«Riconosco tutte queste persone», affermò poi. «Ho sentito centinaia di volte i loro nomi e le ho incontrate di persona quasi tutte.»
«Mi è stato detto che sono tutti morti», disse Calhoun. «È vero?»
«Sì, esattamente come Clark Davenport e queste morti hanno sconvolto particolarmente Dennis. Non faceva che parlare di loro.»
«Tutte le loro morti sono state inaspettate?»
«Sì e no. Come potete vec ere da questi documenti, sono stati tutti ricoverati per questioni piuttosto banali, anche se è vero che avevano lottato contro malattie mortali come il cancro. Per cui, in un certo senso, ci si poteva aspettare che morissero.»
«Mi faccia capire bene», intervenne ancora David, riprendendo le fotocopie e sfogliandole rapidamente. «Questi fogli di accettazione si riferiscono al ricovero durante il quale le persone sono morte.»
«Credo di sì. È passato un po’ di tempo, ma Dennis si era incaponito su questa cosa. È difficile scordarsene.»
«E ognuno di questi pazienti era affetto da una malattia grave. Come questa, ricoverata per sinusite.»
Clara Hodges prese il foglio e lesse il nome. «Questa aveva avuto un cancro al seno; lo so, perché frequentavamo lo stesso gruppo parrocchiale.»
David riprese il foglio e lo arrotolò insieme agli altri, poi si avvicinò alla finestra, tirò la tenda e rimase a fissare fuori. Clara sembrò non fare caso ai suoi modi e versò altro tè.
«Vorrei farle qualche altra domanda sullo stupratore», le disse Calhoun. «Il dottor Hodges ha mai alluso alla sua età, all’altezza, o ad altri dettagli, come per esempio se avesse un tatuaggio?»
«Un tatuaggio?» Clara sembrò sorpresa. «No, non ha mai parlato di tatuaggi.»
Con una rapidità che lasciò gli altri di sasso, David si allontanò dalla finestra e si diresse alla porta, gridando: «Dobbiamo andarcene, dobbiamo andare via immediatamente!»
«David? Che cos’hai?» Angela era esterrefatta.
«Dobbiamo tornare immediatamente a Bartlet», disse lui, aprendo la porta. «Andiamo!» Sembrava preso dal panico.
Angela e Phil Calhoun salutarono frettolosamente Clara Hodges e lo seguirono. Quando arrivarono al furgoncino, lui si era già sistemato al volante.
«Mi dia le chiavi!»
Calhoun scosse la testa e gliele porse, mentre lui sbraitava: «Dai, salite!»
Per la prima parte del viaggio nessuno di loro parlò. David era concentrato sulla guida e Angela e Calhoun erano ancora scioccati per la partenza improvvisa, oltre a essere allarmati dalla velocità a cui stavano viaggiando.
«Credo che faresti meglio a rallentare», osservò Angela.
«Questo furgoncino non è mai andato così in fretta», ammise Calhoun.
«David, che cosa ti è successo?» chiese Angela. «Ti stai comportando in modo stranissimo.»
«Mentre parlavamo con Clara Hodges, ho avuto un’intuizione riguardante i pazienti del dottor Hodges con malattie potenzialmente mortali e che sono morti inaspettatamente.»
«Be’, allora?»
«Io penso che qualche mente disturbata, all’interno del Bartlet Community Hospital, si sia assunta il compito di eseguire una specie di malintesa eutanasia. Nel sentire che i pazienti di Hodges avevano tutti avuto una malattia grave, mi sono reso conto che anche per i sei pazienti che ho perduto negli ultimi giorni era la stessa cosa. Non so come non ci ho fatto caso prima. La stessa cosa è avvenuta con Caroline.»
«Chi è Caroline?» domandò Calhoun.
«Era un’amica di nostra figlia», spiegò Angela. «Soffriva di fibrosi cistica, che è una malattia potenzialmente mortale. È morta ieri… Oh, no!» Gli occhi di Angela si spalancarono, stravolti dall’orrore.
«Ora capisci perché sono stato preso dal panico», le disse David. «Dobbiamo arrivare prima possibile.»
«Che cosa sta succedendo?» chiese Calhoun. «Sto perdendo qualche colpo. Perché siete così agitati?»
