosso, lo sa?»
«Non avevo altra scelta. Se la caverà?»
«Probabilmente sì. In questo caso il coma è una difesa che il corpo mette in atto, nel senso che si chiude per conservare l’energia e facilitare la guarigione. Non ha perso molto sangue; il polso è buono, perciò probabilmente questo stato non durerà a lungo. A giudicare dagli abiti, si sarebbe detto che si fosse quasi dissanguato, ma non è così. Deve aver passato dei brutti momenti. Nessun vaso sanguigno però è stato rotto, altrimenti le sue condizioni sarebbero state molto peggiori. Rimane il fatto che dovrebbe essere in ospedale.»
«Di questo abbiamo già parlato», replicò Laura spazientita. «Non possiamo andare in un ospedale.»
«Quale banca avete rapinato?» domandò il dottore in tono di scherno, ma i suoi occhi non erano maliziosi come quando aveva detto le altre battute.
Mentre attendeva che le radiografie si sviluppassero, pulì la ferita, la disinfettò con tintura di iodio, la cosparse di un antibiotico in polvere e preparò una benda. Poi, da un armadietto prese un ago, un altro strumento che Laura non riuscì a identificare e uno spago e li depose su un vassoio in acciaio inossidabile a lato del lettino. Il ferito giaceva lì, coricato sul lato destro con l’aiuto di diversi cuscini.
«Che cosa sta facendo?» chiese Laura.
«I fori provocati dal proiettile sono troppo grandi, soprattutto quello da dove è uscito. Se continua a mettere a repentaglio la sua vita impedendogli di andare in un ospedale, l’unica cosa che posso fare è dargli qualche punto.»
«D’accordo, ma faccia presto.»
«Si aspetta che da un momento all’altro gli agenti federali buttino giù la porta?»
«Molto peggio, dottore», disse Laura. «Mille volte peggio di questo.»
Da quando erano arrivati a casa del dottore, Laura si era aspettata di vedere all’improvviso il cielo squarciato dai lampi e i tuoni rimbombare come se giganteschi zoccoli di cavalieri apocalittici preannunciassero l’arrivo di viaggiatori del tempo ben armati. Quindici minuti prima, mentre il medico stava facendo le radiografie al suo Custode, a Laura era parso di sentire un tuono così distante che era appena udibile. Era corsa alla finestra più vicina per scrutare il cielo alla ricerca di un lampo lontano, ma non aveva visto nulla attraverso gli alberi, forse perché il cielo sopra San Bernardino era già avvolto dal bagliore rossastro delle luci della città o forse perché non c’era stato nessun tuono. Alla fine si convinse che si era trattato di un aereo e che, presa dal panico, lo aveva scambiato per un tuono.
Brenkshaw suturò la ferita, tagliò lo spago e fissò la fasciatura con dei grossi cerotti che avvolse ripetutamente attorno al petto e alla schiena di Stefan.
Nell’aria aleggiava un odore pungente di medicinali che nauseò leggermente Laura, ma che invece non infastidì affatto Chris. Sedeva in un angolo, succhiando un’altra caramella.
Mentre attendeva che fossero pronte le radiografie, Brenkshaw gli fece una iniezione di penicillina. Poi si diresse verso gli alti armadietti bianchi di metallo in fondo alla parete e da un grande vaso estrasse delle capsule che infilò in una boccetta, poi da un secondo recipiente ne estrasse altre che inserì in una seconda bottiglietta. «Qui tengo dei medicinali di base che vendo ai pazienti a prezzo di costo, così non devono ridursi al verde andando in farmacia.»
«Che cosa sono?» chiese Laura quando Brenkshaw ritornò vicino al lettino e le porse le due boccette. «In questa c’è penicillina, tre volte al giorno, ai pasti, se può mangiare. Io credo che si riprenderà presto. In caso contrario comincerà a disidratarsi e avrà bisogno di flebo. Non posso dargli nulla di liquido per bocca ora che è in coma, lo sputerebbe. Questo invece è un analgesico. Solo se è necessario, e non più di due al giorno.»
