«Non decidiamo adesso», consigliò Angela.
Quando telefonarono all’unità di terapia intensiva, ricevettero notizie rassicuranti: Nikki continuava a stare bene e non aveva febbre.
«Possiamo anche aver perso il nostro lavoro», affermò David, «ma finché Nikki sta bene ce la faremo.»
Venerdì 29 ottobre
Ancora una volta, David e Angela dormirono male. Lui si svegliò prima dell’alba, com’era ormai sua abitudine, si alzò senza disturbare la moglie e scese al piano di sotto.
Si sedette nel salottino a meditare sulla loro situazione finanziaria e cominciò a scrivere un elenco di cose da fare e di persone a cui telefonare. Era convinto che la situazione attuale richiedesse calma e razionalità.
Poco dopo comparve sulla porta Angela, in vestaglia, un fazzoletto di carta in mano. Era evidente che aveva pianto. «Che cosa faremo?» disse, e nuove lacrime le sgorgarono dagli occhi. «Abbiamo mandato tutto a farsi benedire!»
David cercò di consolarla, mostrandole la lista che stava compilando, ma lei la gettò via, accusandolo di non voler dare retta alle proprie emozioni.
«I tuoi stupidi elenchi non risolveranno niente!» gli disse.
«E invece le tue lacrime isteriche sì, vero?» reagì lui.
Per fortuna non si spinsero oltre, comprendendo che erano entrambi troppo agitati. Ormai sapevano che ognuno dei due aveva un modo diverso di affrontare una crisi.
«Che cosa faremo?» chiese di nuovo Angela, in tono più sommesso.
«Prima di tutto, andiamo in ospedale a vedere come sta Nikki.»
«D’accordo, così avrò anche l’occasione di parlare con Helen Beaton.»
«Sarà inutile», l’avvertì David. «Sei sicura di voler subire una nuova ondata di emozioni?»
«Voglio essere sicura che lei sappia delle mie proteste per molestie sessuali.»
Fecero colazione in fretta e poi uscirono. A tutti e due sembrava strano recarsi all’ospedale non per ragioni di lavoro.
Trovarono Nikki in forma e desiderosa di cambiare reparto; all’unità di terapia intensiva c’era sempre molto movimento anche di notte e aveva dormito poco.
Quando arrivò il dottor Pilsner, confermò che poteva essere trasferita in una stanza normale.
«Quando pensa che potrà ritornare a casa?» gli domandò Angela.
«Se continua a stare così bene, fra pochi giorni. Voglio essere sicuro che non abbia una ricaduta.»
Angela andò da Helen Beaton, mentre David rimase accanto alla figlia.
«Potresti chiamare Caroline e dirle di farmi avere i miei libri di scuola?» gli chiese Nikki.
«Appena potrò ci penserò», le rispose, volutamente evasivo. Ancora non se la sentiva di annunciare alla figlia la morte dell’amica.
Da dove si trovava, non poté fare a meno di notare che nel letto occupato il giorno prima da Sandra c’era adesso un uomo anziano. Gli ci volle almeno mezz’ora per decidersi a chiedere notizie sulla sua paziente.
«È morta questa mattina alle tre», gli rispose l’impiegato, come se parlasse del tempo.
David, invece, rimase sconvolto. Pensò a Sandra, alla sua famiglia, ai figli rimasti orfani. Aveva perduto sei pazienti in due settimane. Si domandò se fosse un record al Bartlet Community Hospital. Forse il CMV aveva fatto bene a licenziarlo.
Dopo avere promesso a Nikki che lui e la madre sarebbero passati a trovarla nella nuova stanza, David si diresse verso l’ala degli uffici amministrativi per aspettare Angela e arrivò proprio mentre lei usciva come una furia dall’ufficio della presidente. Era livida, con le labbra serrate, e gli occhi scuri le brillavano come saette. Gli passò accanto senza rallentare e lui dovette mettersi a correre per raggiungerla.
«Suppongo che sia inutile chiederti com’è andata», le disse mentre uscivano verso il parcheggio.
«È stato terribile, Helen Beaton è d’accordo con la decisione di Wadley. Quando le ho spiegato che alla base di tutto c’è una storia di molestie sessuali, lo ha negato.»
«Come può negarlo, se ne hai parlato al dottor Cantor?»