«Nikki è in ospedale», rispose Angela, colta dall’ansia.
«Lo so. Prima di partire per Boston vi ho accompagnato io a salutarla.»
«Anche lei ha la fibrosi cistica, come Caroline.»
«Oh, ora capisco! Temete che vostra figlia diventi il prossimo bersaglio del patito dell’eutanasia.»
«È così», rispose David.
«Sarebbe un caso tipo quello dell’’angelo della misericordia’ avvenuto a Long Island, di cui ho letto sui giornali? È accaduto un sacco di anni fa. C’era coinvolta un’infermiera che metteva fuori combattimento la gente con una medicina.»
«Qualcosa del genere, ma in quel caso veniva usato un rilassante muscolare e la gente smetteva di respirare. Era una cosa lampante. Con i miei pazienti, invece, non so come siano stati uccisi. Non mi viene in mente nessun farmaco o veleno o agente infettivo che possa causare i sintomi che loro hanno avuto.»
«Posso capire che sia preoccupato per sua figlia, ma non pensa che la sua teoria possa essere un po’ affrettata?»
«Risponde a un sacco di interrogativi. Mi fa persino pensare al dottor Portland.»
«Perché?» domandò Angela.
«Kevin ci aveva raccontato che il dottor Portland non aveva intenzione di assumersi tutta la colpa per le morti dei suoi pazienti e che nell’ospedale stava accadendo qualcosa di strano.»
Lei annuì.
«Deve avere sospettato qualcosa. Purtroppo ha ceduto alla depressione.»
«Si è suicidato», spiegò Angela a Calhoun.
«Che spreco», commentò lui. «Tutti quegli anni di studi!»
«La questione ora è», continuò David, «se qualcuno pratica l’eutanasia nell’ospedale, chi potrebbe essere? Dovrebbe essere qualcuno con la possibilità di avvicinarsi ai pazienti e che abbia una conoscenza approfondita della medicina.»
«Questo limiterebbe la cosa a un medico o a un’infermiera», suggerì Angela.
«O a un tecnico di laboratorio», aggiunse David.
«Secondo me state saltando a conclusioni troppo affrettate», obiettò Calhoun. «Non è così che vanno svolte le indagini. Non ci si inventa una teoria, per poi correre a centocinquanta all’ora come stiamo facendo. Quasi tutte le teorie cadono a pezzi, quando si confrontano con i fatti. Credo proprio che dovremmo rallentare.»
«Non mentre mia figlia è in pericolo», ribatté David, premendo ancora di più sull’acceleratore.
«Pensi che Hodges sia arrivato alle stesse conclusioni?» gli domandò Angela.
«Credo di sì e, se è così, è per questo che è stato ucciso.»
«Io continuo a pensare che sia stato lo stupratore», disse Calhoun. «Comunque, chiunque sia stato, questa indagine è avvincente. Sono anni che non mi divertivo così… purché vostra figlia stia bene, naturalmente.»
Quando finalmente arrivarono all’ospedale, David si fermò proprio davanti all’entrata principale e balzò giù dal furgoncino, con Angela alle calcagna. Entrambi salirono di corsa le scale e imboccarono il corridoio del secondo piano.
Con grande sollievo, videro che Nikki stava benone ed era intenta a guardare la televisione. David la sollevò fra le proprie braccia e la strinse così forte che lei si lamentò.
«Vieni a casa», le annunciò e l’allontanò da sé quel tanto che gli occorreva per osservarla bene, soprattutto gli occhi.
«Quando?» chiese lei.
«Subito», le rispose Angela, staccandole la flebo.
In quel momento, nel corridoio stava passando un’infermiera e se ne accorse.
«Che cosa succede qui?» domandò, entrando di corsa nella stanza.
«Mia figlia viene a casa con noi», rispose David.
«Gli ordini non sono questi», obiettò lei.
«Lo do io l’ordine, in questo preciso istante.»
L’infermiera corse fuori e, dopo pochi istanti, arrivò Janet Colburn con diverse infermiere al seguito.
«Dottor Wilson, che cosa sta facendo?» chiese stupita.
«Mi pare che sia evidente», rispose lui, mentre intanto raccoglieva i libri e i giocattoli di Nikki infilandoli in una borsa.
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