«Me ne dia di più. Anzi, mi dia tutte quelle che ha.» E indicò i due vasi che contenevano centinaia di capsule.
«Ma non avrà bisogno di tutte queste medicine, né di un tipo né dell’altro…»
«No, certo che no», replicò Laura. «Ma non so in quali altri guai potremmo finire. Potremmo aver bisogno sia di penicillina sia di analgesici. Per me o… per il mio bambino.»
Brenkshaw la fissò per un lungo momento. «Ma santo Dio, in che diavolo di situazione si è cacciata? C’è qualcosa di simile in uno dei suoi libri.»
«Mi dia…» Laura tacque, colpita da quanto aveva udito. «Qualcosa di simile in uno dei miei libri? In uno dei miei libri! Oh mio Dio, ma lei sa chi sono!»
«Ma certo. L’ho riconosciuta subito, quando l’ho vista sul portico. Come le ho detto, sono un appassionato di gialli e nonostante i suoi libri non possano essere considerati tali, sono carichi di suspence, perciò ho letto anche quelli. E poi c’è la sua fotografia sul retro della copertina… Mi creda, signora Shane, nessun uomo può dimenticare il suo volto una volta che l’ha visto, anche se solo in fotografia e anche se è un vecchio bacucco come me.»
«Ma perché non ha detto…»
«All’inizio ho pensato che fosse uno scherzo. Dopotutto, il modo melodrammatico in cui siete comparsi davanti a casa mia, nel cuore della notte, il revolver, quel dialogo un po’ scontato… sembrava tutto uno scherzo. Mi creda, ho certi amici che farebbero burle del genere e se la conoscessero sarebbero capaci di convincerla ad aggregarsi a loro.»
Indicando il suo Custode, Laura disse: «Quando ha visto lui…»
«Allora ho capito che non era uno scherzo», rispose il dottore.
Chris corse da sua madre e si tirò fuori la caramella dalla bocca. «Mamma, se dice qualcosa su di noi…»
Laura sfilò il revolver dalla cintola. Cominciò ad alzarlo, poi abbassò la mano, poiché comprese che l’arma non aveva alcun potere intimidatorio su Brenkshaw; di fatto non lo aveva mai intimorito. Non era il tipo d’uomo che poteva essere intimidito e lei non poteva certo recitare in modo convincente la parte della donna pericolosa e fuorilegge quando egli era a conoscenza della sua vera identità.
Sul lettino, il suo Custode si lamentò e cercò di girarsi nel suo sonno innaturale, ma Brenkshaw gli posò una mano sul petto e lo tenne fermo.
«Senta, dottore, se lei racconterà a qualcuno ciò che è successo questa notte, se non riesce a mantenere il segreto di questa mia visita per il resto della sua vita, sarà responsabile della morte mia e di mio figlio.»
«La legge richiede che un medico denunci qualsiasi ferita d’arma da fuoco che cura.»
«Ma questo è un caso speciale», replicò Laura. «Non sto sfuggendo alla legge, dottore.»
«Da chi sta scappando?»
«In un certo senso… dagli stessi uomini che hanno ucciso mio marito, il padre di Chris.»
Brenkshaw sembrò sorpreso e addolorato. «Suo marito è stato ucciso?»
«Avrà letto la notizia sui giornali», disse Laura amaramente. «Ha fatto notizia per un po’. Un genere di argomento che la stampa adora.»
«Mi dispiace, ma non leggo i giornali né guardo la televisione», rispose Brenkshaw. «Non ci sono che guerre, incidenti, terroristi impazziti. Non danno delle notizie reali, solo sangue, tragedie e politica. Sono desolato per suo marito. E se queste persone che lo hanno ucciso, chiunque esse siano, vogliono uccidere voi, dovreste andare subito alla polizia!»
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