«Ha detto di averlo chiesto a Wadley e lui le ha detto che non c’è stata nessuna molestia sessuale. Anzi, le ha detto che le cose sono andate esattamente all’opposto: sono stata io a tentare di sedurlo!»
«Già, la solita linea di difesa: dare la colpa alla vittima.» David scosse la testa. «Che porco!»
«La Beaton dice che crede a lui. Dice che è un uomo irreprensibile. Mi ha accusato di avere inventato la storia per vendicarmi di lui, perché ha rifiutato le mie avance.»
Quando arrivarono a casa, si accasciarono sulle poltrone del salottino. Non sapevano che cosa fare, erano depressi e confusi.
Il silenzio fu rotto da un rumore di ruote sulla ghiaia del vialetto: era il furgoncino di Calhoun. Angela andò ad aprire la porta posteriore e il detective entrò con un pacchetto in mano.
«Le ho portato alcune frittelle fresche per festeggiare il primo giorno di vacanza», le annunciò, passando in cucina, dove posò il pacchetto sul tavolo. «Con un po’ di caffè, saremo a posto.»
Sulla soglia comparve David.
«Oh, oh!» Calhoun guardò da David ad Angela.
«Non c’è problema, sono in vacanza anch’io», affermò David con sarcasmo.
«Accidenti! Meno male che ne ho portati una dozzina.»
La presenza di Calhoun fu come un toccasana e anche il caffè fece la sua parte. Angela e David si ritrovarono persino a ridere di alcune sue storie di quando era poliziotto. Poi, fregandosi le mani eccitato, Calhoun propose di mettersi al lavoro.
«Il problema adesso è circoscritto: basta trovare qualcuno con un tatuaggio rovinato e che notoriamente odiasse il dottor Hodges. Non dovrebbe essere difficile riuscirci, in una città piccola come questa.»
«C’è un ostacolo», intervenne David. «Dato che siamo disoccupati, non possiamo permetterci di pagarla.»
«Non me lo dica! Proprio ora che la faccenda sta diventando interessante!»
«Mi spiace. Non solo siamo al verde, ma dovremo lasciare Bartlet. Così, fra l’altro, ci lasceremo alle spalle questa dannata faccenda di Hodges.»
«Aspetti, non prendiamo decisioni affrettate. Ho un’idea: potrei lavorare gratis. Che cosa ne dite? È una questione di onore e reputazione; inoltre, già che ci siamo, potremmo acciuffare uno stupratore.»
«È davvero molto generoso da parte sua…» cominciò a dire David, ma l’altro lo interruppe.
«Ho già dato inizio alla seconda fase dell’inchiesta. Parlando con Carleton, il barista, ho scoperto che in città parecchi poliziotti hanno dei tatuaggi, compreso Robertson. Così sono andato a scambiare due chiacchiere con lui ed è stato più che felice di mostrarmi il suo, di cui va proprio fiero. Ce l’ha sul petto: è un’aquila dalla testa bianca che regge uno stendardo su cui è scritto NOI CREDIAMO IN DIO. Purtroppo, o per fortuna, dipende dai punti di vista, il tatuaggio era in buono stato. Comunque, ho sfruttato l’occasione per chiedergli dell’ultima giornata di Hodges. Lui mi ha confermato che Madeline Gannon gli aveva chiesto un appuntamento per lui, in seguito cancellato. Io credo che siamo sulla pista buona e forse Clara Hodges potrebbe esserne la chiave. Erano praticamente separati, all’epoca della morte di Hodges, ma si parlavano di frequente. Ho la sensazione che il fatto di stare lontani abbia migliorato il loro rapporto. Comunque, stamattina l’ho chiamata e ci aspetta.» Calhoun guardò Angela.
«Credevo che si fosse trasferita a Boston», osservò David.
«Infatti. Pensavo che Angela e io… be’, adesso tutti e tre, potremmo andare a farle una visita.»
«Continuo a pensare che dovremmo lasciare perdere questa faccenda, considerando quello che ci è capitato. Se lei vuole continuare, è affar suo.»
«Non dovremmo essere così precipitosi», obiettò Angela. «E se Clara Hodges gettasse luce su quei pazienti che sono morti inaspettatamente? Ieri sera t’interessava quella storia.»
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