Giorgio Faletti - Io sono Dio

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Non c’è morbosità apparente dietro le azioni del serial killer che tiene in scacco la città di New York. Non sceglie le vittime seguendo complicati percorsi mentali. Non le guarda negli occhi a una a una mentre muoiono, anche perché non avrebbe abbastanza occhi per farlo. Una giovane detective che nasconde i propri drammi personali dietro a una solida immagine e un fotoreporter con un passato discutibile da farsi perdonare sono l’unica speranza di poter fermare uno psicopatico che nemmeno rivendica le proprie azioni. Un uomo che sta compiendo una vendetta terribile per un dolore che affonda le radici in una delle più grandi tragedie americane. Un uomo che dice di essere dio.

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Il grassone guardò verso Jimbo, incredulo.

«Chi è questa puttana del cazzo?»

Vivien sollevò la mano e puntò la pistola che stringeva in pugno verso la testa di LaMarr.

«Questa puttana è armata e se non vi appoggiate tutti e due con la faccia al muro e le gambe allargate, potrebbe dimostrarvi quanto è offesa per le vostre basse insinuazioni.»

Il resto avvenne prima che Russell avesse il tempo di avvertire Vivien.

L’uomo che era in bagno sbucò veloce dalla porta alle sue spalle e le circondò il petto con le braccia, immobilizzandola. La reazione di Vivien fu istantanea e Russell capì perché il capitano Bellew aveva la stima dipinta negli occhi quando la guardava.

Invece di cercare di divincolarsi, Vivien si appoggiò con il corpo contro quello dell’uomo, sollevò le gambe e piantò i tacchi degli stivali pesanti sulla punta delle scarpe del suo aggressore. Russell sentì distintamente il rumore delle dita dei piedi che si spezzavano. Un grido strozzato e le braccia che circondavano Vivien si sciolsero come per magia. L’uomo si accasciò a terra, su un fianco, le gambe rattrappite, bestemmiando.

Vivien gli puntò la pistola addosso e rivolse uno sguardo di sfida agli altri due.

«Molto bene. Adesso chi altro ci vuole provare?»

Fece un cenno verso Jimbo.

«Sei armato?»

«Sì.»

«Bene. Allora prendi la pistola con due dita, appoggiala a terra e spingila verso di me. Lentamente. Sono piuttosto nervosa in questo momento.»

Mentre teneva d’occhio Jimbo, Vivien si piegò sull’uomo a terra, con la mano sinistra lo frugò e gli sfilò dalla giacca un grosso revolver. Si rialzò e poco dopo, con uno striscio metallico sul pavimento, le arrivò vicino ai piedi anche l’automatica dell’altro. Infilò nella cintura la pistola a tamburo che aveva appena requisito e si chinò a raccogliere il nuovo trofeo da terra.

Poi si fece di lato e Russell la vide con la canna della pistola indicare a Jimbo l’uomo steso a terra.

«Perfetto. E adesso muoviti con calma e sdraiati a terra vicino a lui.»

Quando fu certa che i due fossero sotto controllo, si avvicinò alla sedia dove era seduto Russell. Si rivolse a LaMarr.

«Hai armi?»

«No.»

«Meglio per te se non scopro che mi hai detto una bugia.»

«Niente armi.»

LaMarr aveva confermato guardando la canna di una pistola. C’era la possibilità di credergli.

Vivien si rivolse a Russell.

«Ce la fai ad alzarti?»

Lui sentiva le gambe come indipendenti dalla sua volontà. Con uno sforzo si alzò in piedi, lo stomaco contratto dai crampi. Si avvicinò a Vivien e si vide consegnare in mano una grossa pistola scura. Con un cenno del capo lei gli indicò i due uomini stesi a terra.

«Tieni d’occhio quelli. Se si muovono spara.»

«Con piacere.»

Russell non aveva mai usato in vita sua un’arma da fuoco ma lo schiaffo di Jimbo sarebbe da solo stato un bell’incentivo a iniziare. E da quella distanza era impossibile per chiunque sbagliare mira.

Vivien si rilassò e si rivolse a LaMarr, che aveva seguito la scena con una certa apprensione, seduto dietro la scrivania.

«Posso sapere il tuo nome?»

L’uomo esitò un istante. Si fece passare la lingua sulle labbra secche, prima di rispondere.

«LaMarr.»

«Okay. La puttana del cazzo qui presente si chiama Vivien Light ed è una detective del 13° Distretto. Ed è appena stata testimone oculare di un rapimento. Che come ben sai è un crimine federale. Secondo te, quanto può valere il fatto che io non chiami l’FBI e te li scateni addosso?»

LaMarr aveva capito dove il discorso della ragazza intendeva andare a parare.

«Non lo so. Diciamo sessantaquattromila dollari?»

Vivien si sporse e tolse dalla sua mano grassa e sudata i dollari che ancora stringeva.

«Diciamo sessantaquattromila e cinquecento e l’accordo è concluso. In via definitiva, mi sono spiegata?»

Si rialzò e infilò i soldi nella tasca dei jeans.

«Prendo il tuo silenzio come un assenso. Andiamo Russell. Qui non abbiamo più nulla da fare.»

Russell prese le buste e il portafoglio dal piano della scrivania e li infilò in tasca. Prese il pacchetto di chewing-gum, lo osservò un istante e poi lo posò con grazia esagerata davanti a LaMarr.

«Questi te li lascio. Nel caso dovessi addolcirti la bocca.»

Gli sorrise serafico.

«Usali con parsimonia. Valgono sessantaquattromila dollari.»

Negli occhi del grassone c’era la rabbia e c’era la morte. Russell non si curò di sapere di chi. Raggiunse Vivien e indietreggiarono in silenzio, spalla contro spalla, tenendo d’occhio il gruppetto. Arrivarono alla saracinesca e Russell vide che Jimbo, quando erano arrivati, non l’aveva abbassata del tutto. Ecco come aveva fatto Vivien a entrare senza farsi sentire. Questa volta la ragazza si chinò e la sollevò. Un rumore di ferro sui rulli permise loro di uscire senza dover fare altre evoluzioni sul pavimento.

Poco dopo erano seduti nella macchina di lei. Russell si accorse che le tremavano le mani, per il crollo dell’adrenalina. Anche lui non era messo meglio. Si consolò vedendo che nemmeno una persona addestrata a quel tipo di cose ci faceva mai realmente l’abitudine.

Russell cercò di rilassarsi e di ritrovare la voce.

«Grazie.»

Gli arrivò di rimando una risposta secca.

«Grazie un corno.»

Si girò di scatto e vide che Vivien sorrideva. Lo stava prendendo in giro.

Infilò una mano in tasca e gli tese i cinquecento dollari.

«Parte di questi serviranno a pagare la lavanderia. E spero per le tue finanze di non aver rovinato il giubbotto, rigirandomi per terra.»

Russell accettò quell’invito sopra le righe a risolvere la tensione.

«Appena posso, ti regalo una boutique.»

«Che si aggiunge alla cena.»

Vivien avviò l’auto e uscirono da quella strada e da quella brutta esperienza. Russell guardò il profilo di lei mentre guidava. Era giovane, decisa e bella. Una donna pericolosa, se vista dalla parte sbagliata della canna di una pistola.

«C’è una cosa che ti devo dire.»

«Cosa?»

Russell si allacciò la cintura per far smettere il cicalino di suonare.

«Quando ti ho vista sbucare da dietro l’angolo…»

«Sì?»

Russell chiuse gli occhi e si lasciò andare contro il sedile.

«D’ora in poi sarò devoto a quella tua apparizione come a un’apparizione della Madonna.»

Nella penombra delle palpebre gli arrivò il suono della risata fresca di Vivien. Allora Russell sentì qualcosa che svaniva e sorrise anche lui.

CAPITOLO 24

La chiave girò nella toppa, aprì la serratura e scomparve di nuovo nelle tasche di Vivien. La ragazza entrò e premette l’interruttore. La luce invase il corridoio spingendosi fino a illuminare parte del soggiorno. Un passo, un altro interruttore e la luce prese possesso di tutto l’appartamento.

«Vieni, accomodati.»

Russell entrò, reggendo una borsa in ogni mano. Diede uno sguardo in giro.

«È carino qui.»

Vivien lo guardò con aria di sufficienza.

«Vuoi che ti ripeta le parole di Carmen Montesa quando le ho detto le stesse cose di casa sua?»

«No, dico davvero.»

Si era aspettato di trovare una casa dove la cura e l’ordine fossero approssimativi. Il carattere volitivo di Vivien nella sua mente non collimava molto con quello paziente e scrupoloso della donna di casa.

Invece il piccolo appartamento era un gioiello di buon gusto nell’arredamento e un esempio raro di attenzione ai dettagli. C’era nell’aria qualcosa che non aveva mai provato. Non il caos forsennato del suo appartamento, non lo splendore asettico della casa dei suoi genitori. C’era amore da parte di chi abitava in quella casa per ciò che aveva intorno.

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